L’Italia non ha bisogno di molti laureati in discipline umanistiche. Ha bisogno di una buona cultura diffusa, ma questo è tutt’altro discorso: e l’aiuto che le facoltà umanistiche possono dare in questo senso consiste soprattutto nel formare insegnanti eccellenti e intellettuali dotati di senso critico, non nel laureare in Lettere l’intera nazione. Questo non è ‘portare la cultura al popolo’, è prenderlo in giro.
Leggi tutto l’articolo Test d’ingresso nelle facoltà umanistiche. Adesso sul blog di Claudio Giunta.
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Claudio Giunta scrive con uno stile molto chiaro, figlio, immagino, di una notevole chiarezza di idee. Già questo basta a ripagare il tempo speso a leggere i suoi post. Questa volta, però, mi ha fatto piacere leggerlo anche perché quel che scrive mi riguarda.
Mi sono laureato in Storia alla tenera età di trentasei anni — già padre di un bellissimo cucciolo di un anno e in attesa del secondo, bellissimo fin dalle prime ecografie — il 19 marzo 1998, non a caso festa del papà. Il mio corso di studi si era svolto qualche anno prima, fra il 1981 e il 1986, rallentato all’inizio dalla scelta infelice di iscrivermi a Ingegneria e alla fine dalla scelta felice di trovarmi un lavoro che non avesse punto a che vedere né con l’ingegneria né con la storia.
Racconto questa botta di fatti miei perché mi sembra un’illustrazione abbastanza adatta per l’articolo di Claudio Giunta. Io fui tra quelli che si iscrivono a una facoltà umanistica per passione, cioè fui tra quelli che Claudio Giunta stigmatizza con educata ferocia nel suo post e sui quali lancia una fosca profezia:
Molti finiranno disoccupati a vita; molti cominceranno a fare a trentacinque anni un lavoro che avrebbero dovuto cominciare a fare a venticinque: dieci anni sprecati.
A me è andata meglio, un po’ per talento e un po’ perché — come disse Bora Milutinovic giusto pochi mesi dopo la mia laurea — “nella vita ci vuole culo e io ho molto culo”. Mi è andata decisamente meglio, ma non posso dire di non aver corso il rischio.
Col senno di poi, e per interposto senno di Claudio Giunta, oggi sconsiglierei a chiunque di intraprendere un corso di studi umanistico solo per passione, in primo luogo perché non tutti hanno il culo che ho io, in secondo luogo perché posso testimoniare che la passione per le umane lettere si può coltivare anche facendo qualcosa di diverso. Solo la passione, neh, non la competenza: per quella tocca proprio iscriversi a una facoltà umanistica e invocare da un nume a scelta la grazia di trovarci buoni professori, perché fino a quando l’idea del numero chiuso perorata da Giunta non diventerà realtà, il rischio di trovarci professori per passione è molto elevato.
Tags: Claudio Giunta, umane lettere, università
Te l’ho già detto che Giunta mi fa piangere? Sì, mi sa di sì. (Di vero dolore, intendo)
A me fa paura, soprattutto se penso che fra cinque anni il primogenito sarà matricola.
La simpatia che provo per Claudio Giunta è persino ovvia. Non dirò il perchè, perchè non è importante, ho letto alcuni suoi saggi, in rete e per via libresca, e li trovo per alcuni aspetti, (sono generico e sensistico e mi scuso) “scontati” nel senso comune e volgare del termine, ossia condivisibili, di buon senso e naturalmente e pienemente e gradevolmente logigi. Sono banalmente sensistico mi ripeto, vedo nello studioso e piacevolissimo medievalista (si può dire medievalista?) un “troppo estroverso”, come avesse da esplicare a inizio secolo quella estroversione militante che è condivisione di mera oggettività, forse un pò troppo.. Manca allo studioso a mio modestissimo parere, quella profondità soggettiva che è comune invece nei pensatori introversi. Con questo dico, mi ripeto, di condividere appieno le sue “considerazioni”, e ci metto pure un “ci voleva!” (Non ho mai compreso come si sia potuto persino considerarle libro di testo nei licei, le lezioni americane che sono di una banalità umiliante, ricordo in proposito le discussioni con mia figlia) Ma sono considerazioni di un appassionato, di un “perdiggiorno”. Ho cinquantunanni, ho avuto culo.