Neuropa

NeuropaNeuropa è un libro antico quanto a sviluppo della sua vicenda editoriale. Al giorno d’oggi, si sa, un libro nasce prima della sua uscita in libreria, quando qualcuno ne parla nei luoghi deputati alla promozione libraria, campa a stento un paio di settimane sui banconi delle novità, vivacchia un altro paio di mesi sugli scaffali tematici e infine entra nel turbine delle rese, dei remainder o del macero.

Un tempo, invece, molto tempo prima di Walter Benjamin, i libri restavano in libreria per molti mesi, a volte per anni interi, e gli adepti del sacro fuoco letterario ne discutevano per lungo tempo dopo averlo letto e riletto. Neuropa, poema epicomico in prosa di Gianluca Gigliozzi, snobba da par suo le normali librerie in cui si accalcano sgomitando schiere di normali romanzi, racconti e simili abusate formule narrative.

Per esempio a Bologna – unica città al mondo, credo, in cui allignano più librai che verdurieri – Neuropa si trova in una sola libreria e solo su esplicita richiesta del volenteroso lettore. Giunto colà, infatti – e solo dopo aver posato alla cassa una corposa piletta di volumi per entrare nelle grazie dei commessi – sciorinai le coordinate bibliografiche del tomo con rara completezza e precisione, ottenendo dallo stupefatto cassiere un eloquente see, figurati se ce l’abbiamo!, fortunosamante seguito da ricerca sul catalogo elettronico dell’esercizio e reperimento del tomo in apposita collocazione, esoterica quanto basta per risultare irreperibile ai non iniziati.

Neuropa è un libro antico anche quanto a contenuto. Non romanzo, ma poema – i suoi modelli sono tutti preromantici, da Rabelais al romanzo picaresco, dalla narrativa comica di Fielding e Sterne al conte philosophique illuminista, dalla novella trecentesca – passando per Teofilo Folengo – al Don Chisciotte e al teatro elisabettiano. Il teatro è il punto di riferimento letterario più forte di questo libro. Al di là degli omaggi espliciti a Shakespeare e a Weiss, tutto l’impianto narrativo di Neuropa è una gloriosa e ilare messinscena, dove ilare va inteso come modo di rappresentazione più che come attributo delle vicende rappresentate.

Il personaggio principale di Neuropa è IO (maiuscolo), un soggetto vivente e narrante ancora privo della capacità novecentesca (e freudiana in particolare) di autodefinirsi, di capirsi, di comprendersi. IO è un nevrotico storicamente vissuto sul confine fra diciasettesimo e diciottesimo secolo dell’era cristiana. Giudicato pazzo dal mondo, viene rinchiuso ancora giovanissimo nel manicomio di Charenton, dove collabora con il marchese De Sade alla messinscena di un’opera teatrale che ha come protagonista il medesimo IO, frantumato in una serie di personaggi tendenzialmente psicotici: frate domenicano, bandito, padre di figlio pazzo, ma anche Newton, il medesimo divin marchese, Voltaire. Questa rappresentazione nevrotica, comica, grottesca occupa gran parte del libro, che si conclude su una nuova commedia pensata da IO dopo la morte di De Sade: una rappresentazione truculenta della rivoluzione francese, dove la fanno da padrone il sangue delle decapitazioni, le teste spiccate dai corpi, i corpi privi di testa.

Al termine di questa modernissima comedie humaine resta la percezione esatta di quanto la follia, la stupidità, l’alienazione e la nevrosi abbiano contribuito a formare il modello civile al quale stolidi intellettuali ancora osano attribuire nomi altisonanti quali Civiltà Occidentale. Neuropa dimostra piuttosto come la cifra dominante dell’Occidente sia appunto l’occaso, il tramonto, la decadenza, il cupio dissolvi, la corsa sfrenata e inarrestabile all’oblio, al disfacimento, alla tomba.

Servirebbero astuti quinterni fitti di annotazioni per rendere conto della complessità di questo testo, ma basti qui annotare di striscio che finalmente la letteratura italiana contemporanea mette a disposizione un testo, un ordigno verbale e sintattico che arguti e perversi delibatori potranno analizzare a loro piacimento. Neuropa è un testo profondamente imitativo e citatorio, due qualità che si credevano perdute nel vortice borghese e sterile dell’originalità a tutti i costi. Il lettore gode senza ritegno quando si ritrova a inseguire uste di perduti stili narrativi, dall’immortale trattino sterniano che regola le pause di lettura alla riproduzione sfacciata dell’oscena progressione maccaronica: Inculterra, lorda spanna di suolo, smoccolatoio del logos, parlaescrementi muffi, circoli di birrafondai merdofori maledictus sit patriarchas et profetas, eccetera, a pagina cinquantasette.

L’incipit fulminante di Neuropa è In principio fu il pronome, ottonario che subito annuncia il linguaggio tra biblico e gnostico che dominerà l’intero componimento, ma che annuncia anche un piano di lettura pronominale che merita di essere evidenziato. Ci sono tre pronomi sottolineati tipograficamente dal maiuscolo nel testo: IO, il protagonista molteplice e alienato; LUI, un diavolo molto simile al Voland di Il maestro e Margherita di Bulgakov; e soprattutto LEI, che con ineffabile potenza grottesca non è una soave fanciulla, bensì la scoreggia, la deiezione, la sublime diarrea che affligge l’umanità dall’inizio dei tempi e che qui rappresenta forse il segno distintivo e il destino ultimo dell’umano genere.

