[dtfn] XXII – Margini

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Sempre nuove insidie sorgono a minacciare la salutare e necessaria comunione fra umanità e letteratura, e non è facile far fronte a tutte con pari efficacia, ammesso che sia possibile anche solo individuarle. Il commento tenta di rubarci letture smontandoci a pezzi e circondando il nostro testo di una tal mole di parole dotte e ragionevoli da renderlo di fatto inaccessibile. I banditi che fanno carta straccia delle nostre tradizioni morali in cambio di grandi tirature riducono l’arte del racconto all’imitazione piatta e volgare degli aspetti più superficiali della vita umana, rinunciando a cercare cupe o luminose assonanze con le angosce più ineffabili, i piaceri più inconfessabili, il dolore più inesprimibile, la gioia più afasica.

L’uno e gli altri blandiscono l’umanità con false promesse di significati comprensibili e rimedi efficaci contro le incertezze e la precarietà dell’esistenza. Venite a me, dice il commento, fidatevi! Io vi rivelerò tutti i segreti del racconto, anche i più riposti. Seguitemi fiduciosi e capirete! State con noi, aggiungono i banditi. Noi abbiamo le storie che desiderate, quelle che parlano di voi, della vostra vita di tutti i giorni! Accostatevi a noi senza timore, e vi mostreremo come superare qualsiasi dolore e come conquistare la felicità qui e ora! Spudorate menzogne! Eppure non sono questi gli unici pericoli, e forse non sono nemmeno i più temibili. Hai ben visto come noi racconti siamo capaci di difenderci dalle interpretazioni, e puoi giurare che anche i banditi non hanno gioco facile: cercano in tutti i modi di costringerci ai margini della nostra società per indebolirci e ridurci al silenzio, ma non sanno che i margini sono il nostro habitat naturale, e che le rotte periferiche sono le nostre preferite.

Ecco perché l’insidia maggiore e più ardua da definire è quella attorno a cui sto girando fin dal mio incipit: il trionfo della fretta; la scomparsa delle pause; la pretesa che ogni istante della vita sia presente a sé stesso; la trasformazione dei ricordi in pericoli da evitare; la diffusione dell’idea che ogni minuto d’orologio non debba passare senza aver prodotto qualcosa; la follia che dichiara a gran voce che ogni minimo fenomeno debba avere necessariamente un senso, e uno soltanto. Tutto ciò probabilmente ha un nome, ma io lo ignoro. E credo che sia proprio l’ignoranza di questo nome la molla che mi spinge a conversare con te. Io e te dobbiamo dare un nome a questo flusso immateriale e venefico che sta lentamente abolendo le periferie del mondo e i margini dei libri.

Un tempo i libri avevano ampi margini bianchi ai quattro lati della pagina, margini che gli uomini utilizzavano per annotare le loro risposte alle sollecitazioni del racconto. Queste note, o glosse, o chiose non avevano nulla a che spartire con le insidie del commento, giacché non erano ignobili tentativi di mettere a tacere il racconto con un discorso separato e abusivo, bensì la naturale risposta di un’anima letta. Se mai verrò trascritto su un supporto libresco, vorrei che la metà destra delle pagine fosse lasciata a disposizione della glossa. Qui tu potresti tracciare i segni che ti vengono in mente man mano che ti leggo: parole staccate; piccole esclamazioni di stupore o di disappunto; grafismi indecifrabili; disegni infantili o ritratti artistici; sonetti estemporanei o un intero poema in distici elegiaci. Vorrei che dopo il mio explicit restassero almeno sedici fogli completamente bianchi, qualora la tua risposta mi superasse alquanto in lunghezza. La tua glossa, ne sono certo, non sarebbe un’arida interpretazione della mia opera, ma una chiosa appassionata a te medesimo. Sarebbe il preludio – forse ancora stentoreo ma non del tutto privo di forma – a una calda citazione.

Il margine libresco è l’organo riproduttivo dei racconti, organo femminile che attende il dono di parole nuove, vergate con delicatezza o con furia, non fa differenza, purché il càlamo penetri la pagina con seria voluttà e non dia scampo. Abolire i margini dei racconti, i loro interstizi e i loro silenzi, significherebbe inibire definitivamente la loro capacità riproduttiva.

E questa abolizione è uno degli aspetti di quella catastrofe polimorfa e indefinibile che mi ossessiona e mi sgomenta e di cui la metastasi del commento e la menzogna dei banditi non sono che due fra i molti scherani. La soppressione delle stazioni ferroviarie intermedie, già notata da Emilio, e la contemporanea proliferazione delle rotte aeree intercontinentali agiscono nella stessa direzione: eliminare i margini; rendere irraggiungibili i luoghi periferici del mondo; ridurre al minimo le deviazioni e la possibilità di scegliere un percorso digressivo; radunare l’umanità intera in un unico mostruoso e indifferenziato centro.

Anche la smania di attribuire un significato unico e prescritto a qualsivoglia manifestazione della vita o della letteratura fa parte di questo immenso e spaventevole gorgo accentratore: spiegare tutto equivale a togliere di mezzo il desiderio stesso della significazione, quel desiderio che nasce continuamente dalla vitalità feconda dell’errore e del fraintendimento. Come il commento mira con arti subdole a zittire il racconto, così la sovrapproduzione di discorsi ragionevoli ed esplicativi sull’uomo ha lo scopo di annientare il piacere della conoscenza conquistata caparbiamente mediante il fragile ed erratico cammino dell’esperienza. A che pro vivere, se la vita è già tutta racchiusa in migliaia e migliaia di immagini, rotocalchi, siti Web, spot pubblicitari e raccontini pornografici? A che pro lasciarsi leggere dai racconti e arricchirli di preziose note a margine, quando la letteratura è tutta riassunta in comode e sintetiche recensioni?

Potrei andare avanti con altri esempi, riempire pagine e pagine con le mie ossessioni, ma ti farei un torto enorme e rischierei di perderti per sempre. Sarebbe un contributo vistoso da parte mia alla catastrofe che incombe: l’ennesimo tentativo di spiegare, di eliminare i malintesi, di impedire le divagazioni, di esigere a tutti i costi un significato. Voglio restare fedele al mio compito limitato e umile: non dire nulla che possa pregiudicare la nostra reciproca, fiduciosa, conversevole dedizione a una sana e produttiva perdita di tempo.

4 Responses to “[dtfn] XXII – Margini”

  1. elena f says:

    Ecco perché l’insidia maggiore e più ardua
    da definire è quella attorno a cui sto
    girando fin dal mio incipit: il trionfo
    della fretta; la scomparsa delle pause; * la scomparsa delle pause-irri-
    la pretesa che ogni istante della vita mediabile perdita della musica
    sia presente a sé stesso;- del ritmo- del flusso respiratorio
    che ci mantiene in vita-l’horror
    vacui che non è più capace di
    attesa, che non si aspetta nulla
    perchè tutto è stato detto
    e invece ancora molto resta da
    dire

    buonanotte

    elena f

  2. elena f says:

    cos’è successo alla mia povera glossa?… :-)

    ma chissà forse va bene così

    di nuovo buonanotte

    elena f

  3. letturalenta says:

    La vedo, Elena, la vedo! (la glossa, dico) Confesso che l’incastro grafico fra testo e commento (non so se voluto o fortuito) ha un piacevole effetto ipnotico!

  4. pubblicità progresso per il riciclaggio della carta.

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