Letture ambigue

PaperoconiglioIl pregiudizio che il testo nasca da un atto di scrittura è duro a morire, forse perché la concezione autoriale della letteratura è uno strumento di marketing molto potente: i testi non vendono, gli autori sì. Basti pensare che un libro intitolato Napoli siamo noi scritto da un signore di Cuneo può vendere migliaia di copie, se quel signore si chiama Giorgio Bocca. L’avesse scritto il brigadiere Cafiero Pasquale, che sta a Poggio Reale dal cinquantatrè, non se lo fumerebbe nessuno.

Dicono i dotti: ogni testo presuppone un lettore. Mica vero. È vero piuttosto il contrario: ogni lettore presuppone un testo. Ogni lettore ha in mente un testo che non è mai stato scritto, e se lo va a cercare in quelli che qualcuno s’è preso la briga di scrivere. Se ci fai caso, lettore, tu non stai leggendo queste ciarle mie perché loro hanno in mente te, ma perché tu hai in mente qualcosa che si accorda in modo ragionevole con le mie ciarle, le quali possono continuare a loro piacimento, ma se di quel che dicono non te ne fregasse niente avresti già cambiato canale.

Sei ancora lì?

Bene, andiamo avanti. Dopo aver appurato che il testo non nasce da un atto di scrittura, ma da un atto di lettura, occorre sfatare un secondo pregiudizio, ovvero che sia il lettore a leggere. Da dove venga questa fandonia proprio non lo so, ma suppongo che derivi dall’osservazione pedissequa e ingenua di persone intente a maneggiare libri. Guardando la cosa in questo modo è facile attribuire al lettore un ruolo attivo, e uno passivo al libro: gli occhi del lettore si muovono; è il lettore a voltare le pagine; il lettore decide quando aprire il libro e quando chiuderlo. Il libro subisce tutto in silenzio.

Ciò che non si vede fermandosi alle apparenze è quello che succede nella testa del lettore: ricordi che affiorano; piccole e grandi epifanie; domande che si pongono per la prima volta; certezze che vacillano; voci e campanelli mai sentiti prima; conoscenti dimenticati che appaiono quasi in carne e ossa; sconosciuti che salutano amichevolmente per primi; vertigini da vetta e da abisso. E basta chiudere il libro perché tutto questo svanisca all’istante. E basta riaprirlo perché ricominci. Il lettore manovra il libro, meccanicamente parlando, ma da un punto di vista mentale è il libro a manovrare il lettore: il libro legge; il lettore è letto.

Guarda che se non ti interessa puoi dirlo liberamente, neh, mica mi offendo.

Leggere, per noi lettori, non è tanto capire quel che c’è scritto su un pezzo di carta, quanto capire cosa ci frulla in testa in un dato momento della nostra esistenza. Il significato – croce e delizia di ogni appassionato di letteratura, scrittore o lettore che sia – non è un attributo del testo, ma del lettore letto dal testo. Una frase grammaticalmente impeccabile e semanticamente inequivocabile può essere muta, mentre una sgrammaticata e oscura può suonare le campane a festa, o anche a morto.

La persona che compone un testo – lo scriba – non ha alcun controllo sul risultato finale del suo lavoro. Per quanto s’industri e s’ingegni, non riuscirà mai nell’intento di forzare le parole a dire ciò che lui – lo scriba – vuol dire. Non esiste frase al mondo capace di dire qualcosa che il lettore non voglia dire o non voglia sentirsi dire: i testi dicono quel che vuol dire il lettore, se il lettore ha qualcosa da dire, altrimenti tacciono.

Ricapitoliamo.

Il testo non è il risultato di un atto di scrittura, ma di una atto di lettura.
L’attore dell’atto di lettura non è il lettore, ma il testo.
Il testo non dice ciò che lo scriba vuol dire, ma ciò che il lettore vuol dire.

Ma se il lettore è il testo, dedurrà l’arguto lettore, si deve forse concludere che il testo dice ciò che il testo vuol dire? Ma questa è una tautologia!

Si tratta piuttosto di un’ambiguità dovuta all’abitudine di chiamare lettore il leggente, quando dovremmo appunto chiamarlo leggente. Ambiguità molto simili sorgono dall’abitudine di chiamare scrittore lo scriba, ma questa è un’altra storia e non è di competenza di chi legge, ma di chi scrive.

