Si ringraziano: messer Matteo Bandello per il lessico, la sintassi e gli interi periodi rapinati alle sue Novelle; madonna senzaqualità per le illustrazioni.
Dirò adunque una novella, la quale appresi, or non è guari, da un di que’ menestrelli che per cittadi e castella sogliono andare, rinovellando gesta antiche e nuove imprese cantando.
Dovete sapere che in quei giorni era governatore d’Italia il prencipe Romano, della casata de’ Prodi da Bologna, uomo assai prudente e saggio, più ricco di virtù che di fortuna. Da due anni sbrigava gli affari di governo senza lodi soverchie e senza infamia, chiamando al servizio di ministri e consiglieri i capi di molte picciole e grandi fazioni, così che per contentare l’uno doveva giocoforza un altro rattristare, e molto più tempo spendeva a comporre liti che non a promulgare buone leggi. Cotesti suoi sodali erano notabili d’ogni parte d’Italia: il conte Lamberto Dini da Firenze, il giudice Antonino di Pietro da Montenero, il vassallo di Russia Olliviero de’ Liberti, le famiglie romane de’ Rutelli e de’ Veltroni, il cavaliere milanese Fausto Bertinotti, e millanta altri che a nominarli uno a uno troppo lunga istoria sarebbe.
Ma su un di questi conviene che un poco mi soffermi, un tal Clemente, mastro campanaro in quel di Ceppaloni, uomo ambizioso e ottimo oratore. Pur di bassa condizione e povero de’ beni di fortuna, con gran pazienza aveva radunato sotto le sue insegne una schiera picciola ma bellicosa di signorotti e notabili suoi compaesani, e con questi fece e brigò in modo tale e con tanta perizia, che la sua fama crebbe in tutto il beneventano, e con quella le provigioni che nobili e duchi gli facevano per i suoi molti servigi. Egli ebbe per moglie la baronessa Alessandra de’ Lonardi, donna eccellentissima e d’ogni virtù ornata, la quale ad altro non attendeva, che onorare e intertenere tutti coloro che ella giudicava utili ad accrescere la fama e i beni di fortuna del marito.
Ora avvenne che il capo della famiglia de’ Veltroni – la fazione più numerosa dalla parte del prencipe Romano – andava ragionando con l’avversario più temuto e forte del prencipe, il duca D’Arcore, e venne con questi più volte a parlamento. Un certo suo piano egli mostrava al duca, per intendersi a danno de’ piccioli partiti e procurare più stabile governo ai nobili e al popolo, che da tempo mormoravano contro l’esosità delle gabelle e le molestie de’ turchi. Il duca non disdegnava di prestare orecchio a quei disegni, stanco com’era di dover attendere – non meno del prencipe suo nemico – a sedare zuffe e romori che ogni dì nascevano fra le molte fazioni della sua parte.
Di questi ragionamenti fra il duca e il capo de’ Veltroni giunse notizia a Clemente il campanaro, che subito s’avvide di ciò che quelli andavano cercando e dove volevano con la barca arrivare, cioè alla rovina sua e delle picciole fazioni. Onde, tutto il giorno pensando su questo fatto, ne divenne molto malinconico. Allora la moglie molto il pregò che le volesse scoprire la cagione de la sua mala contentezza.
Udita la preghiera della casta donna, Clemente ristette alquanto, e infine rispose: «Moglie mia diletta, di buon grado vi dirò donde nascano i miei pensieri. Ho inteso come ‘l duca D’Arcore e il prencipe Romano sono sul punto di fare patto fra di loro, in modo tale che i servigi miei e dei miei sodali diverranno presto superflui, perciò che i grandi sogliono ingraziarsi i piccoli solo quando hanno avversari loro pari, ma presto li sdimenticano se con quelli stringono alleanza. Devo impedire che il duca e il prencipe s’accordino, ma non mi sovviene il modo di tenerli separati. Questa è la cagione de la malinconia che vedete dipinta sul mio sembiante».
La donna allora, fatto allegro il volto e suadente la voce, disse: «Clemente, voi sapete che sempre attendo a imaginare che modo si potrebbe trovare a metterci meglio in arnese di quello che siamo, e ad aumentare la vostra fama presso i notabili del regno. Esercitando di continovo l’arte d’onorare e guiderdonare chi può migliorare la nostra condizione, ho imparato a conoscere l’animo e le ambizioni degli uomini. Voglio dirvi il parer mio, che userete secondo il giudizio e l’utile vostro. Non c’è ambizione più grande nel cuore de’ potenti che quella di spegnere i nemici. Come voi stesso assai bene avete detto, quando le forze della loro parte non bastano, essi accetteranno di buona voglia i servigi di chiunque, e specialmente di quelli della parte avversa. Andate dunque alla corte del grande duca d’Arcore e offrite a lui il vostro braccio valoroso che oggi il prencipe Romano ha in dispregio, dopo averne usato per l’utile suo».
