Quando i lettori fanno ‘oh’

Gioachino Chiesa, Davanti al Terzo Millennio, tratto da /www.uffizi.itLo stupore è quell’atteggiamento verso le cose che l’uomo maturo, istruito e produttivo si ritrova suo malgrado a condividere con i bambini. Situato a metà strada fra l’onesta ingenuità dell’infante e l’irrevocabile tensione alla demenza del geronte, lo stupore è la capacità di considerare nuove tutte le cose, da una gita domenicale sulla luna alla fermata del tram.

Nella vicenda esistenziale del lettore, come è noto, non ha luogo un rapporto diretto con le cose. Il lettore infatti non vive: egli legge. I viventi acquistano conoscenza e saggezza mediante l’esperienza delle cose del mondo: essi nascono, lavorano, viaggiano, pensano, amano, soffrono, muoiono. Qualsivoglia conoscenza del lettore – ammesso che il lettore possa conoscere alcunché – passa invece attraverso il filtro della parola scritta. La nascita del lettore è un incipit; il suo lavoro è un racconto verista; i suoi viaggi sono grand tour settecenteschi; egli pensa i pensieri dei filosofi, ama d’amor romantico o libertino o cortese, soffre le pene degli eroi epici, e la sua morte è prevedibilmente un explicit.

Il lettore non può stupirsi del mondo, giacché egli non ha col mondo alcun rapporto sensibile: nulla che possa incidere la sua memoria, nessuna esperienza come fonte di discernimento fra cose già sperimentate e cose nuove. Ciò non impedisce che anche il lettore possa stupirsi come qualsiasi altro membro dell’umano genere, poiché – ed è bene non dimenticarlo – egli è pur sempre persona umana, per quanto minata alle fondamenta.

Non avendo accesso ad alcunché di sensibile, materiale, reale di cui stupirsi, il lettore si stupisce delle parole, delle frasi, dei paragrafi e – sebbene più raramente – di interi componimenti di ponderosità variabile dal distico elegiaco alla Récherche proustiana. Anche leggendo libri già letti, il lettore può sorprendersi in atteggiamento stupito, come se vedesse per la prima volta parole necessariamente già viste.

Una volta un lettore stava riordinando alcune vecchie carte: appunti, scarabocchi, stampe e fotocopie, il tipico ciarpame che s’accumula nel tempo sulle scrivanie. Mentre appallottolava, strappava e cestinava con scarsa o nulla attenzione ai contenuti, notò un appunto scritto a penna su un foglietto volante e d’aspetto alquanto vetusto:

Una sera della fine di marzo arrivai un po’ piú tardi del solito a casa. Niente di male: ero caduto nelle mani di un dotto amico che aveva voluto confidarmi certe sue idee sulle origini del Cristianesimo. Era la prima volta che si voleva da me ch’io pensassi a quelle origini, eppure m’adattai alla lunga lezione per compiacere l’amico. Piovigginava e faceva freddo.

Dopo aver letto e riletto l’appunto, l’unica cosa che seppe riconoscere in lui con ragionevole certezza fu la sua calligrafia. Per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare il motivo per cui l’aveva scritto, né la fonte, né alcun altro indizio sull’epoca, il senso e il fine ultimo di quella trascrizione. Risalire alla fonte – La Coscienza di Zeno – fu facilissimo, mercé i servigi di un motore di ricerca, ma tutto il resto restava un mistero. Era un brano interlocutorio, di collegamento, e affatto privo per lui e in quel momento di secondi significati palesi o occulti. Per quanto lo rileggesse, continuava a non vedervi altro che quel che c’era scritto, senza che la lettura, come spesso capita, innescasse ricordi o affinità elettive o improvvisi riconoscimenti.

Lasciata ogni speranza di venirne a capo, il lettore si abbandonò finalmente alla lettura e allora capì che sapere quando e perché egli avesse trascritto quelle parole non era affatto importante. Ciò che contava davvero era aver ritrovato l’appunto proprio in quel momento e in quelle circostanze, e aver evitato per un pelo di gettarlo nel cestino della carta straccia assieme al resto. Ciò che contava davvero era che quelle parole, che un tempo aveva non solo lette ma addirittura trascritte, non gli ricordavano nulla, non erano impresse nella sua memoria, non erano consumate per l’uso: erano parole nuove, e lo sarebbero sempre state.

Entrai nello studio di quel lettore proprio mentre era assorto in questa stupefacente scoperta. Lo osservai attentamente per una manciata di secondi, approfittando di quel suo stato leggermente ebete e stupefatto. Sorrideva e muoveva le labbra, come se stesse raccontando a sé medesimo una storiella buffa: era il simbolo vivente dello stupore; era lo stupore incarnato; era l’immagine carnale della stupidità.

