La lettura lenta può vantare augusti antenati. Gli antichi rètori, per esempio, mandavano a memoria lunghe e complesse orazioni fin nei minimi particolari, inclusi i gesti del corpo e l’intonazione della voce, leggendo e rileggendo i testi fino a inciderli nella mente, predecessori inconsapevoli dei libri viventi che Ray Bradbury immaginò in Fahrenheit 451. Ma non occorre andare così lontano. Quella che qui ti offro, o internauta che ti muovi con passo da centometrista, è un’accorata esortazione alla lettura lenta di quel poeta che in questi giorni è in odore di laica santificazione.
«La ricostruzione di questo libro è affidata al lettore. È lui che deve rimettere insieme i frammenti di un’opera dispersa e incompleta. È lui che deve ricongiungere passi lontani che però si integrano. È lui che deve organizzare i momenti contraddittori ricercandone la sostanziale unitarietà. È lui che deve eliminare le eventuali incoerenze (ossia ricerche o ipotesi abbandonate). È lui che deve sostituire le ripetizioni con le eventuali varianti (o altrimenti accepire le ripetizioni come delle appassionate anafore).
Ci sono davanti a lui due "serie" di scritti, le cui date, incolonnate più o meno corrispondono: una "serie" di scritti primi, e una più umile "serie" di scritti integrativi, corroboranti, documentari. L’occhio deve evidentemente correre dall’una all’altra "serie". Mai mi è capitato nei miei libri, più che in questo di scritti giornalistici, di pretendere dal lettore un così necessario fervore filologico. Il fervore meno diffuso del momento.» (Pier Paolo Pasolini, nota introduttiva a Scritti corsari, 1975).
Il poeta usa qui un tono alquanto perentorio: per ben cinque volte ripete che il lettore deve compiere azioni necessarie, per poi giungere a pretendere da lui niente meno che fervore filologico. E quel fervore non implica forse il sesto dovere, quello che riassume tutta l’etica lettoria che il poeta pretende? E come chiamare questo dovere, se non il dovere di leggere con prudente lentezza?
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..e dunque, da sommari lettori dovremmo farci lentori (sempre che lei non s’adombri per il buffo neolemma)?!
Adombrarmi per un neolemma? No davvero, gabryella, davvero no. Anzi, conserverò il suo qual dono graditissimo: avercene di neolemmi in questi tempi di pauperismo lessicale.
Hai cambiato casa ed io ti vengo dietro come un segugio:-)
Se cerchi un lettore lento, eccomi qua.
Bart
Ehilà Bart, ben trovato! Proprio vero che la rete è piccola. Gira gira, alla fine ci si ritrova sempre. Grazie della visita e, mi raccomando, non cedere mai alle lusinghe della lettura veloce!
Per dirti, che ogni mattina faccio un giro da te, e anche se non sempre lascio un commento, ti leggo ogni volta con molto interesse.
Ciao.
Bart
Bellissimo “lentori”, che evoca pure la lente, per meglio scrutare il testo, che appare compatto e compatto non è, attraversato com’è da rigagnoli, fili, fessure (essì, sta a noi collazionare, ipotizzare, congetturare: è il nostro lavoro di lettori ovvero collaboratori del testo). I lentori non saranno mai sommari, né somari. O almeno si spera.
Mi piace questo verbiludio sulla lentezza applicata alla letteratura. Anzi, a questo punto la chiamerei più appropriatamente “lenteratura”.
bellissimo, il verbiludio. quasi un verbiliquio. e la lenteraura potrebbe diventare un movimento (una stasi, diciamo meglio). non s’è fatto qualcosa d’egregio, in tal senso, col cibo? lo slow food. da centellinare, centellentissimi.