Una risposta pienamente condivisibile

Una risposta pienamente condivisibile all’articolo francamente miserello di Roberto Saviano sui moti di piazza del 14 dicembre.

“Questo governo in difficoltà cercherà con ogni mezzo di delegittimare chi scende in strada”, “ci sarà la volontà di mostrare che chi sfila è violento”, dice Saviano, troppo giovane per sapere che è sempre stato così. Da sempre i potenti sanno che dipingere il dissenso come minaccia al quieto vivere è una tattica vincente. Non c’è niente di nuovo in questo, e non è mai stata una buona ragione per smettere di protestare. Certamente non è una buona ragione per accodarsi agli slogan dei potenti.

Il 14 dicembre a Roma ci sono stati eccessi sia da parte dei manifestanti che da parte delle forze dell’ordine. Spetta alla magistratura stabilire se questi eccessi sono penalmente rilevanti. Il dato politico che Saviano mostra di non cogliere è che in Italia, all’altezza cronologica del 14 dicembre 2010, ci sono migliaia di persone a cui resta solo la piazza per manifestare il loro disagio. Il tasso di violenza di queste persone è politicamente (non penalmente) irrilevante. Quando migliaia di persone urlano a squarciagola che non ce la fanno più a campare, il compito dei politici e degli intellettuali non è quello di giudicare il loro tono di voce o la loro dotazione di spranghe e di molotov, ma è quello di restituire a queste persone buoni motivi per vivere pacificamente.

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3 Responses to “Una risposta pienamente condivisibile”

  1. Fra says:

    Certo,
    continuiamo a giustificarli, così tra un po’ deporranno la spranga e prenderanno la pistola. Questo è l’atteggiamento che ha portato al terrorismo in passato.
    La violenza NON DEVE trovare alcuna giustificazione. MAI!

  2. corpo10 says:

    Io sono d’accordo con l’autore del post, ma non capisco perché esiste una profonda differenza con Saviano. Bisogna saper discernere tra la protesta e la violenza, tra il necessario e il deprecabile

  3. letturalenta says:

    Il punto è che purtroppo non si va da nessuna parte mettendo sotto processo la violenza, che è un dato ineliminabile della dialettica fra chi detiene il potere e chi lo subisce. Il punto è che per ridurre ai minimi termini questo dato ineliminabile serve un patto sociale che funzioni. Il punto è che il patto sociale è saltato, e con lui la possibilità di tenere sotto controllo gli estremi della protesta.

    Va da sé che tutti sognamo cittadini mansueti che, se proprio vogliono protestare, sfilano ordinatamente per due intonando ameni canti popolari con accompagnamento di flauti e tamburelli, ma questo è appunto un sogno. La dura realtà è che in Italia ci sono milioni di persone che non hanno la possibilità materiale di progettare una vita tranquilla e umanamente decente, milioni di persone che per anni hanno provato a chiedere pacificamente una soluzione, e che adesso sono esasperate.

    Mi lascia sinceramente basito un intellettuale che, invece di usare le sue armi culturali contro le cause dello sfacelo sociale che stiamo vivendo, sceglie di criminalizzare le prime vittime dello sfacelo medesimo. In piazza a spaccare vetrine questa volta non c’erano i black bloc o gli infiltrati della questura, ma studenti e ragazzini. Saviano si è accorto della differenza? Mi sembra proprio di no. È partito a testa bassa contro quelli che tirano le pietre, assolvendo di fatto quelli che, avendo la responsabilità delle scelte di governo, non muovono un dito per garantire la stabilità sociale.

    “Finito il videogame a casa, continuano a giocarci per strada”, dice sarcasticamente Saviano. Dovrebbe piuttosto chiedersi come mai un ragazzinino di sedici anni va a spaccare vetrine anziché restarsene buono buono in casa a giocare con la playstation.

    Poi condanniamo pure la violenza, se ci fa sentire migliori di chi tira le pietre, ma non illudiamoci che serva a qualcosa.

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