Il titolo scelto da Giornalettismo per l’ultima fatica letteraria di Federico Moccia è acidissimo, ma non ingiusto: Povera Yara, dopo la morte le tocca anche Moccia.
Il fecondo re della prosa melenso-pop ha infatti deciso che il mondo non poteva fare a meno di uno svolazzo moccesco sulla tragedia di Brembate e, dopo lunga e sofferta riflessione ha partorito una lettera, che nel vano tentativo di commuovere tocca apici irraggiungibili di sentimentalismo posticcio e cattivo gusto, terminando con con un capolavoro di umorismo macabro involontario — “io e tutti gli altri che amano, piangiamo con te” — rivolto a una persona che disgraziatamente non potrà mai più piangere.
Se mai ci fosse bisogno di segni forti del declino civile ed estetico che affligge l’Italia, questo sgorbio di Moccia sarebbe perfetto. Vado a vomitare.
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Il pezzo di Moccia è più che rivoltante, caro Luca, specie quando l’orrido Federico arriva alla vetta sublime di farsi pubblicità da solo dicendo – al nulla cui sta parlando, ma che dovrebbe essere una ragazzina morta ammazzata – qualcosa come “certo anche tu sognavi di innamorarti e salire tre metri sopra il cielo”, che è una cosa per la quale non trovo (non ci sono) gli insulti adatti in nessuna lingua del mondo.
In più, però, a questa sconcezza segue altra sconcezza nella litania dei commenti, in cui si insinua un troll, o forse una fan cerebrolesa, che risponde uno a uno a tutti i commenti indignati, in una difesa del tutto acritica del suo mito come nemmeno Bondi. Roba disperante, giuro.
Purtroppo il confine fra fandomism e stoltezza è molto lungo e molto sottile. La tipa che s’immola nella vana difesa dell’orrendo articolo di Moccia potrebbe ahimè non essere un troll. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, conforta che la stragrande maggioranza dei commenti sottolinei la sconcezza del brano.
L’insulto adatto per Moccia ce l’ho: acaro narcisista.