In quel tempo giunse sull’isola uno scrittore simbolista, e se un lettore distratto mi domandasse il nome dell’isola o quello dello scrittore, lo rimanderei senz’altro a tutto quanto le parole isola e scrittore possono significare in ogni senso, specialmente quando si trovano accostate nel medesimo testo, separate soltanto dalla cortina sottile dell’aggettivo uno, sorgente ancestrale d’ogni possibile simbologia, poiché mi sembra naturale, per non dire ovvio, che questo apologo sia intriso di simboliche evocazioni, data la natura del protagonista.
S’aggirava lo scrittore per l’isola, e pareva inquieto, e nel suo vagabondare disdegnava i sentieri che si spingevano all’interno, prediligendo piuttosto il periplo della costa. Viveva colà un vecchio pescatore ormai inabile a prendere il mare e avvezzo a spendere le sue giornate su un pontile ancor più in disarmo di lui, riparando reti così strappate da aver perso ormai da anni la speranza di essere calate in acqua. Non avendo in realtà molto da fare, se non attendere con pazienza il tramonto, costui osservava incuriosito quello straniero che ogni mattina — un buffo panama giallo in testa e un taccuino nero in mano — usciva poco dopo l’alba dalla casetta che aveva presa in affitto e si incamminava con passo svelto e nervoso lungo la costa a est del pontile, per poi ricomparire a ovest verso sera e rinchiudersi infine nella sua dimora fino al mattino successivo.
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