Avviso: questo post, oltre a essere un pippone, è infarcito di frasi di Piergiorgio Odifreddi. Poi non dite che non lo sapevate.
Dopo due settimane di serena disconnessione, apprendo dall’Estinto che Piergiorgio Odifreddi, probabilmente a causa della canicola agostana, ha deciso di avventurarsi in campo letterario, introducendosi in un dibattito in corso fra Umberto Eco ed Eugenio Scalfari [1].
Un dibattito che, considerata l’età e la carriera dei due intellettuali, suggerirebbe a chiunque di tenersi prudentemente alla larga, allo stesso modo in cui ogni persona assennata che mai abbia giocato in una squadra di serie A si terrebbe alla larga da una discussione calcistica in corso, che so, fra Gigi Riva e Sandro Mazzola. Ma Odifreddi no, lui non è abbastanza prudente e si lancia a corpo morto, diciamo così, nella mischia. Vediamo come:
Se mi permetto, da scienziato, di intromettermi nel dibattito come “terzo fra cotanto senno”, è solo perché mi sembra che sia Eco che Scalfari, da umanisti, tendano a sottovalutare l’effetto deleterio che dosi massicce di finzioni finiscono per avere sul principio di realtà.
Ora, non so voi, ma io mi aspetto che quando qualcuno si inserisce in una discussione lo faccia partendo da qualche enunciato degli interlocutori, per sostenerlo, modificarlo, integrarlo o magari demolirlo con argomenti appropriati. Odifreddi no. Lui parte dal presupposto che gli interlocutori abbiano peccato contro qualcosa, nel caso particolare contro la corretta valutazione del rapporto fra dosaggio finzionale e principio di realtà. Lo fa “da scienziato”, dice lui, ma non c’è traccia di metodo scientifico nel suo modo di procedere.
Proviamo comunque a prendere per buona l’obiezione e a vedere come si esplicita secondo Odifreddi questo effetto deleterio delle finzioni sul principio di realtà:
Proviamo a ripercorrere brevemente le tappe della formazione della psicosi universale, creata dal pervasivo e invasivo mercato dell’illusione. Non appena i bambini acquistano l’uso della parola, e incominciano a fare domande su come sono nati, vengono loro fornite risposte idiote che vanno dai cavoli alle cicogne.
Quand’essi approdano all’asilo, incominciano a ricevere i rudimenti di una visione magica del mondo popolata di angeli e demoni, miracoli e castighi divini, roveti ardenti e nubi parlanti, ciechi guariti e morti risorti, che continuerà a essere contrabbandata nell’ora di religione di tutte le scuole.
Non è dato sapere cosa sia la psicosi universale di cui parla Odifreddi, il quale forse, essendosi dichiarato genericamente “scienziato”, crede di poter usare termini medici senza definirli. Dice però che questa psicosi è creata dal “pervasivo e invasivo mercato dell’illusione”, dunque il lettore potrebbe ipotizzare che abbia qualcosa a che vedere con i meccanismi dell’industria culturale, cioè con il campo dell’economia o della sociologia, ma resta spiazzato quando l’autore tira in ballo cavoli e cicogne — che rimandano all’agraria e alla zoologia — per poi passare alla pedagogia infantile e alla religione. A parte questo gran polpettone disciplinare, non si capisce cosa c’entri tutto questo con la finzione letteraria, cioè con uno degli argomenti di cui l’articolo, stante il titolo, avrebbe dovuto trattare. Ma non disperiamo:
In quelle stesse scuole, verranno anche sistematicamente impartiti insegnamenti letterari e filosofici dello stesso genere, dagli dèi omerici dell’Iliade e l’Odissea, alla schizofrenica voce del daimon socratico, ai regni dell’aldilà della Commedia dantesca, ai deliri idealisti di Hegel e Croce, al motto nietzschiano che “non ci sono fatti, solo interpretazioni”.
Parallelamente all’indottrinamento scolastico, il trinitario mercato letterario, cinematografico e televisivo sommerge il pubblico di storie irreali o magiche, dalle saghe del Signore degli Anelli e di Harry Potter a quelle delle Guerre Stellari o del Robert Langdon di Dan Brown. Per non parlare delle fiction televisive, sacre e profane, che intasano il piccolo schermo.
Pur continuando a ingrossare il polpettone con un pizzico di filosofia, un po’ di massmediologia e finanche uno zinzino di psichiatria, finalmente Odifreddi, superata la metà dell’articolo, infila nel mucchio qualche opera letteraria, dai poemi omerici alle più recenti saghe britanniche, ma lo fa, ahimè, senza mantenere nemmeno la parvenza di un aggancio agli articoli di Eco e Scalfari.
Eco si era limitato a mostrare come il confine tra verità e invenzione nelle opere letterarie sia spesso frainteso, portando l’esempio di un lettore ignaro della fondamentale distinzione fra opinioni dei personaggi e opinioni dell’autore. Scalfari aveva aggiunto che, ferma restando la distinzione fra realtà e finzione, molte opere letterarie in passato hanno avuto effetti diretti sulla realtà, contribuendo a definire epoche e passaggi storici. Eco aveva a sua volta replicato che sì, anche questo è vero, ma che restando «alla dimensione “aletica” (che cioè ha a che fare con quella nozione di verità condivisa dai logici, dagli scienziati o dai giudici)» l’incapacità di distinguere vero da verosimile, realtà da finzione, può essere socialmente pericolosa.
E che ti fa Odifreddi? Se la prende con gli dei omerici e con l’aldilà dantesco, come se prendesse per buona, e quindi pericolosa, l’invenzione letteraria, confermando per colmo di ironia l’ipotesi di Eco, cioè che esistono lettori «talmente preoccupati a prendere sul serio la storia che non si chiedono se sia raccontata bene o male; non cercano di trarne insegnamenti; non si identificano affatto nei personaggi. Semplicemente manifestano quello che definirei un deficit finzionale, sono incapaci di “sospendere la credulità” [2].
Odifreddi è talmente convinto che quel che si legge nei romanzi è vero da ipotizzare un’iniezione diretta della finzione letteraria nella realtà, arrivando a immaginare «una società che non vive della e nella realtà, appunto, ma è immersa nella finzione generalizzata». «C’è forse da stupirsi» si chiede retoricamente «se, ormai assuefatta alle storie dei cantastorie, quella società finisca poi col diventare facile preda dei contastorie, politici o religiosi che siano?». Per rispondere positivamente a questa domanda bisogna presupporre un nesso causa-effetto fra finzione letteraria e mentalità popolare, come se davvero l’Iliade potesse indirizzare automaticamente i lettori al paganesimo o la Divina Commedia al cristianesimo. Un nesso siffatto se l’era inventato (appunto) Cervantes nel Don Chisciotte: la classica “roba da matti”, insomma.
Tralascio la conclusione dell’articolo di Odifreddi, che è poco più che una pezza, limitandomi a notare che in un articolo che si intitola Menzogne letterarie e verità scientifiche, le prime sono state trattate di striscio e a sproposito, mentre delle seconde non c’è la minima traccia. Chiudo a mia volta brutalmente, ma per distinguermi dallo scienziato non lo farò assertivamente ma interrogativamente: l’uomo è andato sulla luna perché gli scienziati della Nasa hanno congegnato un modo efficace per andarci o perché Jules Verne cent’anni prima si era inventato una balla?
——
[1] La replica di Eco si può leggere qui.
[2] Così nel testo, ma poco prima Eco parlava propriamente di sospensione dell’incredulità, e così credo che vada letto anche in questo passo.