Gualberto Alvino – Là comincia il Messico

David Kampmann, Rio Grande, 1997, tratto da www.davidkampmann.comLà comincia il Messico è un libro in cerca di editore. Alcuni capitoli sono apparsi su diverse riviste negli anni passati e alcuni lettori hanno avuto il piacere di leggerlo integralmente. Fra questi happy few sono capitato anch’io, per una di quelle combinazioni solo parzialmente riconducibili a cause razionali che spesso accadono nei sotterranei della metropoli lettoria.

L’autore di questo romanzo, infatti, è Gualberto Alvino, che qui è già apparso due volte nella sua veste più nota di infaticabile esegeta e curatore di Antonio Pizzuto. Dopo i primi contatti molto formali, che sono sfociati nei suoi importanti contributi alla mia pizzuteide, Gualberto e io ci siamo lasciati un po’ andare, le formalità si sono allentate e si è creato un clima di reciproca simpatia. Solo a questo punto Gualberto mi ha “confessato” di aver scritto Là comincia il Messico e me lo ha affidato.

Durante e dopo la lettura ho mandato all’autore alcune impressioni e note che mi fa piacere condividere qui, tali e quali, con i lettori di letturalenta, che alla fine di questo post troveranno anche un link al capitolo finale del libro.

 

16 maggio 2006

Gualberto,
Più vado avanti a leggere il tuo romanzo più resto piacevolmente sorpreso nel trovarci così tante affinità con l’oggetto delle mie divagazioni e delle mie ossessioni. Certo, tu prendi i tuoi temi molto più sul serio di quanto faccia io – che per lo più ci gioco – però ti garantisco che trovare in un testo narrativo digressioni su letteratura e critica, dopo essermi dedicato per mesi e mesi a quella “cosa” che ti ho mandato, non può lasciarmi indifferente.

Ho finito la prima parte di Là comincia il Messico ieri notte verso l’una: non riuscivo a mollarlo. E non per la tipica ansia di “sapere come va a finire” che può arrivare quando si legge un giallo o un thriller, ma per il piacere di “essere dentro” il testo. Anzi, già so che quando finirà davvero ci resterò male.

La tua scrittura ha una presa forte sul lettore e suscita emozioni forti. Mi sono trovato più volte in preda a un senso di spaesamento, se non di vero e proprio terrore, specialmente quand’ero sotto il diluvio di immagini angoscianti e allucinate del primo capitolo. A volte, lo confesso, la sensazione era di vero e proprio disgusto: quel susseguirsi di scene violente senza una pausa, senza un commento, spesso mi ha “disturbato”, ma non nel senso di dare fastidio, ma in quello più profondo di provocare un disturbo psichico, di creare interferenze con la “normalità”, fino ad alterarla.

So che esprimere pareri su un libro prima di averlo finito non è il massimo della serietà, ma queste cose dovevo dirtele subito, anche per renderle più chiare a me stesso, per metterle meglio a fuoco. Leggerò il resto in settimana, e spero di riuscire a darti un parere più organizzato e circostanziato, alla fine.

Vedrò mai Là comincia il Messico in libreria? L’hai proposto a qualche editore? C’è speranza di trovarne uno disposto a rischiare su un testo così diverso dalle solite variazioni sui soliti temi?

 

29 maggio 2006

Carissimo Gualberto,
Ho terminato ieri la lettura di “Là comincia il Messico”, e l’ho lasciato depositare per un’altra mezza giornata prima di buttare giù qualche nota di lettura, che provo qui a riordinare per quanto possibile.

Il tuo è un testo che lascia in secondo piano il significato, a tutto vantaggio della forma. Il lettore non è tanto interessato a seguire le vicende narrate, né a ricavare una ‘morale’ conclusiva, ma è piuttosto immerso in un’esperienza di lettura che lo coinvolge a livello emotivo e fisico. In altri termini, l’atmosfera, il timbro, il tono, la musicalità del testo coinvolgono il lettore ben più dello sviluppo della ‘fabula’, che pure è percepibile e comprensibile.