Clemente lodò la saggezza e il buon consiglio della moglie, e avrebbe voluto mandarlo presto ad effetto ma lo teneva ancora il dubio che, voltando le spalle al prencipe Romano, ei non guadagnasse fama di traditore, così che ‘l duca d’Arcore avrebbe potuto respingere le sue profferte, giudicandolo alleato ciarlatore e infedele. Ma tosto che ebbe questo suo dubio manifestato alla moglie, ella lo volle assicurare, e disse: «Nessuno potrà tenervi per traditore, se mostrerete che non siete voi a voltare le spalle al prencipe, ma lui a non darvi modo di restare». E cosí detto, ella si tacque.
Avendo ben inteso il consiglio della moglie, il mastro campanaro fece spargere la voce che dui cavalieri vassalli del prencipe Romano avevano più e più fiate insidiato l’onore e la castità della baronessa sua moglie, e della fellonia di costoro chiedeva conto al prencipe medesimo. Giunta la voce agli orecchi del popolo di Ceppaloni, grandi romori ne nacquero e gran tumulto, tanto che in capo a pochi giorni tutta Italia teneva per felloni i dui cavalieri e chiamava il prencipe a difesa della nobildonna oltraggiata. Dal che si vede che gli uomini tengono in gran conto l’apparenza più che la sostanza delle cose, e che da fantastiche chimere ed imaginarie invenzioni giudicano, senza punto di giudicio, quanto loro cade ne la fantasia.
Quando, chiamati a corte i dui cavalieri, essi furono trovati innocentissimi delle accuse lor fatte, Clemente molto si lamentò e tenne una publica orazione, accusando il prencipe d’aver mancato di difendere l’onore della sposa mandando prosciolti i colpevoli. E se bene questo suo ragionamento fosse contrario a come le cose erano seguite, tanto destramente Clemente lo difese, e con animo così acceso, che il popolo e i nobili non sapevano dargli torto. E certo egli è una gran cosa a saper colorire la menzogna sì bene che abbia faccia di verità, e ad animosamente narrarla, perciò che nelle dispute gli uomini tengono per veri i gridi più che i buoni argomenti.
In somma, per non vi tener piú in lungo, il prencipe Romano perse il sostegno della fazion di Ceppaloni. Clemente il campanaro mandò lettere e ambasciatori al duca d’Arcore, il quale di buona voglia accettò i suoi servigi. Il duca, uomo assai più ricco di beni che di consiglio, credeva infatti ciò che Clemente voleva si credesse, cioè che colui che con sì grande animo aveva difeso l’onore della moglie, del pari avrebbe difeso l’utile del suo nuovo signore e padrone.
semplicemente delizioso.
Assolutamente geniale
Troppo buoni, grazie.
bravissimo!
Grande Luca, brano strepitoso!
armando
pure, parmi che il tristo campanaro ebbe talvolta a ragionare (non senza profetica visione) con qualche picciola saggezza: “giovami credere, signori miei, che a la fine le cose d’alcuna importanza fatte di getto possano di rado sortir a buon fine, e che sempre non ci nasca qualche intrigo che poi ci apporti o danno o vergogna. E di questo ne veggiamo tutto il dí chiarissimi esempi..”
complimenti!!
se mi date il permesso lo passo sul mio blog con le dovute credenziali.
a presto e fatemi sapere
Socrathe, per il testo non c’è problema, per le immagini chiedo alla signora qui sopra.
Gabryella, vuoi dire che il campanaro potrebbe rimanere con le pive nel sacco? (escludo che si vergogni, comunque).
Grazie kalle & Armando.
per le immagini (consultati i messeri lotto e merisi): nulla osta
Consultati messeri e dame, l’ingegno, le parole, e ‘l mio vergar di carte faranv’osseqios’ il studio e l’arte. – Socrathe –
a presto e grazie ancora.
Messere,
assai mi havete sollazzato con cotal’ novella et è adunque acclarato che la triste et miseranda historia de la nostra infelicissima patria narrare si puote anche in guisa di facezia et in maniera dilettevole. Onore a Voi.
Madonna Santhippe
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è il commento di madama Santhippe, alla vostra novella.
ed io aggiungo ancora..
Fornita è questa storia al vostro onore.
affé mia, or è molto che non leggevasi con sì gusto di tali efferatezze contate con leggierezza et significatione