Largo ai giovani! Salvo Butera compirà 27 anni il 26 ottobre prossimo. Si è laureato a Palermo in Scienze della comunicazione con una tesi su Antonio Pizzuto, in una facoltà dove – come dice lui stesso – sarebbe stato molto più facile laurearsi su Montanelli. D’altronde è anche vero che su questo giovane ironico e solare nonché fidanzatissimo (parole sue) gravavano fin dalla nascita destini pizzutiani ineludibili: sua madre infatti è una Pizzuto, il suo comune di residenza Castronovo di Sicilia, e la dedica apposta da Antonio Pizzuto a Si riparano bambole è «Alle dilette Palermo, Erice e Castronuovo di Sicilia».
La pizzuteide ha già ospitato un bel saggio in cui Salvo dava prova di ampie ricognizioni sui testi pizzutiani e di non comuni capacità analitiche. Oggi si ripresenta in vesti più domestiche, raccontando il suo primo incontro con l’autore, con un parallelo dantesco tutt’altro che triviale.
Arcani semoventi
di Salvatore Butera
Sulla porta della mia classe di liceo avevamo affisso un cartello, a forma di tavola della legge, che riproduceva il verso: «Lasciate ogni speranza, voi ch’intrate». Era il nostro modo di giocare con la scuola e con quello che studiavamo.
Dante e la Divina Commedia, oltre a essere la materia preferita della classe, erano spesso al centro dei nostri giochi. Ma non solo. Si faceva a gara per imparare a memoria le frasi più celebri («Caron non ti crucciare, vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare») che utilizzavamo poi nelle nostre conversazioni e nelle letterine d’amore («amor, ch’a nullo amato amar perdona»). Gli anni che sto raccontando non sono poi così lontani: io ho frequentato il liceo scientifico dal 1993 al 1998, l’altro ieri, in pratica. Perché questa passione per Dante? Un adolescente, tutto sommato, avrebbe buoni motivi per non simpatizzare con quei lunghi canti scritti in rima (la tomba della libertà poetica!?) soprattutto in quella lingua di settecento anni fa, complicata e incomprensibile. E che dire poi di tutti quei significati nascosti dietro un singolo verso con la lonza che non è la lonza (e poi chi l’ha mai vista una lonza, non se ne parla neanche nei documentari alla tv), le similitudini, le metafore, le allegorie. Eppure uno spasso, meglio dei cruciverba.
Qualche anno dopo mi sono trovato tra le mani alcune fotocopie un po’ sgualcite su un tale scrittore del mio paese, che parlava del mio paese e della sua storia: ne lessi distrattamente alcune righe, con la convinzione di avere a che fare con l’ennesimo compendio storico sulla millenaria vicenda della mia Castronovo di Sicilia. Non capii nulla e passai oltre. Solo il cognome mi aveva incuriosito, lo stesso di mia madre: Pizzuto. Fu il motivo per cui mesi dopo ho cercato l’autore sulla Treccani della biblioteca comunale: «Ah, è uno scrittore, non uno storico». In libreria, a Palermo, l’unico testo che ho trovato è stato Narrare. Tutti i racconti e come mia consuetudine ne ho aperto a caso una pagina: «Come sull’opalescenza in penombra desta gli arcani semoventi». Opalescenza? Arcani semoventi? La vicenda diventava interessante.
Quello che accattivava le nostre simpatie al liceo era il «ch’intrate», cioè la diversità linguistica rispetto al comune parlare. Ci divertiva studiarla e risolvere gli enigmi che produceva. Allo stesso modo a rapirmi è stata la lingua di Pizzuto che, come quella di Dante (consentitemi l’accostamento, vi prego), crea enigmi, musiche, frasi da mandare a memoria e da ripetere («Multicolori palloncini pronti a grugnire», «È, cupola. Ancora un piccolo sforzo e arriva. Costola. Scapola. Fistola. Mo ti allontani»). Il mio favore non è mai andato al primissimo Pizzuto, quello ancora troppo poco rivoluzionario. Lo apprezzo, lo leggo, ma non mi esalta quanto «l’alpinista» successivo. E oso andare oltre: ancora più che leggerlo mi ha divertito studiarlo, Pizzuto. Ma quanti sono gli autori che offrono questo ventaglio di opportunità di studio, di scavo, sia al critico che allo studente?
Non è un caso che abbia iniziato parlando del liceo e concluda parlando di studio. Credo sia questa la chiave di volta che potrà dare lunga vita ad Antonio Pizzuto. I giovani si sa, vedono sempre più lontano.
e bravo Salvatore, lungiveggente e ardito esploratore di vette lastricate di parole: t’ho letto e ho parecchio apprezzato (peccato che risulti fidanzato!)
Cara Gabryella, purtroppo io mi fidanzo solo con le ragazze che si chiamano Gabriella, ma senza ipslon… Grazie comunque per tutti i complimenti, sei troppo buona nei miei confronti
“Si riparano bambole” è un libro che ho in conto di leggere, appena mi libererò di alcuni impegni che mi hanno coinvolto in questa settimana e che dovrebbero alleggerirsi da lunedì in poi.
Auguri anticipati a Salvo per il suo imminente compleanno.
Bart
@ Bartolomeo, sanissimo proposito, leggere le Siribambole (ueh, gente, comincio a darmi arie e usare lo slang degli iniziati :).
Le Siribambole garantiscono orgasmi musicali multipli carpiati. Diciamo un Mozart-Rossini Petite Messe Solemnelle fino a metà (nevvero? Che ne pensano i pizzutiani D.O.C?). Poi, nella seconda metà del testo ci si avvia verso la gloriosa e trionfale serie dei Requiem. E lì, uno non ha che l’imbarazzo della scelta: da Mozart all’imponente Deutsche Requiem di Brahms al Faure va tutto bene, figuriamoci.
Nutrirei invece qualche dubbio sull’opportunità di un accostamento del siribambolesco finale con la soi disant Messa da Requiem di Verdi (ricordiamoci come la fulminò il Gaddus, consegnandola per l’eternità a quel vecchio palco della Scala).
@ Salvo, io sono già (dis)impegnata. Tengo a precisarlo sia a te che a Gabryella, visto che non avendo una ipsilon potrei essere considerata soggetto a rischio nonchè rischioso e volendo evitare duelli rusticani.
…Però il mio “bravo” per il tuo lavoro posso dirtelo egualmente, spero?
olè! nuovi orizzonti si aprono per letturalenta: da blog ad agenzia matrimoniale! :-)
serio, buon impiego, militassolto e automunito cerca Y pari requisiti (a parte il militare) scopo seria amicizia
Si riparano bambole è un ritmo, certamente.
vedo che abbiamo passioni in comune ” LA LETTURA “, complimenti.