La scollatura della Marisa

C’è modo e modo per dire le cose. Nella frase che precede questa, per esempio, il lettore scafato ne avrà senz’altro riconosciuti due: l’indicativo e l’infinito.

L’indicativo è il modo gentile e amichevole del colloquio, delle gite domenicali, delle chiacchiere pomeridiane al parco: sono andato al cinema con la Marisa e non ho visto il film, ma ho tenuto gli occhi inchiodati alla sua scollatura per tutto il tempo. Questo è il modo prìncipe della prosa, il modo in cui miliardi di individui dalla notte dei tempi hanno potuto esprimere tutto ciò che è quotidiano, familiare, rassicurante da un lato, ineluttabilmente noioso dall’altro.

L’infinito, al contrario, è il modo grazie al quale noi bipedi loquaci possiamo partire per la tangente, sognare, immaginare mondi alieni, fantasticare, è cioè il modo che ci consente di evadere dall’indicativo, di accantonare l’opprimente prosaicità quotidiana a favore di un tempo nuovo, dilatato, un po’ perso fra le nuvole: Oh, andare al cinema con la Marisa e non vedere il film, ma tenere gli occhi inchiodati alla sua scollatura per tutto il tempo!

Che il congiuntivo sia vagamente ecclesiastico e burocratico è un pregiudizio. Certo, la sua variante esortativa, parente stretta dell’imperativo, ricorda troppi professorini col ditino alzato e istiga alla ribellione linguistica, un po’ come il gesso che stride sulla lavagna, ma ciò non toglie che il congiuntivo sia anche tutto l’opposto, cioè un modo mite, incerto, incline al rossore e alla ritrosia, incapace di concludere, dubitativo, forse bisognoso di incoraggiamenti o di abbracci materni: E se andassi al cinema con la Marisa e non vedessi il film, ma tenessi gli occhi inchiodati alla sua scollatura per tutto il tempo?

Inguaribilmente burocratico è invece il gerundio, un modo che fin dal nome odora di timbri, archivi e ugge impiegatizie. Avendo un carattere pedante, essendo occhialuto e di natura subordinata e parassitaria, il gerundio non è abbastanza autonomo per dire qualcosa di suo, ma ha sempre bisogno di una principale a cui appoggiarsi: Andando al cinema con la Marisa e non vedendo il film, ma tenendo gli occhi incollati alla sua scollatura per tutto il tempo. Manca qualcosa, nevvero?

Il condizionale è ritenuto universalmente, e a ragione, il re dell’ipotetico. Non c’è modo migliore per dire ciò che potrebbe essere o che sarebbe potuto essere stato e, proprio per questo suo commercio con le congetture e le supposizioni, il condizionale ha la postura a un tempo mesta e desiderante degli insoddisfatti: Andrei al cinema con la Marisa e non vedrei il film, ma terrei gli occhi inchiodati alla sua scollatura per tutto il tempo.

C’è modo e modo per dire le cose e forse dovrei ancora spendere due parole sull’ambiguità del participio o sulla depressione dell’imperativo, ma dopo tutto, a parte il modo, quello che volevo dire è che la scollatura della Marisa è un film meraviglioso.

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7 Responses to “La scollatura della Marisa”

  1. Isa says:

    Lo sapevo che facevo bene a volerti bene, amico mio.

  2. letturalenta says:

    ne sono lieto, zia, e ricambio di cuore.

  3. maisele says:

    ma che bel esercizio di stile!

    è bello leggerti.

  4. letturalenta says:

    Tutto merito della Marisa! (che è pura finzione, neh. Lo dico a beneficio di eventuali mogli di passaggio).

  5. molto bello, sì, come la scollatura della marisa.

  6. letturalenta says:

    ‘sta Marisa sta facendo una strage di cuori :-)

  7. C. says:

    Metto qui una cosa scritta un po’ di tempo fa e rammentata grazie a questo delizioso racconto:

    … col tempo, ti accorgi di come l’esistenza sia, invece, sgrammaticata, di come si perde il filo alla ricerca di proprie coniugazioni. Più avanzi, nel tempo, più li trascuri, i tempi.

    Il fatto è che ho più trasporto per i modi indefiniti, pochi tempi, senza futuri accentati e senza pronomi, ché entrambi creano distanze, mentre loro, fluidi, essenziali, trattengono bene la radice, il cuore, ciò che conta.
    Mi piace tanto l’infinito, che, si sa, è di un dire (appunto) da analfabeti, ma mi piace perché lascia circolare il tempo, appena una vocale tematica ad indicare la rotta, per il resto naviga libero, e si fa trasportare, e si adatta a tutti i tempi e a tutti i contesti.
    E mi sembra più realmente indicativo il gerundio, che è presente e futuro insieme: andando, sentendo, imparando, …. perché nessuna certezza è statica. E sento più passato (proprio nel senso di compiuto) il participio presente, che difatti, proprio perché è ed ha sostanza, è più spesso sostantivo: cantante, vedente, credente…. (e non sarà che, proprio perché è compiuto, non conosce l’essente?). …

    Ciao
    C.

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