In un’intervista recente Philip Roth ha lanciato contro la critica letteraria una delle sue tipiche invettive al vetriolo. L’intervistatore dice "forse non dovremmo parlare affatto di letteratura", e Roth prende la palla al balzo:
Ha, ha. Questo è parlare! Starei a meraviglia se ci fosse una moratoria di cento anni sulle chiacchiere letterarie, se si chiudessero tutti i dipartimenti di letteratura e le riviste di libri, e si bandissero i critici. I lettori sarebbero soli coi libri, e chi osasse dire alcunché sui libri sarebbe arrestato o fucilato sul posto. Sì, fucilato. Una moratoria di cento anni sull’insopportabile chiacchiera letteraria. La gente dovrebbe essere lasciata sola a combattere con in libri e riscoprire cosa sono e cosa non sono. Tutto il resto sono chiacchiere. Chiacchiere senza senso. Quando si fanno generalizzazioni si entra in un mondo completamente diverso da quello della letteratura, e non ci sono ponti fra i due.
Sembra quasi che il racconto che mi ha dettato il post Critici simoniaci falsari abbia fatto due chiacchiere anche con Philip Roth. E forse anche con George Steiner, che in Vere presenze – saggio pubblicato nel 1989 – scriveva:
Immaginate una società dove sia vietata ogni discussione che verte sulle arti, sulla musica e sulla letteratura. In questa società ogni discorso orale o scritto sui libri, sui quadri o sui componimenti seri è bollato come chiacchiericcio illecito. (…) Non ci sarebbero né riviste di critica letteraria, né seminari accademici, conferenze o dibattiti su questo o quel poeta, drammaturgo o romanziere. (…) Verrebbe bandito l’ennesimo articolo o libro sui veri significati dell’Amleto, così come quello che lo seguisse a ruota per confutarlo, modificarlo o ampliarlo.
E che dire di Kundera che in I testamenti traditi (1993) sbottava di brutto contro l’inflazione di teorie e controteorie sull’opera di Kafka?
La kafkologia non fa che elaborare, con infinite varianti, un unico discorso, un’unica speculazione, e questa, ogni giorno più indipendente dall’opera di Kafka, si nutre ormai solo di se medesima. (…) Come definire dunque la kafkologia? In maniera tautologica: la kafkologia è il discorso destinato a kafkologizzare Kafka. A sostituire a Kafka il Kafka kafkologizzato.
C’è in giro, e non da oggi, una diffusa insofferenza verso la proliferazione incontrollata di discorsi, interpretazioni, generalizzazioni sulla letteratura. C’è in giro una gran voglia di prendere i critici a calci in culo. Eppure la critica letteraria, quella seria, ha svolto e potrebbe svolgere ancora oggi un ruolo importante nella storia della letteratura: quello di produrre lettori, come diceva il mai abbastanza citato Guido Guglielmi (e sottolineo Guido). Potrebbe, se non fosse che molti critici sono davvero convinti di dover svolgere un altro ruolo: quello di mediatori fra opera e lettore ovvero – orrore degli orrori – quello di interpreti.
Chi gliel’ha mai chiesto? Quale lettore, dal più lento al più deplorevolmente rapido, ha mai chiesto ai critici di sapere cosa significa un libro, che cosa vuol dire? Detta ancor meglio, parafrasando Steiner: chi se ne frega dei veri significati dell’Amleto? Il lettore sa meglio di chiunque altro cosa significa un libro per lui e non gli interessa sapere altro, quanto a significati.
Non molto tempo fa un autore che non nomino, perché non so se gli farebbe piacere essere nominato, mi ha scritto in mail una cosa per la quale l’avrei baciato in fronte sul posto, se me l’avesse detta di persona. Dopo aver spiegato cosa aveva voluto dire in una certa parte di un suo libro, ha aggiunto:
Però, come sempre, questa è una mia idea, e il libro è più di chi lo legge che di chi lo scrive.
Questa è la pura e semplice verità. Il libro è di chi lo scrive, mentre lo scrive, poi diventa proprietà di chi lo legge, senza bisogno alcuno di mediatori, sensali, ruffiani o notai travestiti da critici, recensori o interpreti.
Il critico utile e produttivo non è quello che pretende di aver scoperto il vero significato di un libro, ma quello che sa dimostrare di saper leggere quel libro meglio di chiunque altro e che, durante la dimostrazione, dichiara e mette a disposizione di altri lettori gli strumenti che gli hanno consentito di raggiungere quel mirabile risultato. Il critico non è quello che spiega (orrore!) cosa vuol dire l’Amleto, ma quello capace di spiegare perché l’Amleto ha detto a lui determinate cose.
Questo vuol dire produrre lettori: mettere in circolazione idee, riflessioni, tecniche che consentano a un numero crescente di lettori di accostarsi ai testi con sempre maggiore consapevolezza e – diciamola ‘sta parola – amore. Nessuno imparerà mai ad amare un libro perché qualcun altro gli ha spiegato cosa vuol dire, ma qualcuno forse arriverà ad amarlo se qualcun altro gli ha messo in mano gli strumenti per leggerlo in modo non superficiale.
Orbene, esimi critici cattedratici e non, qui i casi sono due: o voi vi ficcate saldamente in testa la sostanziale inutilità di qualsivoglia mediazione interpretativa fra testi e lettori, o arriverà presto il giorno in cui verrete presi veramente a calci in culo. Metaforicamente, s’intende, come mostrato nelle illustri citazioni qui sopra.
Tags: critica, George Steiner, interpretazione, lettura, Milan Kundera, Philip Roth
non ti dimenticare che anche i libri di critica sono dichi li legge, il che credo basti a rispondere a tutte le tue metaforiche obiezioni.
ps: e non fare dire a Steiner ciò che non dice, maramaldo!
Direi che questa critica alla critica possa applicarsi tanto bene alla letteratura quanto a alla musica, tanto per dire, o ancora al cinema e al teatro, al calcio innanzitutto, direi anzi allo sport in generale (son cose, queste, il proliferare di chiacchiericci “che fanno male a”), e perché no alla gastronomia… Be’, sarebbe non male come scenario, un’infinita teoria di calci in culo
benefo’, come sarebbe che gli faccio dire cose che non dice? Ma se l’ho citato parola per parola!
Calma, concordo sul fascino dello scenario. “Calci in culo per tutti” sarebbe un ottimo slogan elettorale (ma mi sa che sarebbe dura trovare qualcuno disposto ad adottarlo).
eh ma nel contesto sembra che Steiner ce l’abbia coi critici, in Vere Presenze; mentre invece sostiene solo che la critica è impossibile e che è solo letteratura anche quella.
Mo stiamo a guarda’ ar capello. Se la critica non esiste, i critici che ci stanno a fare? Un bel calcio in culo e via, problema risolto. E la letteratura la lasciamo fare a Melville, a Gadda, a Kafka, a DeLillo, che la sanno fare meglio.
Concordo: nel momento stesso in cui qualcuno legge ciò che hai scritto la “proprietà” delle parole non è più tua, ma avrà il senso che il lettore gli attribuirà volta per volta. Deve essere di una scrittrice norvegese l’aforisma che ben descrive questo concetto, ma non chiedermi di ricordarne il nome; l’età, brutta cosa…
Buona giornata. Trespolo.