Giunto a questo punto, lettore, dovrei chiamarti leggente, ma tutto sommato mi sembra opportuno perseverare nell’ambiguità. L’ambiguità è feconda e ricca di stimoli di discussione, mentre la chiarezza tende stoltamente a troncare le obiezioni. Ora ti starai chiedendo, lettore, perché mai io abbia sentito il bisogno di scrivere queste chiacchiere tortuose e inconcludenti, con quali intenzioni, a qual fine. Non saprei rispondere, lettore, anche perché credo che, se sei arrivato fin qui, la responsabilità, le intenzioni e i fini di queste chiacchiere sono tuoi, non miei.

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16 Responses to “Letture ambigue”

  1. Effe says:

    non solo: dico anche che il suo testo non esiste affato, se non in quanto lo leggo io (io leggente).
    Sono io che do senso a quell’insieme nebuloso di di linee, a quei pensieri che si fanno segno.
    Io.
    IO.
    IO sono IO.
    IO esiste.
    (mi scusi, a volte mi lascio trasportare)

  2. letturalenta says:

    Effe, sono assolutamente d’accordo, anche se c’è il rovescio della medaglia: se chi legge crea il testo, allora è lui il principale responsabile della qualità dei testi in circolazione. E, mi creda, per i leggenti sarà più facile essere incolpati di aver creato libri orrendi che non vedersi riconosciuto il merito di aver creato capolavori. (E in entrambi i casi, ohibò, non percepiranno i diritti d’autore).

  3. melpunk says:

    esiste il testo. che è indiscutibile. vero è che il testo senza lettore è lettera morta. non vive. è testo “a metà”. quindi necessita di un lettore. la questione cafiero pasquale è sacrosanta, terrbilmente sacrosanta. un saluto, letauralenta
    mel

  4. letturalenta says:

    Ti dirò, mel, io sono convinto che non solo il testo senza lettore è lettera morta, ma che il lettore senza testo è lettera morta, quindi non posso che concordare sul fatto che il testo è indiscutibile: no testo, no party.

    Ciò che mi piacerebbe fosse messo in discussione più spesso è l’autore, che invece è ormai un feticcio. E questo non tanto per riportare in auge teorie letterarie che andavano per la maggiore quarant’anni fa, quanto per evocare a mo’ di sciamano lo spirito della lettura, che oggidì, quando si parla di libri, pare quasi un optional.

    In giro ci sono molti bravi lettori, gente che sa far parlare i libri come si deve, ma non se li fuma nessuno, mentre spopolano venditori di saponette che dividono i libri in “facili” e “difficili”. Col rischio che, a forza di voler creare “nuovi Proust” fasulli per aumentare le vendite, venga meno la capacità di individuare e valorizzare talenti autentici, che pure non mancano.

    Quindi mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato la questione Cafiero Pasquale, che è proprio quella questione lì. Chiedo venia per il pippone, ma a quest’ora non ciò un tubo da fare, e ne approfitto.

  5. “Il significato – croce e delizia di ogni appassionato di letteratura, scrittore o lettore che sia – non è un attributo del testo, ma del lettore letto dal testo.”

    Questa frase è straordinaria e innovativa, però mi pare che strida con quest’altra:

    “Non esiste frase al mondo capace di dire qualcosa che il lettore non voglia dire o non voglia sentirsi dire: i testi dicono quel che vuol dire il lettore, se il lettore ha qualcosa da dire, altrimenti tacciono”, che è un po’ meno originale.

    O sbaglio?

    Bart

  6. letturalenta says:

    Bart, sull’originalità non mi esprimo, anche perché sono un fiero sostenitore dell’impossibilità di dire qualcosa di nuovo (ma anche della necessità di ripetere incessantemente cose già dette).

    Quanto allo stridìo, a me sembra che le due frasi esprimano lo stesso concetto, ma va da sé che l’opinione di chi scrive vale meno di quella di chi legge :-)

  7. Nella prima, che considero davvero strepitosa, mi pare di capire che il testo assuma una sua propria personalità, staccata dall’autore, e tale da inserirsi addirittura nel cervello di chi legge, per condizionarlo. E’ il testo quindi che agisce per farsi leggere. Sono incline a credere che nella realtà avvenga proprio così, e tu lo hai saputo esprimere molto bene, e con poche parole.

