L’8 maggio 2006 Dario Franceschini rispose al commento di un lettore del suo romanzo Nelle vene quell’acqua d’argento con queste precise parole:
«Non c’è neanche un punto e virgola. Per scelta. Non ho mai capito quella via di mezzo che non lascia la pausa giusta e mi pare anche esteticamente non bello da vedere sulla pagina».
Orpo!
Va be’ che — in perfetto stile democristiano — s’affrettò ad aggiungere «Ma chissà. Forse invecchiando mi riconcilierò anche con loro», però questa idiosincrasia interpuntoria mi ha sorpreso per diverse ragioni.
Salta agli occhi in primo luogo il contrasto fra la rilassatezza grammaticale della frase sopra citata e il rigore etico dell’enunciato. Per esempio, “quella via di mezzo” riceve poco dopo l’attributo “non bello”, alla faccia della concordanza di genere; poi l’autore dichiara una probabile futura riconciliazione con “loro”, mandando allegramente a ramengo anche quella di numero. Beninteso, non ho alcuna intenzione di cruscheggiare, è solo che non riesco a conciliare il programmatico annientamento del povero punto e virgola con un periodare così disinvolto.
Il secondo motivo di sorpresa nasce da un altro contrasto, quello fra il centrismo politico dell’uomo e il suo estremismo ortografico. Sarò all’antica, ma che un democristiano di lungo corso dichiari guerra alle vie di mezzo mi lascia basito, e mi chiedo: non è che dietro la maschera di uomo politico mite e moderato il Franceschini mi nasconde uno spirito ribelle, pugnace, insurrezionalista? Non dico che la cosa mi dispiacerebbe, sia chiaro, specialmente in un politico che si candida a guidare il primo partito di opposizione, e tuttavia resto spiazzato.
Mi ha sorpreso infine proprio l’oggetto del contendere, il punto e virgola, che mi sembra avviato da anni a una spontanea e irreversibile estinzione. Prendere posizione contro il punto e virgola è un po’ l’equivalente ortografico di una campagna contro il panda o la foca monaca, soggetti per cui sarebbe molto più sensata un’azione di salvaguardia.
E qui la questione diventa immediatamente politica: scegliere bene gli obbiettivi e i mezzi per raggiungerli mi sembra una dote indispensabile per un politico che si candida al governo del paese. Poniamo per assurdo che Franceschini diventi segretario del PD, che il PD vinca le prossime elezioni politiche e che Franceschini diventi presidente del consiglio. Non è che invece di risolvere i problemi italiani — mafie, evasione fiscale, corruzione, debito pubblico, ecc. — il Dario mi piazza in cima all’agenda, che so, il rilancio turistico del Polesine o la derattizzazione di palazzo Chigi?
Chi vivrà vedrà. Nel frattempo suggerirei a Franceschini di leggere il dattiloscritto originale di Terra matta, la straordinaria autobiografia di Vincenzo Rabito. In quelle mille sudatissime pagine troverà il significato ultimo del punto e virgola e tutta la sua struggente bellezza;