Se fossi chiamato a farlo, riassumerei la storia del tuo personaggio in questo modo: un uomo colto e sapiente – con ogni probabilità un filologo – è visitato da voci inquietanti, che gli rivelano una seconda natura che egli non sospettava di avere. Da sempre convinto di essere una persona affidabile, piacevole, affabile e altruista, buon figlio e buon genitore, professore capace e apprezzato – le voci lo descrivono invece come uomo psichicamente instabile, preda di ossessioni sessuali, incline all’omicidio e all’antropofagia, pessimo figlio e peggior padre. Lentamente l’uomo prende coscienza della sua vera natura e a questa si abbandona, fino a trasformarsi in un efferato serial killer.

Uno degli aspetti più interessanti di questa storia è il rovesciamento dell’idea di perdizione in quella di salvazione: al termine del racconto, il tuo personaggio non può essere considerato un dannato o un perduto, ma al contrario un salvato, una persona in grado di esprimere appieno la sua personalità, rompendo i limiti imposti dalla morale e dalle convenzioni.

Ho apprezzato molto gli ‘inserti’ di filologia e critica letteraria nel testo, in particolare quelli del capitolo “Tre miliardi di basi”, che sono una vera e propria enunciazione di poetica (non priva, mi par di capire, di forti riferimenti al nostro comune amico Antonino Pizzuto). E ancor di più, se è possibile, ho apprezzato la descrizione minuta e precisissima della fabbricazione materiale del testo che hai fatto nel capitolo ‘Entracte’: bellissimo leggere nel testo il modo in cui il testo medesimo è stato scritto e composto al computer, con tutto il corredo di ossessioni tipiche dello scrittore ‘computerizzato’ (il formato dei caratteri, la regolarità dei margini, i problemi di impaginazione).

Questi elementi ‘metaletterari’ hanno secondo me due effetti importanti: da un lato inseriscono una nota di ironia e di leggerezza in un testo che è complessivamente serissimo; dall’altro costituiscono una provvidenziale barriera ad affrettate interpretazioni moralistiche della storia. La seconda è difficile da spiegare in poco spazio, ma ci provo: una storia come questa è molto esposta a giudizi sommari fondati esclusivamente sul contenuto, ovvero sulla brutalità delle scene e sulla ‘immoralità’ del protagonista (i tempi del processo a Madame Bovary sono lontani, ma la tentazione di imporre fini moralistici alla letteratura è ancora molto forte). La presenza di questi inserti metaletterari attira l’attenzione su questioni formali, estetiche, letterarie, aiutando il lettore a inquadrare complessivamente il testo su un piano diverso da quello dei meri contenuti, e più alto. (non so se mi sono spiegato, ma pazienza).

Concludendo, il mio personale giudizio sul tuo libro è molto positivo (s’era già capito fra le righe, no?). Non capita spesso di leggere testi complessi e variegati come il tuo, dotati per loro natura di molteplici piani di lettura (nonché scritti con un’attenzione maniacale al singolo lemma), anche se devo dire che ultimamente qualcosa del genere comincia a circolare. Un testo bello, potente, fuori dal coro, che riallaccia i fili con molta letteratura ‘alta’ del passato, e li rompe esplicitamente con gli schematismi epigonali del genere, del linguaggio medio e del dominio del plot.

Spero che queste belle qualità non si trasformino in ostacoli alla pubblicazione. Certamente questo non è un libro modaiolo o di consumo, quindi ha bisogno di un editore davvero ‘visionario’ per poter entrare in commercio. Chiudo ringraziondoti per avermi inserito nella schiera dei ‘lettori precoci’, cosa per me molto gratificante, e augurando a “Là comincia il Messico” le migliori fortune editoriali.

