Sì, certo, il lettore è bistrattato, umiliato, considerato carne da cannone, ma fra le migliaia e migliaia di pagine a cui dedica il suo tempo può capitargli di trovare qualche parola di conforto. Allora sorride, il lettore, e si rasserena un poco. L’incomprensione del mondo si fa meno oppressiva e il lettore scorge un barlume di senso nella sua dedizione spirituale e corporale ai libri, alle pagine, alle frasi, alle parole, ai segni di interpunzione e soprattutto ai margini e agli spazi bianchi.
Talvolta infatti, mentre riordina mentalmente le anonime sequenze di grafismi stampate sulla pagina, gli si presenta un pensiero, un’idea, un discorso che lo riguarda. Allora sa che quei segni neri che spezzano il bianco della pagina sono stati scritti per lui. Non per un generico lettore, sia chiaro, ma proprio per lui. Sono parole d’affetto, di solidarietà, di pietas, che egli accoglie con gratitudine come se fossero una dedica. A volte, poi, sono davvero una dedica:
L’uomo interiore, l’intra-uomo, quando diventa lettore, contemplatore, se vive deve diventare lettore, contemplatore del personaggio che nello stesso tempo legge, ma anche fa e crea; contemplatore della sua opera. L’uomo interiore, l’intra-uomo – che è più divino del trans-uomo o sovra-uomo nietzschiano – quando diventa lettore diventa per ciò stesso autore, ossia attore; quando legge un romanzo diventa romanziere, quando legge storia storico. E ogni lettore che sia uomo interiore, che sia umano, è, lettore, autore di ciò che legge e sta leggendo. Quello che ora leggi qui, lettore, sei tu che lo stai dicendo a te stesso, ed è tuo non meno che mio. Se non è così, non stai leggendo. [Miguel de Unamuno, Come si fa un romanzo, Ibis 1994, traduzione di Giuseppe Mazzocchi, pag. 124-125]
Le parole sopracitate sono parole mie. Furono invero scritte nel’estate del 1926 da un certo Miguel de Unamuno, docente di filologia greca all’Università di Salamanca, mentre scontava un volontario esilio sul versante francese dei paesi baschi a causa dell’ineluttabile stupidità dei potenti. Tuttavia è così evidente che sono parole mie, che non mi pare il caso di diffondermi in inutili spiegazioni. Ed è parimenti evidente – o lettore che del tutto involontariamente sei chiamato in causa da quelle mie parole – che quelle parole sono anche parole tue.
Ne deriva, o lettore, che quello che ora leggi qui sei tu che lo stai dicendo a te stesso. Se non è così, non stai leggendo. E ne deriva altresì, mi pare naturale, che tutti i libri che tu e io abbiamo letto davvero, li abbiamo anche scritti. Dico quelli che abbiamo letto davvero, perché tu sai bene che per leggere non basta mandare gli occhi a zonzo sulle pagine. Quello, se sei d’accordo, lo definirei zonzare. Devo aver zonzato mille e mille libri in vita mia, ma ne avrò letti sì e no una decina. Non sono un autore molto prolifico.
Adesso però devo dirti la cosa più difficile su questa faccenda dell’identità fra lettore e autore, e spero che tu sia forte abbastanza per sopportarne il peso: la conseguenza più drammatica per te, o sventurato lettore, è che se in questo preciso istante stai leggendo, ovvero se quello che leggi qui lo stai dicendo a te stesso, tu stai scrivendo questo blog.
Tags: Come si fa un romanzo, Ibis, lettura, Miguel de Unamuno, scrittura
Grazie, Luca, per avermi fatto sentire così grande. Ora vado di là e lo dico a mia moglie, che mi crede un buono a nulla.
