(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)
L’intenso e fecondo rapporto fra letteratura e umanità non è perfettamente simmetrico. Avrai notato, credo, che nella nostra conversazione l’iniziativa è nelle mie mani: sono io che decido sia i tempi sia i contenuti del nostro amichevole dialogo, mentre tu non hai il potere di cambiarli o di proporre i tuoi. Questa situazione non dipende da protervia mia o da tua debolezza. È un aspetto naturale del rapporto fra uomini e racconti, e né tu né io abbiamo il potere di modificare la natura delle cose.
Il nostro campo d’azione è assai limitato, a ben pensarci. I racconti non possono fare altro che impastare parole attorno a un’emozione o a un pensiero umano mentre gli uomini non possono fare altro che reagire a quell’impasto con nuovi pensieri e nuove emozioni. E se gli uomini non possono modificare le parole dei racconti, è pur vero che i racconti non possono cambiare le emozioni e i pensieri degli uomini. Se io mi lascio prendere talvolta dal timore di annoiarti o di perderti, è proprio perché non posso intervenire sulle sensazioni che si affollano in te man mano che ti leggo. Certo, posso notare un momento di perplessità o di sconcerto, una pausa di riflessione o un moto di ilarità, ma non ho mai un quadro completo e preciso delle tue reazioni. Analogamente, credo, tu non hai una comprensione chiara e totale delle mie parole, ed è questo che alla fin fine ti convince che non sarebbe giusto modificarle, anche se di tanto in tanto qualcuna di loro ti infastidisce o ti irrita.
Ma forse si tratta di scelta morale più che di necessità. A dire il vero, nulla ti impedisce di sostituire le mie parole con altre, come nulla mi vieta di inserire dopo ogni mia frase un inciso che ti dica cosa pensare o cosa provare in quell’istante. Ma è evidente che mettere in pratica queste possibilità significherebbe annullare la nostra relazione: io non saprei leggerti con parole non mie e tu non sapresti pensare pensieri non tuoi. Ecco dunque un altro ostacolo che in qualche modo ci tiene a distanza, ci distingue e ci impedisce di fonderci in un unico soggetto vivente e narrante. A volte questa nostra separatezza si riveste nei miei pensieri di un velo malinconico e drammatico. Vedo le barriere che ci separano e vorrei avere strumenti adatti e forza sufficiente per abbatterle. Il desiderio di essere tutt’uno con te è talvolta così intenso da sfiorare la disperazione e il pianto, perché se è vero che conosco molto bene il confine che ci divide, ignoro del tutto i motivi per cui è stato tracciato.
Il sogno di cui ti ho parlato nel diciassettesimo capitolo è la proiezione fantastica di questo desiderio di fusione, e in qualche misura anche le mie novelle vi alludono. La storia di un giapponese anonimo che si dimenticò di morire e la storia di un signore emiliano che volò a cent’anni hanno come pretesto vicende di vita vissuta, quei frammenti di umanità che i quotidiani e le cronache spesso chiamano fatti veramente accaduti, ma senza mai prendersi la briga di chiarire in che senso sono veri e in che modo accadono.
In un certo anno in Giappone è successo davvero che alcuni operai addetti alla demolizione di una casa rinvenissero lo scheletro di un uomo morto là dentro vent’anni prima, così come è assolutamente vero che nello stesso anno un signore emiliano nel giorno del suo centesimo compleanno ha realizzato per la prima volta il suo desiderio di volare. Infatti, come si suol dire, ne hanno parlato i giornali, e tanto basta a sancire la verità di questi avvenimenti.
Ma cosa resterebbe di questa verità se nessun racconto si avventurasse a reinventarla, travestirla, sviarla, sfumarla, depistarla, tramutarla in qualcosa di deliziosamente e inconfutabilmente falso? Perché, vedi, se proprio volessimo darci la pena di qualificare la nostra separazione, dovremmo concludere che la vita è vera e la letteratura è falsa: tu sei la verità, io racconto fole. Eppure, ascolta, cosa resterebbe di te se nessuno mai ti raccontasse? Quanta parte del tuo essere vero conosceresti senza le fole mie o di altri racconti? Chi meglio di noi ricettacoli di falsità e invenzioni sa dirti, magari per vie leggermente oblique, chi sei tu veramente? E intendo proprio chi sei, non cosa accade in te o attorno a te tutti i giorni, perché l’accadimento, il fatto, l’evento sono frammenti muti e indecifrabili se nessuno si ferma a raccoglierli, tradurli in frasi e rilegarli con un adeguato collante di sintassi, ipotassi o paratassi. Come potresti conoscere la tua storia se nessuno mai si prendesse la briga di inventare una storia? Inventare, dico, che è poi come dire mentire, imbrogliare, confondere, mestare, recitare, intrigare, falsificare, spergiurare.
Come è possibile, ti starai chiedendo, che questa somma di menzogne riesca a rivelare qualche verità sul tuo conto? Ah be’, se lo sapessi sarei il più grande capolavoro letterario di tutti i tempi, il primo e l’unico ad aver svelato il più indecifrabile dei misteri. Eppure è evidente che gli uomini riescono a sopportare la visione delle loro bassezze e dei loro errori, delle loro angosce e del loro dolore solo quando è riflessa nello specchio un po’ anticato e opaco di un racconto. Non sarebbero capaci di rimirare le medesime cose in sé stessi: resterebbero inorriditi e annichiliti, preda di un senso insopportabile di terrore e di devastazione.
Puoi contemplare senza timore la follia di Don Chisciotte, la furia omicida di Raskol’nikov o il disgusto di Emma Bovary per lo squallore della vita che conduce, perché sono solo un riflesso inesatto e sfocato della tua follia, della tua furia e del tuo disgusto, e vedendoli così, da lontano, hai tutto il tempo per mettere in campo le tue difese e le tue contromisure, mentre se ti si parassero davanti all’improvviso in tutta la loro evidenza potrebbero annientarti. Le vite così plausibili dei personaggi letterari possono salvarti dall’abisso perché sono palesemente false, talmente false che ti basta chiudere il libro per scrollartele di dosso e tornare a vivere la tua vita vera.
e quindi? (vacanzona, eh?!)
(e perdura, la vacanzzzzz…)
cosi’ si fa :-)
sarà l’ora dell’Elba?
Lo fu. Ora è l’ora della pennichella. Far vacanza stanca.