Raccontami la tua quarantena

Hello World, come si diceva una volta. Questo è un post aperto.

Chi ha voglia di raccontare la sua quarantena da coronavirus, e non ha voglia di farlo in luoghi affollati come i socialcosi, può farlo scrivendo un commento in questo luogo appartato e silenzioso.

Se possibile, lasciate perdere invettive contro politici, governanti e simili, ma raccontate quello che fate o non fate, che vi piace o non vi piace, che soffrite o non soffrite, che desiderate o non desiderate (eccetera, eccetera) in questa situazione di reclusione involontaria.

E se conoscete qualcuno che ha voglia di dire qualcosa in confidenza, invitatelo a farlo qui.

Grazie.

P.S.: un amico mi ha detto che non ha voglia di parlare di sé in luogo pubblico, per quanto deserto. Gli ho risposto che può tranquillamente inventare oppure scrivere in forma anonima usando un indirizzo email non valido (es: invalid@invalid.inv)

11 Responses to “Raccontami la tua quarantena”

  1. letturalenta says:

    Inizio io riportando il pensiero di un amico che condivido completamente: sono stanco di non far niente per legge. Vorrei tornare a non far niente per scelta.

  2. letturalenta says:

    È come quando ero piccolo, che non si potevano fare un sacco di cose per le ragioni più diverse: perché fa freddo, perché non va bene, perché poi la gente chissà cosa dice, perché costa troppo, perché lo dico io, perché è pericoloso, perché Gesù piange, perché porta sfortuna, e altre ragioni inverosimili.

    Oggi la motivazione è una sola: perché c’è il virus. Ma le cose che non si possono fare sono poi le stesse: non si può fare una partita a pallone, non si può andare in centro con gli amici, non si può baciare nessuno per strada, non si può andare al bar, al cinema neanche a parlarne. E come allora sono contento solo quando piove, che almeno è una buona ragione per stare a casa.

  3. il prode anselmo says:

    Tre righe bianche, spesse e parallele, tracciano i contorni della mia sagoma ingobbita, senza però farmi sentire più brutto o trascurato di quanto non sia: mi danno, semplicemente, la sensazione di essere “in divisa”. Vivo in tute dell’Adidas, e forse mi merito un premio.

    La mia didattica a distanza (ovvero: le poche ore del giorno passate in camicia) è stata prima euforica (fine febbraio / inizio marzo: il periodo dei podcast musicali per “i miei ragazzi”), quindi disillusa (tutto marzo: cinque ore al dì in preda alla sensazione, non proprio gradevole, di essere in pieno soliloquio) e infine rancorosa (aprile: collegarsi con loro, che manco ti cagano, aspettando soltanto che l’ora finisca). Il mio jogging è ora sul posto in corridoio, dopo una fase in cui il circuito camera-soggiorno mi era sembrato, davvero, una genialata.

    Ho maturato tre certezze inedite e sorprendenti: 1) al prossimo che suggerisce – o fa sfoggio di usufruire di – “Ad alta voce” di Radio Rai 3, scriverò in bacheca di andare a fare in culo. A voce bassa o senza fare rumore, ma che ci andasse. A parlare è la frustrazione di un sedicente lettore, che però non sa più leggere, posa ossessivamente gli occhi sul numero di pagina (solo a tratti coperto con i pollici per cercare di pensare ad altro) e, per il resto, si affida a libri-scorciatoia, scritti grandi o con tante pagine vuote in mezzo, per sentirsi meno in crisi; 2) Tucidide, Boccaccio, Manzoni e Camus hanno rotto i coglioni; 3) tra 63 metri quadri dichiarati e 46 calpestabili c’è un abisso. A volte anche un baratro.

  4. il prode anselmo says:

    Tre righe bianche, spesse e parallele, tracciano i contorni della mia sagoma ingobbita, senza però farmi sentire più brutto o trascurato di quanto non sia: mi danno, semplicemente, la sensazione di essere “in divisa”. Vivo in tute dell’Adidas, e forse mi merito un premio.

    La mia didattica a distanza (ovvero: le poche ore del giorno passate in camicia) è stata prima euforica (fine febbraio / inizio marzo: il periodo dei podcast musicali per “i miei ragazzi”), quindi disillusa (tutto marzo: cinque ore al dì in preda alla sensazione, non proprio gradevole, di essere in pieno soliloquio) e infine rancorosa (aprile: collegarsi con loro, che manco ti cagano, aspettando soltanto che l’ora finisca). Il mio jogging è ora sul posto in corridoio, dopo una fase in cui il circuito camera-soggiorno mi era sembrato, davvero, una genialata.

