Con il nuovo governo è arrivato il Ministero per la Famiglia e le Disabilità, che è l’inveramento governativo di un vecchio articolo di Giorgio Manganelli, uno che con la famiglia aveva un rapporto tutt’altro che idilliaco. La “famiglia che, per vivere, ti fornisce di laurea e di una certa quantità di demenza”, come scriveva in un altro articolo, era per lui una fucina di terrori e di delitti, quindi una fonte preziosa per la letteratura, che di delitti e di terrori si alimenta.
Sia chiaro, non ce l’ho col neo ministro Fontana: non mi sembra un bandito né un genio, quindi non credo che potrà fare molti danni. Mi interessa soltanto l’accostamento linguistico e culturale tra famiglia e disabilità che il nuovo ministero sancisce, un accostamento non privo di realismo: che tutte le famiglie siano un po’ disabili, ognuna a suo modo e misura, lo si sapeva da un pezzo.
Un paio di generazioni fa, Orwell, a proposito del matrimonio, scrisse: «Quando si trova un coniuge ammazzato, la prima persona inquisita è l’altro coniuge: questo la dice lunga su quel che la gente pensa del matrimonio».
I tempi corrono, ed oggi la situazione è più complessa. Tra gli inquisiti non c’è più solo l’altro coniuge, ma i figli. È bene accertare se fra costoro qualcuno sappia usare armi da fuoco, mazze ferrate, o abbia una modesta competenza in fatto di veleni. Se muore un bambinello in circostanze sospette, sarà bene vedere se reca tracce di ecchimosi, se era denutrito o genericamente detestato. Non invento nulla, e poi non ho neanche fantasia; l’handicappato ammazzato a bastonate in una famiglia numerosa non l’ho fabbricato io, e neppure i giornali. Coloro che hanno commesso il delitto non erano delinquenti; vivevano una misera vita, e sarebbero stati onesti, non avessero avuto famiglia.
[G.Manganelli, da un articolo su il «Corriere della Sera Illustrato», 2 agosto 1980, ora in Mammifero italiano, Adelphi 2007, pag. 47-48]