Denkend aan Holland

Amsterdam Centraal, tratto da nl.wikipedia.org/wiki/AmsterdamLe due torri della Centraal Station ospitano ciascuna un quadrante munito di lancette. Entrambi i quadranti a prima vista sembrano orologi e infatti quello a destra di chi guarda lo è, ma l’altro no. L’altro ha una lancetta sola e sul quadrante non sono segnate le ore, ma i punti cardinali. La lancetta punta la O quando il vento soffia da Oost, ovvero da Est. Se invece indica la Z, il vento è da Zuid, che sarebbe il Sud, e così via. La differenza fra i due quadranti è segnalata da qualsiasi guida turistica di Amsterdam, ma caso vuole che le guide turistiche io le legga quasi sempre al ritorno da un viaggio, più raramente durante il soggiorno, mai prima di partire. Così, quando ho posato gli occhi per la prima volta sulla torre di sinistra, mi sono chiesto per lunghi secondi come fanno gli Amsterdammer a divinare l’ora da quell’esoterico marchingegno.

Amsterdam è una città astratta, un’idea municipale annidata nella mente di un nume equoreo surrealista e pervaso da una fiera diffidenza nei confronti di qualsivoglia principio di stabilità e permanenza. Non si spiegherebbe altrimenti l’allergia al perpendicolo che affligge tutte le case ad eccezione di quelle galleggianti, che poggiano sulle uniche superfici urbane perfettamente orizzontali: i canali. Il resto è tutto un via vai di linee sghembe e una festa di angoli acuti e ottusi tra gli edifici e il piano stradale.

Amsterdam dal satellite, tratto da www.aerophoto-schiphol.nl/pictures/AmsterdamCentrum.JPGDev’esserci per forza una formula segreta che consente agli abitanti di vivere tranquilli là dentro. Non sono riuscito a scoprirla, ma suppongo che secoli di inondazioni, incendi e saccheggi abbiano contribuito almeno un po’ al rilassamento del concetto di fissa dimora nella popolazione, e al diffondersi di un’ilare rassegnazione ai crolli e ai traslochi. Tolte un paio di chiesone tre-quattrocentesche molto rimaneggiate nei secoli – la Oude Kerk e la Nieuwe Kerk – l’originario borgo medievale non ha lasciato tracce. Una città così incline a sparire dev’essere un buon antidoto contro progetti di lunga durata.

Oppure può essere uno stimolo a resistenze titaniche. Come quella di Marina Warners, per esempio, che da trentanni gestisce l’unica libreria italiana in Olanda. La libreria Bonardi è nel bel mezzo dell’Entrepotdok, il quartiere che un tempo ospitava i magazzini per le merci in attesa di sdoganamento. E da trent’anni la signora Warners sdogana quotidianamente stille di letteratura italiana in forma di libri e iniziative culturali. Si è schermita quando le ho detto che la sua attività ha qualcosa di eroico, ma io so che lei sa che ho ragione. Il buon lettore – olandese o italiano che sia – può farsi un’idea di quel che succede alla Bonardi acquistando l’antologia bilingue pubblicata per celebrare il trentennale della libreria: La mia Olanda – Denkend aan Holland. Dovesse capitargli di passare da quelle parti, poi, gli consiglio di visitare gli scaffali in fondo a destra, per ammirare una splendida collezione di libri antichi e moderni tradotti dall’olandese all’italiano e viceversa.

IJmuiden dal satellite, tratto da http://nl.wikipedia.org/wiki/IJmuidenDa Amsterdam ad Haarlem c’è un quarto d’ora di treno. Durante il tragitto si può ammirare un bel tratto di tipica campagna olandese con tanto di mucche frisone al pascolo, nonché una proliferazione quasi incontrollata di impianti di generazione eolici. Alla stazione di Haarlem, che da sola vale la visita alla città, ho incontrato lo scrittore Marino Magliani da Dolcedo, provincia di Imperia, che da vent’anni risiede ad IJmuiden, che significa bocca dell’IJ, dove sfocia il canale che collega il porto di Amsterdam al mare del Nord. Marino ha guidato me e la mia famiglia sui lunghi sentieri che dall’abitato vanno alla spiaggia attraversando le dune. E qui è meglio lasciare la parola a lui:

Il traghetto salpava da Amsterdam e infilava il Nord Zee Kanaal sbucando sulla spiaggia di Zeewijk. Sull’argine destro vedevo la grande acciaieria dai fumi bianchi, e sull’altro la cittadina di IJmuiden, con le case di mattoni e i bunker, il porto affollato di pescherecci e gru, e sullo sfondo le dune soffiate dalla tempesta. Avevo solo sentito qualche leggenda sul grande nord, sapevo che era terra mai ferma, landa di sabbia continuamente scavata e spostata, e posto abitato da vagabondi stanchi di rincorrere. (…) Inenarrabile, l’Olanda, quell’Olanda, è un posto che non si riesce a descrivere. (…) E del resto, se non riesci a descrivere il posto in cui ti trovi, probabilmente quel posto non esiste e non fa esistere neanche te, che esistendo lo faresti esistere.

