Quattro giorni per non morire

Marino Magliani, Quattro giorni per non morire, Sironi 2006Demasiadas piedras, troppe pietre. Questo è il refrain, il leitmotiv, il ritornello che mi tornerà sempre in mente ogni qual volta prenderò in mano il libro di Marino Magliani per leggerne qualche pagina. Sì, perché questo è uno di quei libri che non ci si può accontentare di leggere distrattamente una volta sola. Questo è un libro che reclama attenzione e riletture.

La fabula è presto detta: Gregorio, indagatore di nessi fra civiltà precolombiane e antiche popolazioni liguri, sta scontando una condanna a dieci anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti, ed è afflitto da una rara forma malarica contratta in Sudamerica durante una spedizione archeologica. La morte della madre gli offre quattro giorni di permesso e l’occasione di tentare la fuga in Messico, dove opera l’unico medico al mondo in grado di curare efficacemente la sua malattia. Ma questi quattro giorni gli serviranno soprattutto per far luce su alcuni punti oscuri del suo passato.

Detta così, me ne rendo conto, è la trama di un noir, o romanzo poliziesco che dir si voglia, ma costringere Quattro giorni per non morire nelle gore del genere significherebbe fargli un grave torto. In appena centocinquanta pagine questo libro racchiude una quantità talmente significativa di storie, di temi e di fili che è impossibile riassumerli in poche righe. Demasiadas piedras, appunto, o per dirla in dialetto dell’alta val Prino: Troppe pree da nui, troppa tera, fasce de prea, ca’ de prea, cimitei de prea, che sarebbe a dire Troppe pietre da noi, troppa terra, terrazze di pietra, case di pietra, cimiteri di pietra.

Uno dei molti fili è appunto il parallelo costante fra la Liguria e il Sudamerica, fra le troppe pree e le demasiadas piedras. Molti altri sono racchiusi in quella frase chiave del testo: terra, case, cimiteri.

Sono pietre d’inciampo, queste, pietre che ostacolano il cammino, che complicano la vita e la rendono in buona misura incomprensibile. Gregorio e il suo amico Leo fanno di tutto per rimuovere queste pietre dalle loro vite. La passione per le ricerche archeologiche, nata quasi per gioco dall’esplorazione di caverne preistoriche nell’entroterra ligure, offre loro una via di fuga. Volano in Sudamerica sull’onda di una teoria apparentemente ragionevole: se là si trovassero raffigurazioni simili a quelle preistoriche incise nelle caverne liguri, allora si potrebbe dimostrare che due civiltà apparentemente lontanissime erano in contatto o quanto meno avevano una matrice comune.

Il Sudamerica, però, si rivela terra pietrosa non meno della Liguria, terra ostile e capace di frenare gli slanci più sinceri spargendo pietre d’inciampo sul cammino: i trafficanti d’oro, di manufatti precolombiani e di cocaina hanno ben presto la meglio sul desiderio di conoscenza dei due compagni, trasformando la loro spedizione in tragedia con l’uccisione di Leo e l’arresto di Gregorio. La fuga non riesce: si conclude con la morte o con la prigione.

Terra, case, cimiteri. Le case di Fontanelle, il paesino d’origine dei due amici, sono case di pietra, ma son anche case dai muri arrugginiti, segnate dalla morte e dall’abbandono. E poi ci sono i cimiteri: quello in cui viente tumulata la madre di Gregorio, che contiene ormai buona parte dei vecchi abitanti del paese; quelli antichissimi degli Incas e delle civiltà preincaiche in Guatemala e in Perù, saccheggiati dai trafficanti di reperti archeologici.

La terra è vita dura e grama, passata a coltivare uliveti che rendono sempre meno, o a predare tombe. Le case sono il ricordo di radici ormai disseccate. I cimiteri sono il punto di raccolta di un naufragio che si ripete identico da secoli, in Liguria come in Sudamerica. Ma non ci sono solo tenebre, disincanto e disfacimento in questo libro. C’è anche il desiderio di combattere la morte, pur sapendo che è una battaglia persa: c’è il desiderio di Gregorio di guarire dalla malattia che lo sta uccidendo; c’è il desiderio di donne di un vecchio del paese; c’è il fratello di Gregorio che desidera mettere su famiglia; c’è una donna che vuole innamorarsi dopo una vita spesa a buttarsi via.

Ci sarebbe molto altro da dire su questo splendido libriccino, così breve e così denso, ma ci sono davvero troppe cose qui dentro per riuscire a renderne ragione in modo appena sufficiente: demasiadas piedras, troppe pree, troppe pietre. C’è un modo solo per venire a capo di questo libro: leggerlo.

[Marino Magliani, Quattro giorni per non morire, Sironi 2006]

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5 Responses to “Quattro giorni per non morire”

  1. sliced says:

    mi hai convinta lo leggerò.

  2. Ho in programma di leggere anch’io a breve il romanzo di Magliani. Magliani commentò il mio pezzo su Silvio D’Arzo pubblicato su vibrisse:

    http://www.vibrissebollettino.net/archives/2006/03/silvio_daarzo_c.html#comments

    Vive in Olanda. Grazie Luca di questa anticipazione.

    Bart

  3. marino magliani says:

    Caro Luca, innanzitutto ti ringrazio per la splendida lettura.
    Demasiadas piedras, a un certo punto del progetto doveva
    diventare addirittura il titolo. E’ indubbiamente secondo me il vero grande leitmotiv quello delle pietre come zavorra al volo…
    E ringrazio te e Bartolomeo Di Monaco per ció che fate puntualmente perché anche i libri si liberino della loro zavorra,

  4. letturalenta says:

    Ehilà! L’auctor in persona! Non pensare di cavartela coi ringraziamenti: la signora sliced nel primo commento afferma che leggerà il tuo libro perché io l’ho convinta a farlo, quindi mi devi almeno una birra :-)

  5. marino magliani says:

    Spero davvero un giorno di stringerti la mano e di brindare a
    Letturalenta con un buon vermentino di Diano Castello dei miei
    posti, il giorno in cui, d’ estate, avrai da passare per quella
    soffitta d’ Italia che é il mio ponente.

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