Francesco Cossiga è morto.
Durante il suo mandato al ministero dell’interno morirono due giovani: Francesco Lorusso a Bologna, l’11 marzo 1977, e Giorgiana Masi a Roma, il 12 maggio 1977, entrambi abbattuti da tutori dell’ordine che spararono ad altezza d’uomo durante manifestazioni di piazza. In entrambi i casi Francesco Cossiga si rammaricò dell’accaduto, ma non si dimise. Trent’anni dopo dichiarò di essere fra i pochi a conoscere il nome dell’assassino di Giorgiana Masi: lo conosceva anche allora, ma non fece nulla per incriminarlo. E non si dimise da ministro dell’interno, nel 1977.
Si dimise invece nel 1978, dopo l’uccisione di Aldo Moro da parte delle brigate rosse. Dichiarò di sentirsi responsabile di quella morte e di esserne rimasto tanto turbato che i capelli gli si imbiancarono di colpo e gli venne pure la vitiligine. Tanto turbato da rassegnare le sue irrevocabili dimissioni da ministro dell’interno, salvo ovviamente accettare la presidenza del consiglio l’anno successivo.
Per il resto dei suoi giorni ha detto e fatto tutto e il suo contrario, guardandosi bene dall’esibire le basi documentali delle sue congetture e dal dichiarare apertamente le motivazioni delle sue scelte, tattica indispensabile per celare innanzitutto a sé stesso il baratro della sua incoerenza. Servitore della nazione, ma anche sostenitore di movimenti autonomisti; cattolico, ma anche ammiratore della massoneria; uomo d’ordine, ma anche allergico alle regole; docente di diritto costituzionale, ma anche picconatore di istituzioni: Veltroni, al confronto, è un duro decisionista.
Nel 2008 suggerì al governo di affrontare le manifestazioni studentesche con i metodi che erano stati suoi trent’anni prima: infiltrazione di agenti provocatori per suscitare moti di piazza da reprimere poi a manganellate, e pazienza se ci scappava il morto. A volte diceva la verità, ma sempre come nota a margine di altri discorsi, e sempre con almeno trent’anni di ritardo.
Pur di restare nel solco del suo pendolarismo intellettuale anche post mortem, Francesco Cossiga ha fatto recapitare quattro lettere alle più alte cariche dello stato, in cui ha scritto di sentirsi onorato di aver servito lo stato, ma anche di non volerlo ai suoi funerali. Anche in questo caso, ci mancherebbe, le motivazioni non sono pervenute. Non mi stupirei se fra le disposizioni testamentarie ci fosse una lettera da aprire fra trent’anni, in cui Cossiga ci informerà che un usciere di palazzo Madama e un ex-senatore del partito d’Azione sapevano perfettamente perché non li ha voluti, i funerali di stato.
Riposi in pace, se può.