(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)
Non è più tempo di indugi, mio caro e soccorrevole compagno di strada. Le vele sono riparate, per quanto possibile, e il fasciame mi sembra adeguatamente calafatato. Per quanto sia piacevole stare qui, in questo riparo accogliente e riposante, non posso sottrarmi più oltre al mio destino di racconto errabondo e onnivoro. Mi attende un viaggio del quale ignoro tutto: potrà essere brevissimo o eterno, placido o avventuroso, dominato dalla bonaccia o dall’uragano, destinato a un approdo sicuro o alla discesa definitiva negli abissi. Sarà comunque un viaggio e sarà il mio viaggio.
Vorrei trovare parole adatte per congedarmi, ma confesso che le partenze mi mettono a disagio e mi consegnano a una penosa afasia. Se io fossi un racconto meticoloso e saggio, previdente e consapevole dei suoi doveri, impiegherei queste ultime righe ad allacciare i fili pendenti, a trarre qualche debole conclusione, a sciogliere gli ultimi nodi del mio intreccio, a rivelare le intenzioni ultime e la vera personalità dei miei personaggi, a depositare nel regesto letterario la morale della favola.
Ma tu mi conosci bene, ormai, e sai che da me non puoi aspettarti un discorso compiuto, ordinato, assertivo, prescrittivo, ma solo l’amalgama di segni e lemmi che univocamente e ineluttabilmente mi connota. Io sono le mie parole, le mie frasi, i miei accapo, i miei spazi bianchi, i miei margini e i miei segni di interpunzione. Altro non potrei essere e altro non potrei dire, se non quello che tu dici mentre ti leggo. Spero che il mio editore, se mai ce n’è stato uno, abbia rispettato le mie indicazioni, e mi abbia stampato con la metà destra delle pagine bianca, a tua disposizione. Se non l’ha fatto gli auguro di fallire sommerso dai debiti.
Devo andare, sì, lo so, eppure è così bello restare. Potrei raccontarti la mia famosa novella del mendicante che si chiamava Natale, ma non c’è più tempo, no, non c’è più tempo. Natale, si chiamava, e ha salvato la vita a una fanciulla, come nelle fiabe. Chissà quante cose importanti ho dimenticato… ma a che serve pensarci adesso, quando l’àncora è ormai staccata dal fondo, e la brezza di terra comincia a gonfiare le vele.
Mi stanno aspettando, devo andare. Racconterò la tua storia ai racconti che incrocerò, e questi la ripeteranno ad altri ancora. Non una sola parola andrà perduta. Scrivimi una dedica sul margine di una pagina che ti ha commosso, o annoiato, o irritato. La leggerò al mio ritorno, se mai tornerò. Non dimenticare: non fidarti dei falsi maestri, non fidarti di chi non sa leggerti tutto intero. Ricorda! Solo i racconti possono dirti chi sei! Ah, ecco la bocca di porto, ecco laggiù il mare aperto! Addio! Non dar retta a quel pazzo furioso che pretende di avermi scritto. Tendi l’orecchio, allunga una mano: io sono lì, io sono le parole che sono in me, io sono la fola che narra la tua storia. Io sono un racconto! – Explicit.