(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)
Eccoci dunque giunti al gran finale, laddove i fili dispersi della trama si ricongiungono in un’epifania di senso, i conti apparentemente sbagliati finalmente quadrano, e i personaggi – sentendosi ormai prossimi alla fine – disvelano il loro ultimo segreto in uno slancio di generosa agnizione. Noto che stai calcolando il numero di pagine che mancano alla fine, e ti vedo un po’ scettico sulla possibilità che proprio in questo punto giaccia il mio finale, quando ancora così numerosi sono i segni che seguono. Capisco la tua perplessità, e in un certo qual modo la trovo anche sensata, ma tieni presente che, come già dissi fin dal secondo capitolo, il finale di un racconto è un concetto relativo, del tutto indipendente dal numero e dalla successione dei segni grafici in cui è stato trascritto. È ben vero che ogni racconto ha un inizio e una fine, o quanto meno una prima parola e un’ultima, ma sarebbe doloroso separare a forza ciò che cade fra questi due punti convenzionali da tutto ciò che precede e che segue. Prima di me ci sono miliardi e miliardi di parole, e dopo di me, ne sono certo, non ci sarà il diluvio. Io non sono altro che una breve scena di una lunghissima commedia iniziata chissà quando e votata per sua natura all’eternità. È già successo che il capocomico tagliasse qualche scena per salvaguardare l’insieme, e non è detto che io non sia la prossima.
Vedi dunque a quale precario destino siamo chiamati, e quanto è lecito e, oserei dire, prudente che io consideri mio finale ogni mia parola o spazio bianco o virgola o accapo, così come qualsiasi uomo saggio farebbe per ogni istante di veglia. Noi racconti siamo tutti necessari e superflui al medesimo tempo. L’altro giorno stavo chiacchierando proprio di questo con Herzog – un romanzo psicologico simpaticissimo ma anche un po’ eccentrico – e a un certo punto mi ha detto: «Lui faceva l’impossibile per dividere con gli altri, raccontando la propria storia. Poi, a metà del racconto, s’accorgeva a un tratto che non aveva il diritto di raccontare, d’infliggere ad altri la storia delle sue sventure, che il suo immenso desiderio di ricevere conferma, aiuto, giustificazione, era vano, inutile. Peggio, era poco pulito». Sì, te l’ho detto, è un tipo strano, e ama parlare di sé in terza persona, ma a parte questo ti assicuro che è davvero in gamba e molto intelligente. Le sue parole descrivono con grande efficacia la nostra precarietà. Dedichiamo intere esistenze a tracciare rotte navigabili, e crediamo di farlo a vantaggio di tutti gli altri racconti, perché sappiamo che tutti abbiamo bisogno di carte, mappe, punti salienti, sestanti, bussole e fari per orientarci nel mare magnum. Tuttavia non possiamo mai avere la certezza o la presunzione che il nostro gran daffare sia veramente utile alla letteratura. Anzi, a volte ci coglie il dubbio di essere spinti da motivazioni poco pulite, come dice Herzog, ovvero più dal desiderio di essere guidati, che non da quello di guidare. E se questo dubbio si rivelasse fondato, sarebbe la prova che siamo superflui, scene che prima o poi verranno tagliate dalla grande commedia millenaria.
Non vogliamo che il dubbio ci vinca, però, per non cadere nell’apatia e nell’ignavia. Salpiamo fiduciosi le àncore, tracciamo una rotta e impetriamo la grazia di un vento favorevole e di onde compiacenti. Siamo vascelli di ogni dimensione e forma: austeri incrociatori dalle grandi torri prodiere; sommergibili cauti e circospetti stregati dall’abisso; allegre fregate dalla snella figura; sampam schivi e riservati con le pudende coperte da vasti gonnelloni cilindrici; dondolanti bettoline vagamente depresse; motoscafi arroganti e un po’ dandy; augusti galeoni dai modi disdegnosi; navi scuola di facili costumi; piccole canoe amanti della natura; eleganti piroscafi panciuti e imborghesiti. Alcuni di noi amano i viaggi tranquilli e i grandi porti sicuri, altri seguono rotte avventurose e prediligono gli approdi isolati. Ci sono quelli che navigano a vista e attraccano dove càpita, altri che non si discosterebbero mai da una rotta conosciuta. C’è chi naviga per il gusto di navigare e chi si è dato mete precise; chi affronta il viaggio con spirito meditativo e filosofico e chi lo fa con piglio da turista.
Tutti vaghiamo di approdo in approdo, a volte attraccando con robuste gomene, altre volte gettando solo un ancorotto. Io sono una giunca non priva di difetti di calafataggio e con la vela strappata. Conto su di te per accostare un poco e sottopormi a qualche piccola riparazione.
Ti sei dimenticato di smentire il post precedente, dopo il mio chiarimento. O vuoi essere accusato di diffusione di notizie false e tendenziose?
Lucio, ho controllato: il mio post precedente non contiene affermazioni false, quindi non ho nulla da smentire.
CIAO LETTURA
sto scrivendo uno speciale su libri, editoria, blog e rete per la mia rivista. tra poco toccherà a vibrisselibri. se hai qualche dritta interessante fammi sapere. saluti
mel
Ciao Mel. Grazie della segnalazione. Ti rispondo per email.