Si chiamava Jochim, capelli scuri e lisci, occhi chiari e seri. Lui non capiva una parola di italiano, io non capivo una parola di tedesco, ma sulla spiaggia di Miramare giocavamo sempre insieme. Io avevo dieci anni, lui undici, e la sera, dopo la cena a orario comandato, giocavamo ancora nel cortile dell’albergo, costruendo un’allegra amicizia muta. Il giorno in cui partì ci guardammo a lungo, senza parlare e senza piangere, con il cuore che nel petto parlava una lingua sconosciuta, durissima.
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Bellissimo.
Onoratissimo.