A questo punto – o lettore che giungerai tuo malgrado a leggere con deprecanda fretta le parole che seguono questo inciso – considera attentamente la tua posizione: quelle che stai leggendo non sono parole di scrittore, ma di lettore. Leggendo un lettore tu sei lettore al quadrato. Concentra le tue risorse mentali su questa inconfutabile verità, e tràine le debite conseguenze.

Nota: Il punto 2 del manifesto del DADIsmo recita:
Noi vogliamo scardinare la narrazione sequenziale della letteratura e del cinema, vecchia e stantia, in nome di una narrazione aperta, labirintica, casuale, circolare [e ricca di
link].

Questa cosa qui sopra potrebbe essere un fenomeno di cotanto kantiano noumeno, ma anche no. Decidetelo da voi.

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11 Responses to “Quando i lettori fanno ‘oh’”

  1. sai, letturalenta, pensavo che ogni atto di pensiero è aperto, circolare, ricco di link (la cosa più piena di link, da un testo all’altro, che esista è il cervello, dopotutto), e la lettura tra gli altri. dunque, non c’è lettore che, come hai appena fatto tu con evidenza, non componga il suo testo, tal quale a uno scrittore: reperitori di mondi, attivatori di legami entrambi. sono, siamo inseparabili (e irreparabili), come Hyde e Jekyll: ciascuno è l’origine e la rovina dell’altro. che bello.

  2. gabryella says:

    ottimo lentore, nel ringraziare per la citazione, t’avviso che mi sono avventurata (chez moi) in una sorta di “staffetta” del gioco..

  3. Giocatore says:

    I collegamenti ipertestuali inventano una nuova grammatica del testo, certo, dilatando i tempi di lettura, creando frenate ed accelerazioni, pressioni gravitazionali laterali. Una nuova punteggiatura, in fondo.

    Che la lettura si ri-scrittiva (e che quindi “superior stabat lector”) è idea che continua a convincermi. Come questa tua scrittura/iperlettura, del resto.

    un saluto

  4. Maura says:

    Luca, sei un grande!

  5. letturalenta says:

    Eh già, illustri lettori, si tratta proprio di questo: un circolo virtuoso – o più probabilmente vizioso – di generazione continua e irredimibile di testi. Il lettore – animula vagula blandula – saltella giulivo da un libro a un blog, da un blog a una pagina di cronaca, da quella a un biglietto ferroviario, e così facendo assorbe miliardi di parole, milioni di frasi, migliaia di capziose figure retoriche che poi ricombina inconsapevolmente, e talvolta trascrive.

    Ed ecco che, come per miracolo, altri lettori leggono quella sua sintesi provvisoria e un po’ sbilenca, e giulivi la ricombinano per le stesse misteriose vie alle parole dei loro libri, dei loro blog, delle loro pagine di cronaca, dei loro biglietti ferroviari, e da quel rimpasto ricavano nuove provvisorie sintesi. E così via all’infinito, in un’irragionevole coazione a ripetere che dura da migliaia di anni.

  6. non c’entra col post ma c’entra con la lettura lenta: Valerio Magrelli ha appena detto in tv che “la poesia è parola frenata, che rallenta”. me ne sono rallegrata. mi sembrava importante dirtelo.

  7. matisse says:

    Possedessi una pendola, quando ti leggo, scandirebbe un tempo di quantità sconosciuta a chi si affretta. Il tempo di una seduzione lenta e inesorabile, l’interruzione dell’inquietudine nel mezzo di una conversazione.

  8. Effe says:

    lettori al quadrato, ma anche al cubo (cubisti?) e all’ennesima potenza.
    Il mondo esiste solo perché ogni nuovo giorno lo rileggiamo, e dentro al mondo leggiamo di noi (ora, il difficile è capire chi sia lo speccho, e chi il riflesso)

  9. decablog says:

    Bel pezzo sull’insostenibile leggerezza
    del link. Una mappatura a blogeografia variabile.
    Una lettura opulenta. :)

  10. letturalenta says:

    Ma tu pensa, dopo l’elogio di Magris ecco quello di Magrelli. Questi signori con il cognome in magr- sono un sacco simpatici!

    matisse, mi stai dando del noioso! (faccina! faccina!). E comunque le pause e le interpunzioni tue sono insuperabili, ecco.

    Effe, proporrei piuttosto “lettori all’ennesima impotenza”.

    Grazie decablog, e spero che non diventi mai una lettura sonnolenta.

  11. SOYUZ1968 says:

    Complimenti per questo sito ponderoso e onanofrenico di eccelsa qualità….

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