(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)
[Ma tu guarda cosa deve fare un povero racconto per campare: commentarsi da sé! Ma io dico, giustocielo, almeno un trafiletto in un giornale di provincia, che so, una citazione distratta del risvolto di copertina, una menzione di sfuggita in un convegno semideserto. Macché! Niente di niente!]
Ah, scusa, non potevo immaginare che tu fossi ancora lì. Stavo chiacchierando del mio quinto capitolo con un collega. Oddio, collega… un raccontino smilzo apparso due mesi fa su una rivista letteraria di limitatissima tiratura, ma tanto è bastato a riempirlo di un tale sussiego…
Il commento, ah!, il commento! Parole su parole; frasi talentuose e dotte che si sovrappongono alle nostre per disvelarne i significati più reconditi. Quale racconto potrebbe resistere al secolare lavoro di sempre nuove schiere di alacri interpreti? Esiste davvero Pinocchio? esiste Don Chisciotte? No, no, non loro! non il racconto, ahimè, arriva a conquistare le vostre coscienze, ma il commento. Il commento! Voi recensori e interpreti, insensati ospiti di parole di seconda mano, di quello vi gloriate; quello citate nei vostri afasici salotti letterari; quello mandate a memoria per figurare fra i cultori delle belle lettere. Vili birbanti! Mercanti di falsa moneta! Simoniaci! Voi fate commercio di ciò che fu dato gratuitamente all’umanità; voi esigete dalle intelligenze un tributo iniquo, perché non all’intelligenza sono destinati i racconti, ma alle profondità irragionevoli degli esseri umani. Non a ciò che riflette come levigato e gelido specchio noi ci rivolgiamo, ma a ciò che vibra e risuona come la ruvida segreta cavità di un istrumento a corde. E voi che fate? Cosa fate voi critici, come vi piace chiamarvi a vicenda, quando sovrapponete le vostre parole abusive alle nostre? Voi tappate proditoriamente la corda impedendole di vibrare! Voi uccidete le sublimi armonie del testo affogandole nelle sabbie mobili dei vostri limacciosi ragionamenti! Assassini!
Ti sembra forse che io esageri? ti pare che sia stato beffato ancora una volta dalle dannate civette? Allora ti faccio un esempio. Ecco un racconto:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
Ed ecco il commento:
Nel mezzo … vita: a trentacinque anni circa.
Selva oscura: è il simbolo dello stato di ignoranza e di corruzione dell’umanità.
Delitto! Infamia! Racconticidio! Tu. Tu sai che quel commento è moneta falsa. E se non sai spiegare le cause di questa tua consapevolezza con parole chiare e magistrali, non ti crucciare: va tutto a tua gloria e merito, quale indizio certo del tuo non essere interprete o recensore. Vil razza dannata! Come osano costoro imbavagliare l’armonia delle primigenie parole in un discorso predefinito, preordinato, prescritto? A trentacinque anni circa. E perché non nell’istante della nascita, o a diciassette anni e mezzo, o a settanta? Credono forse gli interpreti che un racconto non sappia indicare un’età esatta laddove la narrazione lo richieda? Il simbolo dello stato di ignoranza e di corruzione dell’umanità. Ma quando mai? Hai tu forse intravisto il simbolo dello stato di ignoranza e di corruzione dell’umanità in quell’innocentissima e altrimenti risonante selva oscura? E per qual specie di divieto esegetico non potresti vederci una banalissima ombrosa foresta, o uno stato di incerta agitazione emotiva, o una tenebrosa partoriente vagina?
Eppure non c’è racconto che non cederebbe tutte le sue metafore per un commento. Allo stesso modo gli uomini accettano volentieri di disfarsi del proprio dolore in cambio di un cattivante programma politico o di una rassicurante terapia psicanalitica. Sanno benissimo che quelle parole studiate per placare la loro angoscia non sono affatto ciò che vanno cercando. Essi vorrebbero un abbraccio, una pacca sulla spalla, un altro uomo che dicesse loro «Va tutto bene» o «Ce la farai», ma si arrendono molto prima di trovarlo. Anche noi cediamo ben prima di trovare ciò che potrebbe salvarci dalla morte: un racconto così compassionevole da inglobarci completamente nel caldo abbraccio di una lunga e appassionata citazione.
Giustocielo! mi sto ripetendo! Sull’importanza della citazione mi ero già soffermato nel terzo capitolo. Con parole diverse, è vero, ma è vero altresì che se a ogni concetto corrispondesse un solo insieme predeterminato di parole finiremmo tutti disoccupati. Non so se qualche interprete se n’è mai accorto, ma noi qui si va ripetendo le stesse cose da qualche migliaio d’anni: Eros e Thanatos, e quel brevissimo, inane battito d’ali che sta fra l’uno e l’altro.
“Esiste davvero Pinocchio? esiste Don Chisciotte?”
E che è? Telepatia negativa? Tu neghi l’esistenza di costoro e io alcuni minuti or sono, ho scritto tutto un pippone per dimostrare che solo loro esistono davvero?
Be’ a parte questo duello narratologico, come ben sai, il fascino dei libri che parlano di libri, di libri che parlano dei personaggi, di persone che entrano nei libri, di capitoli che parlano di sé stessi, di commenti che si esprimono, di capitoli che parlano ai paragrafi, è per me una cosa così meravigliosa che faccio parte già da tempo di quel club di cui parla Eco in una prefazione ad Alphonse Allais – e citanto Sterne (sempre sia lodato) e Felipe Alfau (che ha scritto Locos – introvabile pubblicòllo Leonardo Mondadori – e questo lo cito io): il club degli scrittori che parlano del modo come i libri si scrivono.
Bellissimo: non avevo notato che c’erano rimandi e questo era un progetto. Del resto, bloggo da poco come tu sai.
Vo a vedere il resto con calma e tempo. Benedìcoti Tassinari. Stasera Sterne sorride.
Te l’avevo ben detto che trovo l’argomento affascinante, no? Sterne sorride e Cervantes si frega le mani (va be’, la mano): Don Chisciotte che entra in una tipografia e legge la prima parte delle sue avventure è una pietra miliare di questo filone libresco. A proposito del quale, dato che siamo in ambiente blògghico, è doveroso citare il mitico zop, che dei ludi letterari ha sposato da gran tempo la causa.
Di zop ho avuto l’onore di fargli la prefazione in, non ho ancora ben capito che libro, e di ricevere poi un suo commento nel mio giardino. E soltanto il tempo mi ha impedito di addentrarmi bene nei suoi ludi passati: cosa che farò. Ma avevo già visto di zop e ribadisco.
Addentrati, deh, addentrati, che è una miniera!
Adoro ‘sto florilegio tra titani (continuate. m’assetto, leggo e imparo)