Le dico anche che mi chiamo Luca Tassinari:-)
Bart
in tempi ormai remoti ebbi a coinvolgere il lettore in un’accorata chiamata di correo (incautamente pubblicata da una rivista-in-rete) – con questo tuo post si chiuderebbe il cerchio e la chiamata potrebbesi ragionevolmente definire “di correo incrociato”
ci sarebbe anche la questione della coincidenza del qui e ora, ma prima devo capire come diavolo sono arrivato a Salamanca. E non so nemmeno parlarlo il salamanchese!
scemenze (mie) a parte, la mise en abîme della produzione di senso è uno dei labirinti nei quali è più dolce smarrirsi.
un discorso che ti riguarda scrittore: adesso sei un’oca come tutti! ;) zzzzz
Bart, a mia moglie io ho detto che sono Shakespeare, ma lei non ci vuole credere.
gabryella, devo assolutamente leggere il tuo pezzo per garantire la perfetta recursività della correità: spara il link.
mauro, se può consolarti, io mi sono perso migliaia di anni fa, mentre scrivevo l’Iliade, e ancora non mi sono ritrovato.
zop, oca sì, ma non come tutti! Gli altri scrivono, io leggo e mentre leggo scrivo quello che poi gli altri leggono e, leggendo, scrivono… o era che mentre scrivo… va be’, insomma, ci siamo capiti.
Comunque, se dovesse capitarmi di scrivere un post DADIista senz’accorgermene, prendilo pure.
bon, l’hai voluto, e io sparo: http://www.sacripante.it/002/contrappunti/21.asp
Sòrbole, gabryella, che bello! E finalmente ho capito perché nessuno se li fuma, i lettori: perché non esistono!
letteratura, mi piace leggere i tuoi post….
ma ciancio alle bande, si può quindi affermare che ciò che ci piace, ossia, i nostri gusti in fatto letterario siano influenzate anche alle somiglianze che noi abbiamo con gli scrittori che ci interessano?
e poi, che tipo di somiglianze?… caratteriali, comportamentali, sociali?
mi domando e mi rispondo da solo e credo che il responso sia affermativo
ah, come scrivo bene, come sono contenta! :-) daldivano
Guarda le coincidenze della vita! Quel libro di de Unamuno lo sto aspettando proprio in questi giorni (se il libraccio si dà una mossa con le spedizioni). Inoltre, l’ultimo miniracconto che postai nel mio blog è stato, come dire?, un modo molto frettoloso per liberarmi da un’ossessione che in un certo qual modo ha a che vedere con questa sorta di confusione di ruoli tra chi legge e chi scrive. Lo spiego meglio in un commento a quel post che ti ricopio qui sotto. Ciao
“A parte gli scherzi. L’ossessione del post mi pareva una traccia validissima per un racconto lungo. Forse un po’ troppo (consentitemi l’ossimoro) borgesianamente metafisica (e non escludo che il venerabile non l’abbia usata a suo tempo, benché non mi sovvenga nulla al riguardo).
In pratica io pensavo ad una sorta di topo di biblioteca che, col passar del tempo, si rende conto che le cose che legge (ma anche quelle che scrive), al di là della loro traccia più evidente costituita dal testo in senso stretto, sono leggibili come un fiume di alternative. Non so spiegarmi (e vado tremendamente di fretta), ma immagina che questo tale riesca a leggere, che ne so?, saltando qualche lettera, come se avesse un servoprocesso automatico nel cervello, e che quindi possa riconoscere e leggere, in ogni testo, un’infinità di altre cose. Nella mia immaginazione questo tale, al termine del racconto, poteva leggere qualunque storia e qualunque saggio sempre nello stesso identico libro. “
Joseph, grazie per avermi promosso a *letteratura* tout-court: ‘na pacchia per l’autostima.
daldivano, ho girato il tuo commento a Miguel De Unamuno, che ha risposto così: io non c’entro!
CalMa ma sei lo stesso CalMa di ICL? Qui le coincidenze si moltiplicano, come dicevo un paio di post fa. Il personaggio del tuo racconto ha fatto bene a ridursi a un libro solo. Tanto, come diceve Manganelli, ogni libro contiene tutti i libri (lui però ne leggeva a pacchi, vecchio marpione).