Per la parte cattolica della nostra società il 2 novembre è il giorno della commemorazione dei fedeli defunti, memoria che segue a ruota la festa di ognissanti, restando in certo qual modo contagiata dalla gaiezza che tutti – cristiani o meno – associano ai giorni di festa. Dal punto di vista della religione cristiana, poi, la morte non rappresenta soltanto la fine della vita terrena, ma soprattutto l’inizio della vita eterna. A maggior ragione, pertanto, la commemorazione dei defunti, pur non essendo strictu sensu una festa, non è nemmeno giorno di mestizia e di doglianza.
Qual giorno migliore di questo, dunque, per celebrare tutti assieme, noi lettori più o meno lenti, la gloria sempiterna degli autori passati, e in particolar modo di quelli trapassati?
Anche in letteratura, infatti, la morte dell’autore non segna soltanto un termine, una fine definitiva, ma anche l’inizio di una stagione nuova per i testi che il defunto letterato ha consegnato alla posterità.
Per noi italiani, poi, il 2 novembre è anche l’anniversario (quest’anno il trentennale) della dipartita di un grande autore che non nomino, onde non mescolare questo mio scanzonato divagare con gli innumerevoli attestati di stima e di seria commemorazione che in questi giorni inondano la regione letteraria della blogosfera nazionale.
Alla luce di codeste fauste coincidenze, proclamo senz’altro il 2 novembre festa mondiale degli autori defunti, e lascio a te, lettore blogghico insanamente frettoloso, il piacere di unirti alla gioiosa ricorrenza leggendo con doverosa lentezza quanto segue.
Necrologio per trapassi letterari passati presenti e futuri.
Quando muore uno scrittore è tutto uno sventolio di fazzoletti lacrimosi, di commossi addii, di arrivederci non del tutto esenti da un furtivo gesto scaramantico. I membri a vario titolo della comunità letteraria – scrittori, commentatori, editori, ma anche semplici lettori – ingaggiano un’incruenta e onesta gara di incensazione del caro estinto.
Dietro tanta enfasi necrologica, però, alligna un certo qual senso di sollievo, un’inconfessabile esultanza liberatoria, un finalmente impronunciabile.
La morte dell’autore, quella vera, illumina efficacemente il senso della sua morte metaforica, annunciata più volte da schiere di critici post-neo-qualcosa durante il secolo da poco defunto (anche lui): questa presenza ingombrante, questa ipotesi non necessaria – come diceva Manganelli – toglie materialmente il disturbo, lasciando ai critici un’opera finalmente conclusa, molto più maneggevole per l’esercizio di eruditi commenti.
Alla felicità dei recensori si affianca quella dell’editore, che può finalmente ordinare generose ristampe, pianificare opere complete, o commissionare investigazioni postume in cassetti ormai incustoditi.
Sul corpus testuale consegnato in via definitiva alla posterità potrà finalmente proliferare una brulicante coltura di glosse, postille, seconde edizioni, terze pagine e quarte di copertina, per la gioia dei lettori sempre a corto di novità.
La morte dell’autore, insomma, mette in movimento tutti gli ingranaggi del meccanismo letterario-editoriale, racchiude in sé auspici di rinnovata vitalità, allontana indefinitamente il momento in cui anche la letteratura, come tutto ciò che è terreno, dovrà morire.
Che senso ha, quindi, piangere per la morte di uno scrittore? Si faccia festa, piuttosto, gridando grati e riconoscenti: L’autore è morto! finalmente!
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l’autore è morto, viva l’autore.
E si comprende il perché.
Il lettore si pone sempre di fornte al testo come il perito settore di fronte al cadavere.
Deve sezionare, indagare, scoprire, immergere le mani nelle viscere del testo, per farlo suo.
E sì che il libro viene ucciso dal lettore, perché smette di essere esattamente QUEL libro pensato dall’autore, per diventare la miriade di libri che può essere per ogni e singolo lettore.
L’autoree muore, così, ad ogni Visto, si stampi.
La morte naturale non è, poi, che un atto di coerenza moralmente dovuta.
Ma i blogger sono scrittori? E se si, se muoiono il tuo discorso vale anche per loro? Secondo me sia che la tua risposta sia negativa sia che sia affermativa resta parimenti valida nei lor confronti la tua chiosa “L’autore è morto! finalmente!”
ah, quant’è vero! ci si rallegra tutti per la quasi certissima affermazione postuma del caro letterato estinto, inspecie nell’immediatezza della di lui dipartita (anzi, sovente capita che alcuni illuminati estimatori auspichino un più esteso avvicendarsi di tale genere di dipartite, mai abbastanza frequenti) – resta tuttavia da chiarire quale stimolo, quale interiore necessità e, infine, quale senso muova i medesimi, a scadenze fisse (dec/vent/trentennale etc), a rinverdire l’ormai acclarata fama dell’Autore
è che il senso, purtroppo, non ha senso (come dimostra questo mio commento)
Affabilissimo anonimo,
poni una questione che merita attenta (e naturalmente lenta) riflessione. L’istinto mi dice che sì, il necrologio funziona anche per i blogger. Forse è per questo che, quasi per felice premonizione, l’autore di questo blog è un tal “letturalenta”, il quale, essendo affatto privo di tratti biografici e biologici, è in un certo senso bell’e che morto.
Illustrissimo Effe,
Questa idea del lettore autoptico mi solletica assai: non una semplice perversione necrofila, quindi, ma una vocazione scientifica. Ci penserò su per bene.
eh, gabryella, tu cogli il senso ultimo delle cose, laddove ìndichi la latitanza del senso. Gli anniversari, le ricorrenze, le rimembranze, vorrebbero forse dare a noi mortali l’illusione dell’eternità: il grande poeta che cavalca i secoli, la sua memoria che mai si spegne, eccetera. Belle immagini consolatorie, apotropaiche perfino, ma fino a un certo punto.
tempo fa incollai questo tuo pezzo in un post, ma visto che adesso l’hai messo tu in rete, lo cancello. dico però che ‘sta roba sembra presupporre che la letteratura si nutra di vicende, come la morte dell’autore, mentre è solo l’editoria che si nutre di fatti o fattoidi. per la letteratura, che con i fatti non ha mai avuto niente a che fare, la morte dell’autore è insignificante, irrilevante. pensare il contrario è concedere troppo a questo fantasma dell’autore.
dhalgren, premesso che a casa tua fai quello che ti pare, per parte mia il pezzo puoi pure tenerlo: non sono geloso dei pezzi, ci mancherebbe. Quanto alla morte dell’autore, toccherebbe distinguere fra quella biologica, che è l’oggetto del pezzullo qui presente, e quella teorica, proclamata negli anni sessanta da critici come Barthes e altri. La prima è certamente un fatto, ma l’altra?