Una volta chiamai Giorgio Manganelli sbobinatore di incubi, e un amico rispose che poteva anche andare bene, sbobinare gli incubi, però non i propri, come sembra appunto accadere nel Manganelli narratore, ma quelli degli altri.
Questa notte ho avuto un incubo, una cosa che mi capita rarissimamente, per non dire mai. Altro fatto inconsueto per me, che di solito non rammento a sera quel che ho fatto a mezzogiorno, è che al risveglio ricordavo tutta intera la trama, per così dire, dell’incubo, nonché numerose scene e non pochi particolari.
Lì per lì ho pensato che avrei potuto sbobinarlo, l’incubo, in modo da lasciare ai posteri — e soprattutto al postero di me stesso che io sarò fra qualche anno — una traccia scritta di questo accadimento così raro e strano. Subito dopo, però, mi è tornata in mente la risposta dell’amico e l’ho immediatamente tradotta in avvertimento, segnale, pannello luminoso con scritta a intermittenza: non azzardarti a farlo.
Aveva ragione, l’amico: trascrivere i propri incubi può andare bene, al limite, come strumento psicanalitico o come personalissimo rito apotropaico: dare corpo alle proprie paure per poterle riconoscere, vedere, toccare ed eventualmente prendere a mazzate fino a renderle innocue. Difficilmente la sbobinatura servirà a intercettare gli incubi altrui, che è un’ambizione molto più appropriata per la scrittura.
Se diamo ragione a Shakespeare quando diceva che siamo fatti della stessa materia dei sogni, se seguiamo Schopenhauer quando dubitava che esistesse un criterio sicuro per distinguere il sogno dalla realtà, allora dobbiamo credere che il modo migliore per scrivere di incubi universali e condivisi, sia quello di narrare la dura materia e la vita vissuta a occhi aperti.
L’unica cosa sensata che posso dire a proposito del mio incubo, adesso che sono sveglio, è che questa notte ho avuto un incubo e che al risveglio lo ricordavo tutto intero. Ai posteri, me incluso, basterà la notizia. La trama, le scene, i particolari e di quale angoscia esso incubo fosse araldo, queste son tutte cose degne di essere taciute.
Tags: Giorgio Manganelli, incubi, scrittura, sogni
Mi pare di avere notato un aspetto ricorrente nei sogni (o negli incubi) raccontati: suscitano entusiasmo e partecipazione soprattutto in chi li ha vissuti nel sonno in prima persona…spesso l’ascoltatore o lettore simula interesse, ma più per cortesia che per effettivo coinvolgimento…chissà a cosa è dovuto questo strano meccanismo. E dire che in teoria sono racconti come altri, per cui l’unico criterio dovrebbe essere la bontà della narrazione, o il fascino della trama, ecc.
Invece no: il sogno reca con sè questa sorta di barbosità automatica :-)
Diverso è il discorso della sublimazione del sogno in un eccelso modo di raccontare che ne rievochi i sapori emozionali, applicati però ad eventi riferiti allo stato di veglia…mi viene in mente ad esempio la maestria di Kafka…
Niente…erano solo due considerazioni cagnose :-)
Queste tue considerazioni, mi pare, confermano che l’amico aveva ragione: il racconto dei propri sogni raramente provoca reazioni empatiche, quindi meglio non imporre agli amici inutili supplizi.
però a questo punto mi viene quasi da dire che sono curioso di sapere cosa caspita avevi sognato :-) ma rispetto la tua scelta :-)
“Ora” Manganelli è diventato narratore! Tre anni fa non lo era. Tu qui: (in questo blog dico) “Ma, Manganelli non è un narratore!”. (con fare da prof.)
Come le cose cambiano…
Michele, non nego che le cose cambino, per carità, ma qui l’ho chiamato narratore solo per distinguerlo dal saggista. Quanto al fare da prof., rimando all’apposita categoria di questo facondissimo blog.
mi piaci che tu ne abbia taciuto il contenuto, che è rilevante sempre e solo per se stessi. a me l’altra notte invece ha fatto visita un sogno che mi sembrava illuminante, qualcosa che spiegava tutto di me. mi sono svegliato tutto contento, ho acceso la luce e ho segnato sul taccuino la frase finale che lo sintetizzava, e mi son detto che non c’era bisogno di trascrivere la trama, quell’epilogo me l’avrebbe immediatamente fatta tornare in mente. poi al mattino ho aperto il quaderno e letto la frase. c’era scritto: “buffo che si debba ricorrere all’autodenuncia per riacquistare la propria libertà”. non ho la più pallida idea di che cosa volesse significare.
Certo che fai dei sogni ben strani, neh!
Recentemente c’è stato un signore, credo olandese, o forse danese, che si è autodenunciato per aver copiato sull’hard disk del suo computer il contenuto di un CD da lui regolarmente acquistato.
La legge del suo paese consente di fare una copia di backup dei CD che uno si compra, ma non consente di aggirare i sistemi di protezione da copia eventualmente inseriti dal produttore sul CD medesimo. In pratica, la legge consente e vieta la copia allo stesso tempo.
Adesso quel signore sarà processato per aver aggirato i sistemi di protezione e, se i giudici gli daranno ragione, avrà riacquistato la propria libertà di copiare i CD che si è comprato. Sembra una cazzata, lo so, ma è una cosa importante, secondo me. Magari non c’entra un fico secco col tuo sogno, però è un caso in cui la frase che ti sei appuntato funziona.