Le diatribe letterarie (digressione quasi seria)

Con un tempismo davvero sorprendente, ieri Giulio Mozzi ha pubblicato su Vibrisse un articolo che sembra scritto apposta per esemplificare queste mie umili divagazioni diatribiche. L’articolo si apre su questa domanda: «Esiste un modo per capire quanto influisce sulla vendita di un libro il fatto che si attivi un passaparola in rete?» e prosegue a porre domande su come la rete può influenzare le vendite librarie, per poi concludere così: «Io sento la mancanza, in molti discorsi che ho letti e sentiti a questo proposito, di approcci sistematici agli aspetti quantitativi della faccenda. Mi si dirà che non ci sono solo gli aspetti quantitativi; ed è vero; ma gli aspetti quantitativi ci sono.»

Premetto che mi sembra giusto che Giulio Mozzi, che sui libri e sull’editoria ci lavora e ci campa la giornata, parli di libri e di editoria in termini quantitativi. Ciò detto, mi ha sorpreso che Giulio Mozzi sentisse la mancanza di ciò di cui io percepisco la troppità: le diatribe quantitative. Ho provato a porre il problema nei commenti all’articolo (i miei sono quelli firmati Luca Tassinari), ma non credo di aver fatto breccia nel cuore di Mozzi, che lì era tutto rivolto (e, ripeto, con ottime ragioni) all’economia. A un certo punto, rispondendo a me, Giulio Mozzi ha detto:

«Io vorrei parlare di editoria quando si parla di editoria, e di letteratura quando si parla di letteratura.»

Sono parole importanti, che non meritano di cadere nel vuoto. Va be’ che farle cadere qui, in questa estrema periferia della grande rete, è un po’ come consegnarle all’oblio, ma pazienza. La frase di Giulio Mozzi presuppone una separazione netta fra editoria e letteratura, tanto da non poterne parlare simultaneamente: o si parla di editoria o si parla di letteratura. Aut, aut. Tertium non datur. Non si possono sommare mele e pere. E chi più ne ha più ne metta.

Vorrei sottolineare il fatto che l’articolo di ieri su Vibrisse fa parte di un discorso che Giulio Mozzi sta portando avanti da un po’ di tempo, quando ha il tempo di portarlo avanti. Riducendo la questione all’osso, Giulio Mozzi dice che l’editoria sta completando il suo processo di industralizzazione e teme che per le piccole case editrici questo significherà scomparire o essere fagocitate da realtà più grandi. Giulio Mozzi di editoria se ne intende e non è il caso di sottovalutare i suoi timori. Il suo discorso sull’editoria, e sui suoi aspetti quantitativi in particolare, è mirato alla ricerca di soluzioni capaci di sottrarre la piccola editoria a questo destino da panda gigante.

Cosa vuol dire processo di industrializzazione? C’entra o non c’entra con i discorsi che si fanno intorno al campo industrializzando? Io, che ho all’incirca l’età di Giulio Mozzi, mi ricordo che trent’anni fa quando si parlava di automobili si parlava principalmente di motori e di meccanica. Non c’era appassionato di auto (e tutti, chi più chi meno, lo erano) che non sapesse descrivere con una certa esattezza il funzionamento di un motore a scoppio, e saper mettere le mani in un motore, per fare manutenzione o riparare piccoli guasti, era un punto d’onore. Anche allora c’era la grande industria automobilistica, ma non mancavano le piccole case, e spesso erano le più prestigiose: marchi come Ferrari, Lamborghini, Maserati, Autobianchi, Lancia, Alfa Romeo – per restare in Italia – erano ancora indipendenti. Oggi quando si parla di automobili si parla soprattutto di comfort, abitabilità, sicurezza, prestigio e in generale di tutto ciò che rende un’auto desiderabile, mentre si parla pochissimo di come funziona. Oggi le piccole case automobilistiche non ci sono più, o sono state fagocitate dalle più grandi: il processo di industrializzazione è stato completato.