A guisa di nota conclusiva, si noti che Neuropa – testo antico sotto molteplici aspetti – è una delle novità più eclatanti di questa apertura di millenio sul suolo italico: è un libro intensamente realista, ma di un realismo antico, magistralmente codificato dall’Auerbach di Mimesis; è un libro che parla del presente senza mai nominarlo; è un libro che non si vergogna delle proprie origini letterarie; è un libro che ha scelto di diffondersi su canali impropri, lontani dal kitsch bibliopromozionale dominante, periferici, quasi clandestini. Un libro destinato a vivere di passaparola, di segnali di fumo e di tam-tam.

E dunque bando alle ciance. Gianluca Gigliozzi, Neuropa, Luca Pensa Editore, Lecce 2005: un libro da leggere.

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11 Responses to “Neuropa”

  1. ammé mi pare una menata pretenziosissima. e dire che l’ho anche comprato, mesi fa.

  2. Ah, finalmente ti ho trovato un difetto:-)

    Sei troppo bravo per una recensione. Se scrivi di un libro, ossia, la tua scrittura lo supera e s’impone.

    Con la tua bravura devi farci i conti, insomma:-)

    Bart

  3. Baldrus says:

    Carina questa recensione. Mi è piaciuto “uste di perduti stili narrativi” e ammetto di non aver mai sentito “l’occaso”. L’input principale che mi arriva, dopo aver letto la tua recensione, è Rabelais.
    Bravo.

  4. letturalenta says:

    Benefo’, c’è chi ci piace e chi no. Tu no, ma l’invito a leggerlo vale anche per te.

    Bart, se non la pianti di farmi complimenti giuro che… arrossisco! :-)

    Baldrus, Rabelais c’entra senz’altro. Rabelais c’entra sempre, in effetti.

  5. gabryella says:

    grazie, raccolgo

  6. michele says:

    A parlar di falde si finisce con l’acqua in bocca.
    Ogni volta che leggo un tuo commento -perchè? mi chiedo mi domando- (sapendo che io so, io maiuscolo o minuscolo fai tu) arrendersi (io) alla semplice lettura e al senso delle parole -perchè mi chiedo e mi domando- volerle rimandare (parole che rimbalzano storpie) con o senza sott’intesi?
    L’uomo eretto che parla in prima persona. L’uomo eretto che sa della magia (finzione) della parola. L’uomo eretto (o forse gia sapiens) che escude se stesso (menzogna) e narra il realismo di un mondo che conosce assai bene. Ogni strumento è buono, ma per cosa? E’ qui che viene l’indecifrabile – Oh zeus annientaci pure, ma alla luce del giorno.-
    Sinceramente non credo allo scadenzario storico, all’illusione del prima e del dopo. Al senso del caos (della finzione del caos) linguaggio. Ma credo nell’errore. La misura ora volutamente sentimentale, la teatralità della parola, -le combinazioni grandi e piccole- le omissioni per ingrandire, o i simboli (più segnali dirai tu) a cosa servono? Ma per diana diamoci un nome a questa illusione!

  7. michele says:

    Per quel che ne sapevo io dell’occaso e simbolo stesso della parola europa
    del vero significato sumerico credo del termine europa terra dove tramonta il sole. Punti di vista. E poi Ariosto naturalmente!

  8. letturalenta says:

    Grazie gabrie’, il tuo raccoglimento mi varrà almeno una birra offerta dal Gigliozzi, se è uomo d’onore.

    Miche’, non ciò capito una mazza, ma – come i miei affezionati lettori ormai sanno a memoria – è sicuramente colpa mia.

  9. michele says:

    Introversione ed estroversione in letteratura non dovrebbero essere analizzati nei loro specifici. Andrebbero considerati come parte unica,
    se la letteratura è umanità. Altrimenti sono solo vaghi ridicoli tentativi. In un opera letteraria degna di questo nome l’autore coglie tugli gli aspetti, muove i personaggi e costruisce i protagonisti in base a questo principio. Se un autore non sa cogliere tutti gli aspetti: come porsi di fronte alla realtà (natura) sarà mediocre, sia come autore sia come uomo. In soldoni è così. Poi ci sono i delinquenti, i bugiardi, gli stupidi (io) i mentitori, i costruttori di stupidità. I travasatori di libri, da un libro a un altro ecc, ecc. Ma resta un solo fatto, se hai le palle o meno! Se sei onesto e sei un lettore, diciamo come un bambino, guardi solo al tuo specifico, così come sei capace di guardare. Rimane il fatto che sei onesto, e con un pò di fortuna chissà potrai fare il grande salto verso l’altro aspetto che non sapevi che esistesse. E’ tutto qui.

  10. […] Gianluca Gigliozzi è l’autore di Neuropa, il poema epicomico in prosa di cui ho parlato qui qualche tempo fa. La buona notizia è che Gianluca Gigliozzi ha aperto un nuovo blog (ancora in rodaggio) che vuol essere un aggregatore di immagini e testi di qualità, con un’attenzione particolare per la poesia del Novecento, ma non solo. Si chiama Aperto per inventario. Da seguire. […]

  11. […] critica futura”, file pdf), Luigi Severi, Rossano Astremo, Luciano Pagano, Francesco Sasso, Luca Tassinari, Paolo Antonucci, Gabriele […]

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