Gli americani, quando parlano di affari (Believe in what you sell)

L’altro giorno, assieme a un mio socio, ero al telefono con Jack, un americano che adesso abita in Australia, che ci aveva chiamato per raccontarci quanto gli sarebbe piaciuto che la nostra azienda distribuisse in Italia certi prodotti americani che la sua azienda già distribuisce in Australia, Gran Bretagna e Olanda.

Jack era seriamente intenzionato a presentare bene la mercanzia e rendere allettante l’offerta, e lo faceva con uno stile molto americano, dichiarandosi interessato, anzi, excited all’idea di unire le nostre forze per conquistare il mercato italiano. Chissà perché gli americani si eccitano a parlare di affari. Questa sfumatura erotica che danno al business mi ha sempre incuriosito.

Parla che ti parla (tanto la telefonata dall’Australia la pagava lui), dopo che Jack ci ha spiegato per bene le meraviglie dei suoi prodotti, cominciamo a fare noi qualche domanda di altissimo profilo, tipo quanto costa this stuff, quanto mercato ha, quale sarebbe la nostra percentuale, perché noi italiani, quando parliamo di affari, siamo molto meno erotici e più prosaici degli americani.

A sentirci così poco eccitati e così tanto interessati a vili dettagli pecuniari, Jack deve aver percepito da parte nostra un atteggiamento non dico ostile, perché il tono della conversazione è rimasto sempre amichevole e rilassato, ma di sicuro molto più prudente e pratico di quello che lui si aspettava (gli americani, quando parlano di affari, sembra sempre che ti stiano invitando in vacanza a spese loro, e si sorprendono tantissimo, quasi si offendono se tu non accetti subito le loro proposte con abbondanti wow! e cool!).

Allora, forse per riaccendere l’entusiasmo e strapparci qualche wow!, Jack ha calato l’asso, la frase che secondo lui doveva riassumere tutta la forza della proposta e contenere tutte le buone ragioni per accettarla senz’altro: I believe in what we sell, credo in quel che vendiamo. E meno male che non eravamo in videoconferenza, perché a vederci piegati in due dal ridere non credo che l’avrebbe presa molto bene e tutto sommato mi sarebbe dispiaciuto, perché Jack è un tipo simpatico, forse non esattamente cool, ma simpatico sì.

Quella frase non mi usciva più dalla testa. I believe in what we sell. L’ho cercata in google e ho scoperto che believe in what you sell è uno slogan usato da qualche guru della motivazione personale, naturalmente americano, quindi ho pensato che potrebbe essere in corso uno spostamento epocale dell’approccio americano agli affari, dal piano erotico a quello religioso. Sta’ a vedere che questi da excited mi diventano faithful o believer, quando parlano di affari.

Poi ho provato a immaginare cosa potrebbe succedere se questa deriva religiosa del commercio si diffondesse a livello planetario: salumieri devoti agli insaccati; ortolani che accendono ceri a un dio lattuga; processioni di sarti che intonano inni sacri al doppio petto; assicuratori che edificano cosmogonie in forma di polizza. Ci sono delle volte che anche a lavorare uno si diverte.

7 Responses to “Gli americani, quando parlano di affari (Believe in what you sell)”

  1. Isa says:

    Il post è godibilissimo, ma io spero di non darti un dolore se ti dico che l’«excitement» americano, nel 99,5% dei casi, non è la nostra eccitazione… quando il tuo anglofono amico Jack si dice «excited» è semplicemente euforico, esaltato, elettrizzato se vuoi. Excited può essere anche un’anziana dama inglese alla prospettiva di provare un nuovo dolcetto con il tè, o un settenne prossimo a un giro di giostra. (Quell’altra cosa si dice «aroused», tanto per capirsi.) E ora vado a prosternarmi dinanzi al mio altare di vocabolari. (Bacio.)

  2. letturalenta says:

    Non mi dai dolore alcuno, zietta! Tutto verissimo quel che dici (e ci mancherebbe altro), ma uno degli aspetti divertenti di queste comunicazioni internazionali consiste proprio nel prendere alla lettera qualche false friend e figurarsi le conseguenze, come, in questo caso, il passaggio del povero Jack da uno stato di eccitazione sessuale a uno di religiosa devozione.

    (Un bacione a te e a Nina (+tiratina d’orecchie per il secondo complemese) e una virile stretta di mano a giampippetto, coso lì, come si chiama).

  3. melpunk says:

    OT

    Antonio Pizzuto

    Sinfonia (1927)

    A cura di Antonio Pane

    Pagine 148, €15,00

    anno di pubblicazione 2009,collana Arno n.9

    Con questo libro, radicale rielaborazione di un omonimo testo del 1923, Pizzuto si propose di realizzare, come scrive nel “manifesto” che lo accompagna, «una nuova espressione artistica in sostituzione del Romanzo». Suddiviso in quattro tempi (Eroica, La Follia, Marinaresca, Marcia funebre) e una Coda, il lavoro assume la forma di una composizione musicale, spingendosi fino a «stati puramente fantastici, lirici e mitici» che toccano di volta in volta un popolo in armi alla riconquista della terra perduta, il mostruoso sviluppo di una città tentacolare, una apocalittica invasione di serpenti, la solitudine di una creatura marina antropomorfa, una statua gigantesca che produce incessanti scintille, la disperata ricerca di una donna scomparsa fra le montagne.

    Antonio Pizzuto (Palermo, 1893 – Roma 1976) è il narratore forse più originale del nostro Novecento. Cresciuto in una famiglia di tradizioni umanistiche, si laureò in giurisprudenza e quindi in filosofia, svolgendo una carriera di funzionario di polizia, conclusa nel 1950 con il grado di questore. Dopo la pensione si dedicò interamente alla scrittura, producendo una serie di opere narrative che meritarono l’ammirazione di Butor e Contini, e rimangono memorabili per audacia strutturale e perfezione stilistica. Fra esse si ricordano Signorina Rosina, Si riparano bambole, Ravenna, Paginette, Testamento, Pagelle, Ultime e Penultime. Dopo un ventennio di “oscuramento”, Pizzuto è stato negli ultimi anni oggetto di una riscoperta, che ha portato alla ristampa di varie opere, alla pubblicazione di gran parte degli inediti e di numerosi epistolari.

    Lavieri edizioni

    Francesca Romana Gallerani

    Uff.stampa

    francescagallerani@gmail.com

    3477415211

  4. Isa says:

    Hai sbagliato tutto come al solito, Tassa. Nina deve venir su temprata a virili strette di mano, mentre giampippetto coso adora bacini e tiratine d’orecchie. Certo che se devo sempre spiegarti tutto io…

  5. HORNY è il termine adatto, mio caro. Ah, se ai nostri editori si rizzasse un po’ di più al pensiero di cosa inserire nei propri cataloghi. Invece mi sa che gli si ammoscia… se pensano a what they sell.

    A proposito: sei passato di qui?

    http://www.lapeperini.wordpress.com

  6. letturalenta says:

    Sì, ci sono passato e sono subito scappato, per via della tipa che si taglia il labbro: trooooppo truculenta.

  7. si taglia la lingua, in realtà. allusione alla Lippa che taglia la lingua a chi non si allinea alle sue opinioni. insomma predica bene, razzola male e ruzzolerà anche peggio (ormai dialoga solo con le quattro ochette rimaste a farle corona).

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