(Piazza Maggiore, Bologna, 4 marzo 2012: cinquantamila persone di orientamento sessuale sconosciuto salutano per l’ultima volta Lucio Dalla, nel giorno del suo sessantanovesimo compleanno).
Visti da fuori i bolognesi son gente allegra, vociante, compagnona e festaiola, sempre pronti alla chiacchiera, alla pacca sulla spalla e al convivio. Il rovescio della medaglia di questa laica socievolezza è un riserbo religioso applicato all’intimità e alla vita privata. Manifestare in pubblico i propri sentimenti va contro il codice etnico del felsineo popolo. Proprio non si può. Lucio Dalla anche in questo era bolognesissimo, e lo è stato coerentemente fino alla fine.
Spiace che un uomo di certa e salda moralità come Aldo Busi, strenuo difensore dei diritti civili degli omosessuali e dei cittadini tutti, abbia scambiato la riservatezza per viltà. Lucio Dalla non ha mai annunciato con le fanfare il suo orientamento sessuale, ma mai se ne è vergognato o l’ha rinnegato, né in arte né in vita, e basterebbe ascoltare canzoni come balla ballerino o l’anno che verrà per capirlo. Purtroppo Aldo Busi spegne la radio appena sente una canzone di Lucio Dalla, quindi non può capire.
So però che, se ne avrà voglia, capirà benissimo cosa è successo domenica al funerale di Lucio Dalla: si è visto un prete consolare dall’altare non la vedova, ma il vedovo di un uomo, riconoscendolo e indicandolo all’assemblea come vedovo. Se perfino santa romana chiesa, che quanto a omofobia non teme rivali, deve cedere all’amore quando è così visibile, riconoscibile, disvelato, non c’è ragione per dubitare che prima o poi cederà anche Aldo Busi.