Tocca ribadire l’ovvio

Gianfranco Fini e Giorgio Almirante, tratto da http://www.carnialibera1944.it/documenti/finiesal%F2.htmInnanzitutto, grazie ad Alessandro Robecchi per i post e a restodelmondo e per la segnalazione.

Poi consiglio caldamente la lettura di questo post di Rudy Leonelli, su altre brillanti imprese di Giorgio Almirante.

I fatti: un paio di giorni fa il neoeletto sindaco di Roma Gianni Alemanno si è detto e ha detto in giro: ma perché non dedichiamo una strada romana a quel bravuomo di Giorgio Almirante? Proposta alla quale i rari antifascisti ancora circolanti hanno risposto con giusta indignazione.

Fra questi il giornalista Alessandro Robecchi, che in segno di protesta ha riportato sul suo blog una frase, una fra le tante, che Giorgio Almirante pubblicò sulla rivista di regime «La difesa della razza», di cui era segretario di redazione (e, aggiungo, non mi risulta che si sia mai pentito di esserlo stato). Ecco cosa diceva Almirante il 5 maggio 1942, a soluzione finale già avviata:

Da «La Difesa della razza» del 5 maggio 1942 [fonte: Valentina Pisanty – La Difesa della Razza – Antologia 1938-1943, Bompiani 2006]

Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto lo spirito alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti, finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose – fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue.

Carino, vero?

Poi è successo che il deputato del PD Emanuele Fiano ha letto quella frase sul blog di Robecchi e l’ha riportata tal quale alla Camera dei Deputati, in presenza del presidente Gianfranco Fini. Fiano ha collegato esplicitamente la lettura della frase di Almirante all’idea balzana di Alemanno, e ha concluso: «Ringrazio chi ha avuto l’idea di dedicare una strada a Giorgio Almirante per non dimenticare. In effetti noi non lo dimenticheremo mai».

Gianfranco Fini ha ringraziato Emanuele Fiano e ha replicato come segue:

«Credo che a lei faccia piacere, onorevole Fiano, se dico che sono certamente vergognose le frasi che lei ha letto e che esprimono un sentimento razzista che purtroppo in quell’epoca tragica albergava in tanti e troppi esponenti che in alcuni casi si allocavano a destra, in altri in altre formazioni politiche».

Secondo l’onorevole Fini, quindi, nel 1942 c’erano alcuni razzisti di destra (rectius: fascisti) e alcuni di altre sponde. Perfetta parità, insomma. Di fronte all’ennesimo tentativo riduzionista e revisionista del prode presidente, tocca ribadire l’ovvio:

Il fascismo italiano fu istituzionalmente razzista. Tutti i fascisti furono razzisti, non alcuni.

In calce alle leggi razziali c’è la firma di Benito Mussolini, non quella di Eugenio Scalfari o di Giorgio Bocca o di Dario Fo o di altri che in seguito si dissociarono dal fascismo, ma che all’epoca non disdegnarono di scrivere sulle riviste di regime o di firmare il Manifesto della razza o di vestire la camicia nera. Gli errori grossi, grossissimi di questi pochi – che comunque all’epoca erano anche loro fascisti, non “di altre formazioni politiche” – non riducono di un grammo l’enorme responsabilità dei fascisti nello sterminio degli ebrei e di altri innocenti, e in particolare di quei fascisti che mai si dissociarono, fra i quali spicca l’assai poco memorando Giorgio Almirante.

Potrà mai l’onorevole Gianfranco Fini fare della propria mente un albergo duraturo e tenace di queste ovvietà?

3 Responses to “Tocca ribadire l’ovvio”

  1. Tusaichison says:

    Per la madosca se hai ragione!!!

  2. rudy says:

    Tocca ribadire l’ovvio. E’ vero: siamo costretti ribadire ciò che per noi è ovvio, perché comincia a non esserlo più, per tanti, per troppi.
    Interessante il fatto che il caso del blog di A. Rebecchi che riferisci, dimostra che, specie in tempi “critici” (lo so, il termine è solo un pallido eufemismo), dire “l’ovvio” ormai non più ovvio – dire la verità -, può contribuire in modo forte a turbare nuovi mortificanti e mortiferi “equilibri” in gestazione.

    A volte, di questi tempi, che lo diciamo o no, ci chiediamo se cercare, documentare, argomentare, pubblicare, abbia un “senso”, se serva davvero a qualcosa. E incoraggia sapere che, a volte, capita che provochi degli effetti.

    Ringraziandoti per aver segnalato il mio post su Almirante in questo tuo articolo attento alle mistificazioni e revisioni i corso, inserisco un link nella rubrica “Posizioni” di “incidenze”.

  3. Gaja says:

    Tocca ribadire l’ovvio sì, perché se lasciamo fare a loro qui tra un paio di mesi Hitler diventerà Suor Germana (anche il nome si presta), e Almirante un Padre della Patria, co-firmatario della costituzione.
    Già invitano la moglie a “Buona Domenica” come opinionista…

    sic transit gloria mundi.
    (e noi – come si dice a Roma – facciamo la fine di Don Falcuccio…)

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