Naturalmente non sto dicendo che la fine dei discorsi sugli aspetti meccanici delle auto sia stata una causa del completamento del processo di industrializzazione in campo automobilistico. Sospetto piuttosto che ne sia una conseguenza. Analogamente, ho come l’impressione che la perdita di interesse per gli aspetti qualitativi della letteratura potrebbe essere una conseguenza del processo di industrializzazione dell’editoria che secondo Giulio Mozzi è in atto. E qui torniamo a bomba alla frase che ha scatenato questa lunga e inopinata digressione:

«Io vorrei parlare di editoria quando si parla di editoria, e di letteratura quando si parla di letteratura.»

In che direzione va questo desiderio (il quale, lo ripeto è pienamente legittimo) di Giulio Mozzi? Per meglio dire: se la separazione dei due discorsi fosse la naturale conseguenza del processo che si vorrebbe scongiurare, riunire i discorsi potrebbe essere un modo per opporsi a quel processo? Per lavorare contro l’industrializzazione dell’editoria e la scomparsa delle piccole case editrici, non si dovrebbe continuare a parlare di letteratura mentre si parla di editoria?

E soprattutto, santa pazienza, perché quando si affronta un problema qualsiasi le domande son sempre incommensurabilmente più numerose delle risposte?

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6 Responses to “Le diatribe letterarie (digressione quasi seria)”

  1. Il problema posto da Giulio Mozzi e intorno al quale va sviluppando una lunga serie di riflessioni pubbliche è così complesso che ho difficoltà ad entrare dentro i meccanismi del mercato. (La separazione che fa tra editoria e letteratura, mi pare necessaria per poter affrontare il problema nella sua componente esclusivamente economica).

    Tutte le volte mi viene in mente l’esempio dei piccoli negozi di generi alimentari. Comparsi i supermercati, se ne pronosticava la fine rapida. Che cosa è successo? Che effettivamente i supermercati hanno ridotto di un bel po’ il numero dei piccoli negozi, ma non li hanno eliminati del tutto.

    Quali resistono?

    1 – Quelli presso i quali troviamo prodotti di qualità.
    2 – Quelli che offrono un servizio a domicilio.
    3 – Quelli ubicati in luoghi un po’ lontani dal supernmercato.

    Potrebbero essere indicazioni valide anche per la piccola editoria?

    Naturalmente con gli adattamenti del caso.

    Bart

  2. letturalenta says:

    Eh, Bart, vai a sapere cosa potrebbe funzionare e cosa no. Io non lo so. Io vedo l’editoria dalla parte della lama, mentre Mozzi la vede dalla parte del manico. Trovare le risposte, per mia fortuna, è un problema suo.

  3. letturalenta says:

    Eh, già… Però non ti scoraggiare, Giulio. A me è capitato che le risposte arrivassero quando meno me l’aspettavo, e talvolta, quando sono arrivate, mi hanno fatto capire che le mie domande erano sbagliate.

  4. Lucatassa, la volta scorsa mi hai costretto a cercare nel vocabolario la parola “cavedagne”, accidentatté:-/

    Quanto all’efficacia di internet, bsogna stare molto attenti. Senti cosa scrisse in Icl un mio incallito denigratore:

    “Ho notato che anche su questo forum imperversa il signor Lucio Angelini, e
    vorrei sapere se anche qui da voi… il povero Lucio Angelini cerca di smerciare i suoi quattro
    libretti, violando le più elementari regole di netiquette.”

    Gli risposi: “Annibala, amore, ti ho spiegato mille volte che non mi importa se non sei
    ricca. Mi piaci così come sei, con queste tue tortuosità legate alla fase in
    cui non sapevi se rilasciare o trattenere le feci (la fase da cui non ti sei
    mai mossa, purtroppo). Lo che per te il DANARO (= sterco del diavolo) è una
    metafora importantissima, ma io ti accetto così come sei, meschinella e
    incolta, con il diploma della scuola dell’obbligo raffazzonato alle serali
    del paese. ”

    In ogni caso quel tizio (che io chiamavo Annibala) sicuramente NON comprò i miei libri grazie a Internet:-/

  5. letturalenta says:

    Lucio, l’hai trovato solo perché ho usato la versione italiana e non la variante regionale “cavedanie”, non registrata su molti vocabolari.

    Quanto ad Annibala, sai benissimo che se non comprò i tuoi libri fu perché tu la tradivi con Pamela!

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