    Nella seconda è il lettore che agisce e s’appropria del testo, che resta dunque in balia del lettore. Le proprie sensibilità, quelle del lettore ossia, condizionano il testo, che si strasforma dunque in una specie di specchio, di riflesso.

    Ripeto: a me piace pensare alla verità della prima ipotesi, che fa del libro un’opera viva.
    Ma confesso che i tuoi sottili ragionamenti stanno agendo su di me proprio come hai previsto nella prima ipotesi e mi trovo nella fase delle “piccole e grandi epifanie; domande che si pongono per la prima volta; certezze che vacillano; voci e campanelli mai sentiti prima; conoscenti dimenticati che appaiono quasi in carne e ossa; sconosciuti che salutano amichevolmente per primi; vertigini da vetta e da abisso.” :-)

    Bart

  8. ingombrante says:

    tanto per aumentare le ambiguità oserei differenziare tra lettore e ri-flettore, ovvero chi legge per riconoscimento ed eventuale divagazione del proprio pensiero-sapere e chi legge per trovare canali di ulteriori pensieri aldilà del proprio per ampliare e conmoltiplicare …. in questo il riflettore cercherà un testo che non solo lo gratifichi nella similitudine ma lo sorprenda nella diversità.

  9. letturalenta says:

    Bart, sei la prova provata che chi legge vede meglio di chi scrive. Quel che volevo dire (e che naturalmente non ha alcuna importanza) è che il testo-lettore non può leggere cose che nel leggente non sono “scritte”, magari con lettere di un alfabeto sconosciuto e in caratteri piccolissimi, ma comunque presenti.

    E ingombrante puntualmente mi smentisce! O no?

  10. daldivano says:

    eh, responsabilità che piovono da ogni dove… una lettura una responsabilità, una lettura e un’altra responsabilità. necessita un’operazione di smaltimento onde evitare un accumulo troppo sostanzioso ( che poi si somatizza! ) ;-)

    daldivano

  11. zop says:

    mi ricorda alcune riflessioni di calvino… :) semprebelloqua!

  12. melpunk says:

    letturalenta:
    figurati, con il nick che mi porto sulle spalle (punk) il tuo discorso per me è cosa certa. parto da lì, insomma per andare a comprare le uova da tirare in faccia!!! e non intendo fare populismo, come mi sembra anche tu, nell’evocare pasquale cafiero. viva le uova in faccia, viva lo zabaione!!!
    melpunk

  13. letturalenta says:

    daldivano, apposta ogni tanto pubblico gli sragionamenti del prof. letturalenta: la sua idea guida – abolire completamente la lettura – risolverebbe in un colpo solo tutti questi problemi!

    zop, addirittura Calvino! maddài, io sono molto meno serio di Calvino (e anche molto più bello, va detto :-))

    mel, quando vai a tiare le uova avvisa, che vengo a godermi lo spettacolo.

  14. gabryella says:

    se il lettore è letto dal testo, anche l’immagine dello scriba non può essere che il riflesso d’un mirror riflesso (infatti, calvino era bellissimo, ecco!)

  15. letturalenta says:

    Non ho mica detto che Calvino era brutto. Anche se, a ben guardare, sembra un po’ Clemente Mimun senza baffi…

  16. michele says:

    Un pò in ritardo ma pare che debba dire pure io qualcosa. Tutto vero sul leggente, sul ronzinante, sullo scrivante, che è scritto, già desiderato, sognato, direi bramato, e quindi pubblicato. Ma le librerie chiudono, e invece… Un libro vale a peso, a tomo, o a griff? Ci dovrebbe essere a parer mio la collezione inverno estate. Oppure la scomposizione di alcuni romanzi e così una compilescion di pagine forti. Oppure i quarantanove racconti più cinque, più venti sonetti raccolti da pinco pallino. Insomma dare più voce far leggere di più e meglio, naturalmente sotto il rigido controllo di una premiata giuria di noti e colti scrittori. Si fa già lo so, questo lo so, ma bisogna fare di più. michele

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