Curioso che pensando all’Olanda si finisca prima o poi a parlare di instabilità e inesistenza, ma è proprio così: è una terra mobile e leggera, tendenzialmente nomade e vagabonda, che un giorno forse si tufferà nel mare del Nord per girare il mondo, o per affondare.

La sera, a casa di Marino, abbiamo mangiato spaghetti al ragù e bevuto vino rosso.

10 Responses to “Denkend aan Holland”

  1. Di tutto questo bel ricordo, la frase che mi ha colpito di più è all’inizio: “…caso vuole che le guide turistiche io le legga quasi sempre al ritorno da un viaggio, più raramente durante il soggiorno, mai prima di partire…”. Ho sempre avuto un atteggiamento opposto, invece, e mi chiedo ora se il tuo modo di viaggiare non sia migliore.

    Per me il viaggio inizia proprio sulla carta, sulle pagine delle guide. Su cartine che stampo e che istorio di linee colorate, percorsi, sottolineature. E’ forse l’impazienza del viaggio (ma perché manca ancora così tanto al giorno della partenza?) che mi spinge a regalarmi questa specie di esplorazione anticipata e virtuale.

    Una fase preparatoria che dura giorni, settimane. Nel caso del mio più recente viaggio, la Malesia, addirittura mesi.

    E il viaggio sulla carta sopravvive anche nel corso del viaggio vero e proprio. In un motel ai confini della Death Valley compulsavo la guida valutando se fosse meglio puntare verso Bryce Canyon o Zion Park. In un sushi restaurant al porto di Tokyo spiegavo la cartina della città sugli stretti banconi per ottimizzare un itinerario tra i quartieri di Ueno e Asakusa.

    Il viaggio più bello è sempre quello che devi ancora fare, la tappa decisiva è la prossima. E nel frattempo, comunque, *sei* in un posto, che fino a ieri doveva essere il più importante, e invece ora è solo una tenda da campo per mettere a punto le tue grandi manovre. Una sorta di stupida ma invincibile insaziabilità del movimento.

    Viaggiare, insomma, è stato sempre per me sinonimo di “verificare”, quasi mai di “scoprire”. Mi chiedo appunto se sia meglio o peggio. Ma forse ognuno deve semplicemente assecondare la sua natura.

  2. marino says:

    Grazie Luca, a volte mi pare di continuare a vivere in Olanda per ricevere
    visite da persone come te.

  3. letturalenta says:

    Federico, il tuo modo di viaggiare è senz’altro migliore, o quanto meno più saggio. A giudicare da quello che racconti tu sei un vero viaggiatore, mentre io mi riconosco più nella categoria dei vagabondi. Chiaro che se dovessi andare in Malesia comprerei guide e cartine a mani basse, perché della Malesia non so niente – al netto delle invenzioni di Salgari. Ma d’altro canto proprio perché non ne so niente dubito che mi verrà mai voglia di andarci. Mi piace visitare posti dove so che troverò cose, e soprattutto persone, che già conosco per altre vie.

    Marino, allora cercherò di venire a trovarti più spesso!

  4. Eh eh, Luca, un “viaggiatore vero” non ho idea di cosa sia, e comunque non ci ho mai tenuto ad esserlo. Io so di essere un turista, con tutte le luci (poche) e ombre (molte) che questa categoria comporta. Certo, sono totalmente distante dallo stereotipo da villaggio turistico, considero l’animatore un criminale e non entrerò mai in un ristorante italiano in terra straniera, ma comunque anche io quando viaggio vado in giro con videocamera, macchinetta fotografica e, appunto, guide e cartine.

    Ma venendo a temi più letterari (e più attinenti a questo blog): in Malesia pressoché nessuno sa che c’è stato un poveraccio di scrittore italiano che ha ambientato tutta la sua epopea proprio in quella terra. Un ulteriore elemento di fascino che si aggiunge all’aura malinconica di Salgari.

  5. kalle says:

    bello, mi hai fatto venire voglia di andare in Olanda

  6. Effe says:

    visto il suo rapporto lento con il tempo, e la questione dei quadranti e delle lancette, pur in tempi di tempo libero pochino la invito a volerci illuminare sulla sua propria dis-unità di misura del tempo (maggiori dettagli sul blogghetto)

  7. Giulia says:

    Ho sempre desiderato andare in Olanda… Tu mi fai venire di più la volgia. Giulia

  8. letturalenta says:

    kalle e Giulia, andateci *sùbito*, in Olanda: è splendida.

    Herr, uno non fa in tempo a dire che di questi tempi ha poco tempo che – zac! – nasce l’apposito instant blog a-tempo. La rete ha tempi di reazione davvero sorprendenti.

  9. cybbolo says:

    un bel viaggiare, di là di Amsterdam, anche attraverso il tempo, ché certe riflessioni ne fanno per magia quasi perdere il senso.
    piacere della tua conoscenza

  10. letturalenta says:

    Ciao cybbolo, piacere mio.

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