Crolli

Ground Zero 31 ottobre 2001, tratto da www.w3.orgSull’onda dell’attualissimo pensiero di von Hofmannsthal sulla catastrofe, riprendo questa recensione a un libro di Marco Belpoliti intitolato Crolli, già comparsa sei mesi fa su it.cultura.libri e sulla rivista online La Frusta di Alfio Squillaci. Com’è come non è, in questi giorni mi vien naturale pensare a crolli, catastrofi, disastri e altri accidenti vagamente escatologici.

Ultimamente leggere libri e libercoli d’argomento letterario usciti dalle patrie accademie è un esercizio non privo di qualche connotazione masochistica. Dalle cattedre che furono di Anceschi, di Cases, di Contini, di Guglielmi (Guido, ovviamente) si levano alti lai sulla morte acclarata o prossima ventura della letteratura e della critica. Pare che i nostri chiarissimi professori siano in preda a una sindrome millennaristica, apocalittica.

Può succedere però che, tra un Luperini dolente e un Lavagetto sconsolato, càpiti tra le mani un breve e densissimo libretto di Marco Belpoliti. Un libro dal titolo poco felice, Crolli, che a prima vista sembrerebbe del tutto in linea con la corrente catastrofista dominante, ma che in realtà se ne distacca decisamente.

Innanzitutto Belpoliti non entra neanche di striscio nell’annosa questione della morte presunta di letteratura, critica, poesia, arte: al contrario, per Belpoliti arte, letteratura e riflessione critica sulle medesime e sul mondo non sono mai state tanto vitali, tanto che proprio a loro dedica un intenso ragionamento che si protrae a ritmo incalzante e sostenuto per centocinquanta pagine filate.

Il ragionamento in questione è semplicissimo, per nulla originale, ma proprio per questo molto coinvolgente: ci sono due crolli significativi nella storia recente dell’Occidente, quello del muro di Berlino e quello delle Twin Towers di New York. Il primo fu una festa globale diffusa a reti unificate in tutto il mondo, caratterizzata da danze propriziatorie sui resti del muro, affratellamenti gioiosi fra gli abitanti delle due sponde, commercio festoso delle macerie. Il secondo fu una catastrofe globale, ugualmente amplificata e diffusa dai media in tutti gli angoli della terra. Le macerie di quella tragedia, a differenza di quelle del muro di Berlino, sono state occultate in discariche remote, in segno di lutto e di vergogna.

Partendo dalla differenza simbolica di questi due eventi, Belpoliti intavola un discorso serrato sul significato dei crolli nella cultura occidentale del secondo dopoguerra. Discorso che parte dalla cosiddetta realtà (Berlino, New York) per addentrarsi ben presto nella sua rappresentazione ad opera dell’arte e della letteratura.

Belpoliti rilegge le opere dell’ultimo decennio del Novecento come testimonianze di una percezione consapevole del ruolo del crollo e delle macerie nella cultura occidentale, senza indulgere alla tentazione di considerarle profezie del presente. Molto suggestiva, ad esempio, la rilettura in questi termini dell’opera di Don DeLillo, e in particolare di Underworld e di Mao II.

Quello di Belpoliti è un resoconto della vitalità artistica degli ultimi anni e della capacità dell’arte di cogliere lo spirito dei tempi e di anticiparne le mosse. Un resoconto redatto con piglio annalistico, con l’intento di registrare eventi mirabili e degni di nota limitando al minimo i commenti, più documentario d’autore che saggio critico.

Questa assenza di derive gnomiche o didascaliche è un motivo in più per apprezzare questo libretto, raro esempio di saggio dedicato a fare il punto più che a trarre conclusioni, a fornire al lettore strumenti interpretativi più che a consegnargli interpretazioni preconfezionate. A fine lettura resta la sensazione difficilmente argomentabile di aver letto un libro importante, un piccolo libretto che non potrà essere dimenticato troppo in fretta.

[Marco Belpoliti, Crolli, Einaudi 2005]

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