Domanda: Inviteresti a un master universitario di argomento storico un tale – privo di qualsivoglia titolo accademico in materia – che da trent’anni a questa parte gira il mondo dichiarando che Napoleone non è mai esistito?
Se hai risposto no – o mio solitario lettore – allora è probabile che tu condivida la mia sorpresa nell’apprendere che Robert Faurisson è stato invitato a tenere una lezione all’Università di Teramo, per l’appunto nell’ambito di un master universitario d’argomento storico. Faurisson è un tale che da trent’anni e rotti sostiene che nei campi di sterminio nazisti non c’erano le camere a gas, che quelli non erano nemmeno campi di sterminio, e che la Shoah è un mito creato ad arte dalla terribile lobby sionista allo scopo di fondare lo stato di Israele, primo passo verso la conquista del mondo.
La “lezione” fortunatamente non si è tenuta. Come suol dirsi, i particolari in cronaca. Aggiungo qualche considerazione personale.
Dico subito che nego il mio plauso al gruppo di ebrei romani (così sono definiti nelle cronache) che a Teramo ha aggredito Faurisson e Moffa con spintoni e tentativi di schiaffeggiamento. Simili “azioni punitive” servono soltanto a confermare i negazionisti nella loro follia e a fornire loro una ghiotta occasione di presentarsi come martiri perseguitati. Ritengo molto più utili ed efficaci le sberle metaforiche, che peraltro la comunità scientifica non ha mai lesinato a questi sottoprodotti dell’antisemitismo più bieco e feroce.
Faurisson non è uno storico, non ha alcun titolo accademico in discipline storiografiche, verrebbe quasi certamente bocciato a un esame di storia contemporanea, probabilmente prenderebbe un bel quattro in un’interrogazione di storia al liceo, eppure… Eppure in Italia non ci facciamo mancare un Claudio Moffa che lo invita a esporre partitamente i suoi deliri in un’aula universitaria. E se l’Università – come è successo – chiude i cancelli per impedire che nelle sue aule si consumi una pagliacciata infame, ecco che lo stuporoso Moffa urla e sbraita a destra e a manca contro i nemici della libertà di espressione.
Il concetto di libertà di espressione è forse uno dei meno digeriti dalla nostra stravagante cultura occidentale, a dispetto delle sue radici illuministe e libertarie. Esprimere opinioni, idee, pensieri – ma anche idiozie e corbellerie assortite – è certamente un diritto di ogni bipede dotato in varia misura di cervello e di parola. Al diritto di ciascuno a esprimere le proprie opinioni, però, corrisponde il diritto altrettanto inviolabile a non prestarsi alla loro diffusione, qualora dette opinioni risultino in contrasto con uno o più principi a cui i potenziali diffusori si ispirano.
Qualunque ateneo del mondo, per esempio, ha il sacrosanto diritto di non dar retta a chiunque sostenga teorie in palese contrasto con decenni di ricerca seria e certificata da organismi scientifici competenti. Nessuno ha il diritto di usare un’aula universitaria per sostenere che la terra è immobile al centro dell’universo o che Napoleone non è mai esistito. Allo stesso modo Faurisson non ha il diritto di usare un’aula universitaria per sostenere che la Shoah è un falso storico.
Oltre a berciare contro presunte violazioni della libertà di espressione, Moffa vorrebbe che chi non è d’accordo con Faurisson accettasse di misurarsi con lui in un contraddittorio pubblico. In altre parole, Moffa chiede alla comunità scientifica di aprire un canale di confronto e di dialogo con un individuo che per trent’anni filati ha fatto strame di tutte le regole della storiografia. Faurisson – adottando i metodi tipici della “tradizione” negazionista – ha operato una selezione capziosa dei documenti che ha visionato, tacendo accuratamente tutti quelli contrari alle sue tesi; ha tentato, con esiti ridicoli, di “interpretare” prove schiaccianti rovesciandole a suo favore; di fronte all’evidenza di fatti ampiamente documentati ha tentato di dichiarare falsi i documenti, con esiti ancora più ridicoli. Non lo dico io. Lo ha detto quasi trent’anni fa Pierre Vidal-Naquet, uno storico di fama mondiale. I suoi saggi contro il negazionismo – in cui ha mostrato con abbondanza di argomenti che quelle di Faurisson sono corbellerie e falsità – sono di pubblico dominio. Potrebbe leggerli perfino Claudio Moffa.
Se un tale pretendesse di iscriversi al Giro d’Italia – gara notoriamente ciclistica – sostenendo che lui ha tutto il diritto di correrlo in motocicletta, gli organizzatori avrebbero l’obbligo morale di iscriverlo? E perché mai la comunità accademica dovrebbe mettersi a discutere con un individuo che non ha mai accettato le regole del confronto scientifico? Ne prendano atto i solerti difensori a senso unico della libertà di espressione: questo dovere non esiste.
Altre opinioni sull’argomento: bloggoanchio 1, bloggoanchio 2, rosalucsemblog, ipazia.
Su queste cose, io darei massima visibilità: lascerei loro pieno accesso non ad aule universitarie, ma alla radio e alla televisione. Un’ora, anche due per parlare. Ovviamente con gente che ha letto Vidal-Naquet a porre le domande.
