Tempo fa nel newsgroup it.cultura.libri allignava uno spirito raro, in tutti i sensi. Postava con diversi pseudonimi, come carlo andrea o severino cimitero, e ogni sua frase era un concentrato di splendida ironia e di alta cultura. Oggi maria strofa mi ha mandato due suoi sonetti.
Cioè, diciamola tutta: i sonetti sono di Shakespeare e il carlandrea si è limitato a tradurli, però dire si è limitato, visto il risultato, mi sembra limitativo. Ovunque tu sia, o severino (spero proprio non al cimitero), ti possa raggiungere il mio augurio di buona vita.
I
Belle creature danno al mondo i figli
sì che quel fiore di bellezza duri:
quando saran gualciti i loro gigli,
ne fioriranno ancora eredi puri.
Tu no, non curi al tuo sguardo di brace
nutri la fiamma di propria sostanza
oscuri ogni chiarezza, togli pace,
fai carestia là dov’era abbondanza.
La tua bellezza fulgida, l’orgoglio
che primavera annuncia e porta gaio,
fiorisce e muore in un solo germoglio
paga il suo dolce pegno a te, usuraio.
Sii generosa al mondo, o ridi forte:
bevi alla stessa coppa vita, e morte.
II
Quaranta inverni al tuo bell’incarnato
in guerra di trincea daran l’assedio
sarà il tuo manto, fiero ed invidiato,
lacera veste, senza più rimedio.
Ti chiederanno dov’è lo splendore,
dove il tesoro dei giorni migliori:
togli lo sguardo, spento d’ogni ardore,
non far che la vergogna ti divori.
Sii prodiga di te, rendi la pura
bellezza del sembiante ad un erede:
sarà il tuo pegno, pagherà l’usura,
questa salvezza un figlio ti concede.
Rinasci in lui, sconfiggi il tuo declino:
scalda il tuo sangue al sangue di un bambino.