 

Nota: Là comincia il Messico è un romanzo inedito di Gualberto Alvino. A tutt’oggi sono comparsi su rivista i seguenti capitoli:
La Scena, «Chaosmos. Critica cura teoria», Napoli, Filema, 2004, pp. 75-89
Cobalto vivo, «Fermenti», xxxvi 2006, 228 pp. 254-69
Resurrectio, «Le reti di Dedalus, rivista online del Sindacato Nazionale scrittori», giugno 2006

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11 Responses to “Gualberto Alvino – Là comincia il Messico”

  1. Effe says:

    peventivamente: questo per me dovrebbero fare i blog lentoletterari: lambire i contorni di libri invisibili

  2. Effe says:

    conseguentemente: ho iniziatro la lettura con pregiudizio, dubitando d’aver intraletto tra le sue parole un eccesso di benevolenza nei confronti di un amico.
    Ora dico che la scrittura è da togliere il fiato, la costruzione è salda, il ritmo genera ansia.
    Non amo il genere pulp, e spero – dal mio punto di vista – che il resto del libro non abbondi di situazioni simili a quella dell’ultimo capitolo. Se non è così, se cioé le immagini inevitabili che vengono evocate non distolgono dalla lettura, è un libro che HO BISOGNO di leggere.

  3. letturalenta says:

    Esimio, il rischio dell’eccesso di benevolenza l’avevo messo in conto, ma è un rischio che mi prendo volentieri, perché sono molto convinto delle qualità di questo libro. Non è un libro pulp, e assegnarlo a un genere è molto difficile (o almeno io non so farlo). C’è una storia ben precisa che si sviluppa nel corso del romanzo (ne ho accennato nelle mie note) ed è una storia che passa attraverso situazioni anche molto violente. Ma quel che più conta è proprio la scrittura, il fiato, la costruzione, il ritmo, ovvero le cose che Ella, o colendissimo, ha già avuto modo di gustare e rilevare. Se proprio ha bisogno di leggerlo, mi scriva (io non ho un suo indirizzo valido, il mio è nella pagina “Chi sono?”), e inoltrerò la richiesta all’autore.

  4. michele says:

    Ieri nel poco tempo libero cercavo “diario di bordo” di G. Seferis. Mi ricordavo vagamente questo verso “Stiamo fermi allo stesso punto aspettando disposizioni.” Del libro niente, fuori catalogo. Andrò su internet mi sono detto. Bene ho letto questa mattina, presto, prestissimo e ho dovuto ritardare con il lavoro. E’ tutt’oggi che ci penso. Intanto bene, benissimo. Ma cosa benissimo? E’ perchè così d’improvviso mi balenano le memorie di Agostino e in special modo quando egli va a Milano con la madre? E’ perchè mi domando, Ambrogio vieta che si faccia baldoria secondo l’uso dei pagani nei cimiteri? Perchè secondo l’uso si beve vino e si mangia il pane? E’ cosa c’entra questo con là comincia il Messico? E’ perchè è così viva nella poesia dialettale questa forma di festa questo genere di festeggiamenti anzi raccomandati. “Alla mia morte, buttate giù la pasta, e festegiate”. Ormai da tempo ho abbandonato le semplici associazione, le congetture, credo di dire ora qualcosa di diverso. In questo caso credo che la drammaturgia, il dialogo, la forma alta del teatro, siano i nostri bisogni: aderire veramente a tutto, senza filtri, senza preamboli, distruggere anche, ma quanto amore e quanta forza e quanto coraggio. Un viaggio non termina mai, -Vero Qualberto-.

  5. Calma says:

    Essendo la mia ossessione attuale (che, accidentaccio cane, m’hai trasmesso) sintetizzata dal seguente frammento
    “Il tuo è un testo che lascia in secondo piano il significato, a tutto vantaggio della forma”
    ho zompato a piè pari quel che restava del post nonché i commenti, già alla caccia di un link ibiessiano. Non trovandolo, m’è toccato tornare a mo’ di gambero almeno fino all’invocazione in maiuscolo d’Herzog (HO BISOGNO). E siccome di entrambi mi fido (te e lui), dico che al buio ESIGO di leggerlo ‘sto romanzo, altroché.

