Il fatto è un’astrazione, diceva Antonio Pizzuto, con ciò intendendo che la realtà non è un oggetto definito e dotato di confini, proporzioni, relazioni precise con altri oggetti, bensì un flusso continuo in cui nulla accade entro contorni esatti, ma dove, al contrario, tutto scorre e trascorre senza interruzioni o cesure. E proseguiva sostenendo che i fatti si raccontano, mentre la realtà si narra, dove narrare significa avvicinare il più possibile la scrittura all’inafferrabile flusso vitale, mentre raccontare significa compilare documenti statici e freddi. (Il tutto qui molto riassunto, ma l’originale è disponibile in A.Pizzuto, Le lezioni del maestro, Scheiwiller 1991, pagg. 37 e seguenti).
Per ottenere un fatto occorre ingabbiare un periodo lungo a piacere di quel flusso indefinito entro due date, anche coincidenti, due momenti arbitrari che segnano un inizio e una fine, e che definiscono al contempo ciò che precede e ciò che segue. La marchesa uscì alle cinque è un fatto (e quindi, pizzutianamente, un racconto). Per quanto possa sembrare paradossale, per rappresentare un fatto occorre fare violenza alla realtà, violentare la sua essenziale continuità facendola letteralmente a pezzi. La rappresentazione di un fatto è quanto di meno realistico si possa immaginare, e tuttavia il fatto è il nume tutelare di qualsivoglia realismo: atteniamoci ai fatti; fatti, non parole; la gente vuole i fatti; sono tutti slogan di chi si dichiara realista in politica.
(more…)