    Ho maturato tre certezze inedite e sorprendenti: 1) al prossimo che suggerisce – o fa sfoggio di usufruire di – “Ad alta voce” di Radio Rai 3, scriverò in bacheca di andare a fare in culo. A voce bassa o senza fare rumore, ma che ci andasse. A parlare è la frustrazione di un sedicente lettore, che però non sa più leggere, posa ossessivamente gli occhi sul numero di pagina (solo a tratti coperto con i pollici per cercare di pensare ad altro) e, per il resto, si affida a libri-scorciatoia, scritti grandi o con tante pagine vuote in mezzo, per sentirsi meno in crisi; 2) Tucidide, Boccaccio, Manzoni e Camus hanno rotto i coglioni; 3) tra 63 metri quadri dichiarati e 46 calpestabili c’è un abisso. A volte anche un baratro.

  5. stellina says:

    Andare a mangiare fuori non si può, ed è una delle cose che mi pesa di più. Non tanto per il mangiare, che si mangia benissimo anche a casa, quanto per il fuori, in compagnia. Per me mangiare in compagnia è come stabilire un legame sentimentale. Conservo sempre qualche ricordo delle persone con cui ho mangiato anche solo un panino o un gelato, anche se non le vedo da anni e non mi ricordo neanche più come si chiamano.

    Ricordo una cena a Monaco, trent’anni fa. C’ero andata per lavoro e i colleghi bavaresi mi portarono fuori a mangiare carne alla brace e bere birra. Mi ricordo le facce, le risate, le voci, altissime e allegre. Parlavano in dialetto. Non capivo una parola ma stavo benissimo. Non li ho mai più rivisti, ma non li ho mai dimenticati del tutto, come non ho mai dimenticato tantissime altre persone con cui ho mangiato qualcosa in un bar, in pizzeria, al ristorante, a una festa o a una spiaggiata, o alle tavolate affollatissime dei parenti in campagna quando ero bambina.

    Che poi è strano, se ci penso, perché non ho un carattere molto socievole ed espansivo, anzi. Ma datemi una tartina, un piatto di pasta o un bicchiere di vino e non vi dimenticherò mai.

  6. Prima di tutto condivido quanto scrive “Il prode Anselmo” circa Ad alta voce.
    Quarantena.
    Dai giornali, dalla tv, dal web, e anche dalle mail e messaggi vari che mi pervengono noto che la sofferenza maggiore è la mancanza di “contatto umano”. Ecco, sono fortunato perché non patisco quella sofferenza. La mancanza di contatto umano è una delle cose (per quanto mi riguarda) che giudico buona. Mi manca, invece, la possibilità di viaggiare che essendo per me anche occasione di quattrino significa doppia sofferenza.
    Per fortuna posso lavorare al computer e passo parecchie ore alla tastiera.
    Per tutto il resto l’ha detta giusta Celine: “E’ il nascere che non ci voleva”.

  7. La Sere says:

    I tamponi. Quando ero ragazzina i tamponi erano l’alternativa ai pannolini per le mestruazioni e usare il tampone era una vergogna, perché voleva dire che non eri più vergine, secondo loro, che era poi un modo come un altro per darti della puttana. Adesso c’è una gra voglia di tamponi. C’è addirittura una forma di invidia sociale per il tampone: perché lo fanno ai politici e ai calciatori e a me no? Un amore per i tamponi mai visto prima.

  8. pes says:

    La quarantena è finita, ma non ho voglia di uscire, fare, baciare, lettera, testamento. Non ho voglia di niente, se non di leggere e radio. Vorrei scrivere di nuovo in un posto silenzioso come un blog. Questo sarebbe un bel tornare indietro, sì, a una cosa che mi manca parecchio. Sarà che manca a chi non ha tanta voglia di farsi vedere per forza, non ha voglia dei suoi cinque minuti di successo, anzi.

  9. Gabryella says:

    Ciao Luca. Sì, sono viva abbastanza e sto rileggendo i tuoi post (commenti inclusi). È piacevole. Stammi bene, per favore!

  10. Minollo says:

    Evviva il virus, evviva il lockdown, fanculo ai bar, chiudano ristoranti e alberghi, ammorte al turismo, basta stringere mani mosce e sudaticce, basta fiati fetidi, basta gruppi di più di tre persone che cammminano (mano nella mano e a chiappe larghe) sul marciapiede davanti a te che vai di fretta, perché il tuo cane tira al guinzaglio. Evviva i centri commerciali chiusi, evviva tutto ciò che ci spinge all’interno, verso il Molise!

  11. endorsum says:

    Ciao, son la daldi, con l’arrivo della pandemia (qui a Brescia siamo stati massacrati) ho ripreso il blog (non ricordavo il suo tasso di pervasività!). Non solo, sono stata un’attenta osservatrice dello spiegamento in forze (tecnica a rastrello sulle fatidiche 18.00), dei droni a terra senza il manulae d’istruzioni, degli elicotteri sopra i fruttivendoli a mandare a casa le vecchiette sorde, della fioritura di maschi ai balconi, delle cremazioni via internet, della raccolta forsennata di fondi per l’ospedale o di idee per creare nuove maschere, del suono delle ambulanze ininterrotto e del mancato crollo dei valori di PM10 e delle polvere sottili nonostante la mancanza di traffico, dei cani in affitto, dei baci rubati di nascosto.
    Spero tu stia bene.
    ciao.

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