  6. Sturm says:

    1) Vorrei sapere da Calma che cos’è un link ibiessiano e perché esige di leggere il romanzo di Gualberto Alvino.
    2) Vorrei chiedere a Michele (la cui testimonianza ho trovato molto acuta e stimolante) di spiegare meglio le sue ragioni.
    Grazie.

  7. Federica says:

    Emergo ora dalla lettura. Mi tremano ancora i polsi. Dio, ho pensato, esiste ancora la letteratura! Ma allora perché gli editori seguitano a pubblicare immondizia? Possibile mai che una scrittura alta e potente come questa sia ancora in cerca di editore? Qualcuno mi risponda, please!

  8. letturalenta says:

    Sturm-Federica, se proprio vuoi trollare, fallo almeno in modo da non farti sgamare subito, suvvia.

  9. michele says:

    Visto che si parla di testimonianze e mò non ciò niete da fà, caro amico sturm, ti dico che Di G. Seferis so questo. Avevo un libro chiamato Poesie, e tra il mio primo matrimonio e il secondo è sparito: mi sono sollazzato con (anche) una ragazzina che all’epoca era laureanda in filologia classica. Ora insegna alla sapienza (pensa un pò) la quale mi ha fregato primo, libro del Petrarca anno 1700, Divina Commedia(bellissima) edita da Oxford U. inizzi 900, G. Seferis, (Si doveva scrivere un articolo sul corriere, e per giro che ti rigiro avevano chiesto a lei una recensione) e altri libri, che non mi ha mai più restituito. Ieri era il giorno del suo compleanno,(“mi ricordo” perchè oggi è il compleanno di Guido amico amico) così mi sono ricordato che mi aveva derubato e ho voluto rimediare a quel buco in libreria. (dopo dodici anni)Dove comincia il messico non lo sò, ma ci sono stato con la mia seconda moglie(attuale), tutto il tur yucatan. Anzi ti voglio dire una cosetta. A Valadolid, una cittadella dello yucatan, in un ristorante di un albergo (piazza principale)ci sono esposti quasi all’aperto due quadri di Botero. Il proprietario del ristorante non sa quanto valgono e se vai li con contante fai un mucchio di soldi. Io ho tentato ma avevo carta di credito e solo duecento dollari, per cinquecento all’epoca me li avrebbe dati(uno). Sono passati otto anni, fai tu. Ora di Seferis mi ricordo e non mi ricordo ma qualcosa mi ricordo. Combinazione, la mattina (qui)trovo un altro filologo, è questo mi fa pensare ad una vendetta, consumata e da consumare a quanto pare. Per la storia di ambrogio è ovvio lui voleva reclamizzare altri prodotti, per quanto riguarda il teatro si sa quello è morto. (questa volta mi scuso veramente con letturalenta e me ne starò in disparte per un bel pò promesso.)

  10. Ligeia says:

    Se gli editori avessero l’onestà e il coraggio di rimanere fedeli alla letteratura Là comicia il Messico avrebbe avuto una pubblicazione d’eccezione e in tempi immediati. Spero che se ne rendano conto al più presto.
    Pagine mozza fiato. Una scrittura incisiva, viva, che arriva come una freccia nell’animo del lettore, con un’immediatezza fulminante. Si è catapultati in una realtà onirica ma al tempo stesso così tangibile, così quotidiana; ci si sente ingoiati dalla logica delle ossessioni fino a farle diventare proprie. Forte è la necessità di assaporare ogni frase, di leggerla a voce alta, con un tono sinistro, quasi nascesse in quel momento dalla parte più delirante della nostra mente.
    La lingua è la vera protagonista, capace di spaziare da un livello alto, elevato a uno colloquiale, fino al parlato secco, scarno. Uno studio formale minuzioso, attento alla musicalità, al ritmo. Il testo viene concepito come un vero e proprio spartito.
    Sacro e profano si mescolano nella saggezza e nel fascino del nuovo ed eclettico «salvatore», promulgatore della cultura della vita, della conoscenza empirica. Più dissacrante di ogni turpiloquio.

  11. diana says:

    My dear Gualberto, first I must read the book, then I can express my opinion.

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