“E se, ora che Eluana è morta e nessuna urgenza incombe sui lavori parlamentari, potessero tutti pensar meglio al significato delle parole, forse si potrebbe provare davvero a scrivere una legge più umana, figlia non della cultura della vita o della cultura della morte, ma, più semplicemente, della cultura”. [Massimo Adinolfi su Left Wing. Articolo da leggere per intero.]
E a proposito di cultura democratica traggo dallo stesso blog un altro pensiero su cui meditare. Questo: “Con lo stesso argomento, disponendo di una maggioranza, si potrebbe fare una legge che obblighi a maggioranza Luigi Amicone a girare per strada con una mutanda a fiorellini rossi”.
Da meditare sotto due aspetti. Il primo di tipo meramente linguistico, giusto per tenere a mente che democrazia e dittatura della maggioranza non sono sinonimi. Dovrebbe essere ovvio per chiunque ma evidentemente non lo è, e non solo per Luigi Amicone.
L’altro aspetto è di tipo pratico, e a mio avviso ogni legislatore dovrebbe stamparselo in fronte a rovescio, in modo da ricordarselo ogni volta che sta davanti a uno specchio: quando si legifera sulla sfera privata, e in particolare sulla vita delle persone, la prudenza che si usa per altre materie va moltiplicata per cento. Una legge sulla fine della vita non può permettersi il lusso di essere una cattiva legge. Mai come in questa materia deve essere garantita l’eguaglianza di tutti davanti alla legge.
E l’unico modo per dare questa garanzia, mi pare, è considerare inviolabile la volontà del singolo individuo. Una legge che obbligasse una persona a nutrirsi contro la sua volontà non sarebbe una buona legge, esattamente per le stesse ragioni per cui non lo sarebbe una legge che obbligasse una persona a spararsi se colpita da una malattia incurabile. In uno stato di diritto il modo di vivere e il modo di morire non possono essere stabiliti per legge, proprio come gli indumenti da indossare quando si gira per strada.