Napoleone chi? Il personaggio dell’esiziale 5 Maggio? :D
Proprio lui, CalMa. Cfr. Whately-Peres-Newlight, “L’imperatore inesistente”, Palermo, Sellerio 1991 :-)
Ti dirò, Ivo, non credo che sia possibile discutere con personaggi che ai metodi condivisi della storiografia preferiscono quelli della propaganda.
Faurisson è stato sbugiardato e ridicolizzato da fior di storici con titoli accademici di prim’ordine; le tecniche falsificatorie dei negazionisti sono state svelate da storici e semiologi (qui da noi Valentina Pisanty); gli studi storici seri e documentati sulla Shoah sono innumerevoli.
Se tutto questo non basta a dare al negazionismo la patente che si merita, non vedo a cosa potrebbe servire una trasmissione radiofonica o televisiva, anche di ottima fattura, manco se a fare le domande ci fosse Vidal-Naquet redivivo.
La posizione di Vidal-Naquet è sempre stata netta: discutere DEI negazionisti e non CON loro.
Riguardo al figlio di un deportato che reagisce a una provocazione indegna:
nessuno di noi può mettersi nei suoi panni, provare cosa vuol dire ricevere un’offesa intollerabile che sparge sale su ferite insanabili, essere stigmatizzati in una “categoria” (“razza”, “stirpe”, o quant’altro, fate voi) che, dopo tutto quello che ha subito, è ancora oggetto di attacchi razzisti, allusivi o sfacciati, insinuanti o fisici.
E’ su questo punto che mi distacco dall’articolo.
La questione, almeno per me, non è quella di plaudire o meno un gesto; quanto piuttosto quella di tenere viva la misura, la dismisura, di esperienza che può portare molti di noi a giudicare un atto in base a una norma, a uno standard di “civiltà” che rischia di renderci insensibili alla violenza costitutiva che la anima, così pervasiva che spesso non l’avvertiamo più.
E una virtù civica, una resistenza all’intollerabile, può così apparire “incivile”.
Forse la traccia nietzscheana di una scrittura irricevibile per i lettori frettolosi, potrebbe aiutarci a lacerare quest’universo asettico. Spero…
Rudy, non nego che chi ha assalito Faurisson e Moffa avesse validissimi motivi per essere più che indignato con loro, fino a perdere il controllo. Le motivazioni che adduci tu sono più che sufficienti, e le condivido. Quello che critico, e che mi trattiene dall’applaudire, è l’inopportunità del gesto, perché credo che uno dei suoi effetti sia quello di fornire ai negazionisti e ai loro sponsor una patente di perseguitati che non meritano minimamente. Ciò detto, per me gli incivili in questa vicenda sono Faurisson e Moffa, non certo chi li ha strattonati e spintonati un po’.
Sul monito di Vidal-Naquet a non discutere con i revisionisti concordo in pieno, e lo rinforzo con un aforisma, popolarmente attribuito a Carducci, che mio padre mi ripeteva spesso: “Ci sono solo due cose impossibili per un uomo: pisciare controvento e discutere con un cretino”.
Non speravo vanamente.
Lascio per te e e per i lettori non frettolosi, un brano da “Perdonare?” di Vladimir Jankélévitch:
“Ma Auschwitz, ripetiamolo, non è argomento di discussione; Auschwitz esclude i dialoghi e le conversazioni letterarie; e la sola idea di confrontare il Pro e il Contro ha qui qualcosa di vergognoso e di derisorio; questo confronto è un’indecenza nei confronti dei suppliziati. Le “tavole rotonde”, come si dice, sono fatte per i giochi ai quali si dedicano ogni estate i nostri brillanti conversatori durante le loro vacanze; ma i campi della morte sono incompatibili con questo genere di dibattiti e di cicalecci filosofici, Del resto il nazismo non è un'”opinione”, e non dobbiamo prendere l’abitudine di discuterne con i suoi avvocati.”
Una voce dall’oltretomba, purtroppo, non solo perché Jankélévitch ha chiuso bottega da un pezzo, ma anche perché questa fermezza contro il nazismo e i suoi avvocati sembra provenire da un’epoca remota. Oggi temo che siano più ascoltati i disgraziati come Moffa, uno che si vanta che al suo master siano intervenuti personaggi come Serge Thion e Maurizio Blondet, neh…
Una voce che ci dà la dismisura tra quel tempo e l’oggi.
Ma in molti paesi europei, che si fanno carico della responsabilità di aver avuto una storia fascista e/o nazista, certe cose italiche sarebbero state impossibili. Non bisogna dimenticare è che è in Italia che si è strutturato il primo regime fascista (in senso proprio e pieno).
Però, di fronte alla nuova provocazione negazionista non c’è stato silenzio e neppure rassegnazione.
E anche in Italia ci sono notevoli storici, intellettuali e politici che rifiutano il dialogo coi negazionisti. E, a quanto pare, sanno farsi sentire.
E’ straordinaria la coincidenza che nel romanzo di W.G.Sebald appena riletto (certamente lo conoscerai, “Austerlitz”) ci sia Napoleone già nel titolo. E poi senz’altro il tema della memoria. Ma quel che è sorprendente, e attiene al topic di questo post, è che ci sia lì dentro una sfaccettatura del negazionismo di cui parli. Intendo, con ciò, il tentativo di camuffare la realtà e occultarla, perpetrato scientificamente dai nazisti nel campo di Terezin. Solo questo volevo segnalare. Un libro meraviglioso un’occasione in più per riflettere e non dimenticare. Ciao