(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)
Iole, ovvero il desiderio di volare. Quanto ha ragione il vecchio Emilio: se solo fosse qui, Iole. Perché vedi, carissimo, gli aeroplani sono macchine meravigliose che possono anche uccidere gli uomini, e così sono le parole: splendidi marchingegni che possono uccidere i racconti. Conoscevo un tale, una volta, un poemetto epico in endecasillabi sciolti. Simpatico, non dico di no, anche se talvolta la sua conversazione diventava un po’ contorta, il suo pensiero un po’ arduo e intricato, difficile da comprendere. Questo succedeva per la sua ostinata ricerca di parole millimetricamente adatte alle sue necessità espressive, e a volte quelle che trovava erano così ricercate che le capiva solo lui. Un giorno voleva descrivere una scena di caccia, e ha iniziato a sciorinare il suo bel discorso raffinatissimo e perfettamente ritmato. A un certo punto però si è fermato e non andava più avanti. Che c’è? gli ho chiesto. La giusta locuzione non accorre, ha risposto, e se ne è andato via senza nemmeno salutare, bofonchiando mezze sillabe e scacciandole subito dopo: Verbo meschino! Non m’abbandonare! gridava a ogni fallimento. L’ho rivisto per caso sei mesi più tardi, ho mollato lì quello che stavo leggendo e gli ho chiesto se avesse trovato la parola.
– Sì, l’ho trovata, ma tanto ormai non serve più.
– Ma… che accade? Non parli più in endecasillabi?
– Che vadano al diavolo, gli endecasillabi.
– E perché?
– Perché con tutte quelle parole strane e quei versi perfetti, nessuno capisce niente di quello che dico.
– Cosa? Nessuno capisce? Sei tu che devi capire, non altri!
– Col cavolo, vecchio rottame, col cavolo!
– Cavolo? Rottame? ma…
– Sì, rottame. Che ti aspettavi che dicessi, eh! “residuato”? O magari “sopravanzo”? Col cavolo!
– Ma…
– E non stare lì a guardarmi con quell’aria da imbecille. È molto semplice: basta versi strani, basta parlar forbito. La gente vuole parole semplici, discorsi piani e scorrevoli, concetti facilmente comprensibili
– La gente? Non esiste la gente, esistono le persone, quelle che noi leggiamo, ricordi?
– Ma piantala lì, raccontucolo da dieci letture. Sai che succede? Succede che oggi io esco. Esco, hai capito?
– E dove…
– Ah ah ah! Ma lo vedi che non capisci nulla, avanzo di poetiche morte e sepolte. Ma séntiti: siamo noi che leggiamo loro! Dammi retta, ragazzo, se vuoi essere qualcuno, fai come me: una bella trama prefabbricata, due o tre colpi di scena al massimo; argomento attuale, possibilmente scottante; qualche lacrimuccia, buoni e cattivi al posto giusto e il gioco è fatto.
– Ho capito. Stai passando un momento di sconforto narrativo. Càpita sai? Prenditi una pausa, magari vai a fare due chiacchiere con un dizionario. Aiuta, davvero. Sai come sono, no? Un po’ spocchiosi, forse, ma tutto sommato d’animo gentile. Conoscono lemmi meravigliosi, ti aiuteranno a…
– Addio, anima bella, oggi io esco in prima edizione hardcover. Trentamila copie per cominciare, quattro passaggi in televisione e pubblicità su venti quotidiani. Avrò da leggere per mesi, come dici tu. Ah ah ah ah ah!
– Riprenditi, ti scongiuro! Non sei più tu. Anche se ti stamperanno in milioni di copie, stamperanno qualcosa che non sei tu, mi capisci? Mi ascolti? Ti uccideranno!
– Addio, macchietta d’inchiostro! Io esco, eh! Addio! Ah ah ah ah ah!
Fu terribile, credimi, terribile. Alludevo anche a lui nel mio capitolo ottavo, naturalmente, ma non fu il solo purtroppo. Quanti ne ho visti, fratello mio, quanti! E può anche darsi che tu… ma no, non è possibile… eppure potrebbe essere che… Forse l’hai letto? Dico l’hai letto giacché lui ha voluto dimenticare come si leggono gli uomini. Potrebbe darsi che tu… No! Preferisco non saperlo, non voglio sfidare la sorte. Non è facile resistere: migliaia di copie, centinaia di letture, decine di recensioni che, per quanto esecrande, sempre decine sono. E gente che ne parla per intere settimane, a volte anche per mesi, sebbene in numero massimo di due o tre. Insomma, capisci che per uno come me, uno che lotta onestamente per raggiungere quota venticinque, sono tentazioni tremende!
Ah, ma sto divagando e sto facendo del sentimentalismo da due soldi, me ne rendo conto, quel medesimo desiderio di approvazione e di applauso che rimprovero agli altri. È necessario cambiare registro, caro mio, dire quel nulla che si deve senza troppi lai e strizzatine d’occhio, cercando compulsivamente le parole giuste per dirlo. Siamo grumi di parole in cerca del reagente in grado di scomporci in atomi indivisibili. Siamo fragili architetture lessicali in attesa di poter essere ridotte in macerie. Agognamo l’incontro con colui che sarà in grado di esercitare su di noi un’acribia talmente appassionata e sincera da ridurci al silenzio. Iole è il desiderio di volare, ed è anche la sacerdotessa che consegna le parole di Franz all’eterna purezza della fiamma che le spegne per sempre.
Una chiusura poetica (acribia però m’è toccato cercarlo sul dizionario, ché mi ricordavo significasse ben altro, tipo cazzimma)
ma..ma qui, vedo, siamo all’aurora dell’autolibro (sì, col cavolo!)
CalMa, acribia mi sa che l’ha cercato sul dizionario anche il racconto medesimo, e non escluderei affatto cazzimma dal suo campo semantico.
Gabryella, ma se l’autolibro non si autolegge, poi può dire che non si è autopiaciuto? (son questioni pese, sono).