Un illustre antenato del copyleft

June 6th, 2010

Poggio Bracciolini, tratto da en.wikipedia.org/wiki/File:Gianfrancesco_Poggio_Bracciolini.JPGInvito pertanto costoro a rimaneggiare queste stesse facezie in uno stile elegante e levigato, di modo che la lingua latina, nella nostra età, si arricchisca anche con argomenti leggeri. La loro riscrittura gioverà senz’altro alla grande arte del narrare. [Poggio Bracciolini, Introduzione dell’autore al Liber facetiarum, traduzione di Monica Garbarini, La Spiga 1995, pag. 3-4]

Praticamente una licenza Creative Commons Noncommercial Share Alike.

Poggio Bracciolini (1380-1459) fece fior di palanche copiando antichi codici e traducendo dal greco al latino. Si narra che, quando non riusciva a procurarsi i manoscritti con le buone, non esitava a ricorrere a mazzette, frodi e inganni vari. Un tipo decisamente simpatico. Nell’abbazia di San Gallo scoprì (e naturalmente copiò) l’Institutio Oratoria di Quintiliano. Infatti Paolo Giovio — squisito boccalone rinascimentale — scrive di lui negli Elogi degli uomini illustri: “A Poggio dobbiamo la scoperta di Quintiliano nella bottega di un salumiere”. Pagherei per conoscere il nome del troll cinquecentesco che rifilò al Giovio una bufala così appetitosa.

Umorismo inglese

June 4th, 2010

Battutona:
For reasons I have never understood, article one of the Italian constitution reads: “Italy is a republic founded on work”. [Alexander Chancellor sul «Guardian», 4 giugno 2010]

Traduzione:
Stabilire che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla. [Renato Brunetta intervistato da «Libero», 2 gennaio 2010]

(Non sempre, neh, non sempre, ma spesso i giornalisti inglesi che affrontano argomenti italiani rassomigliano in modo inquietante a Renato Brunetta quando affronta argomenti italiani).

68,75%

May 27th, 2010

L’8 aprile 2010, cioè venti giorni prima delle elezioni amministrative, il buon Tremonti, smentendo sdegnato l’ipotesi di una manovra correttiva nel corso del 2010, ammetteva di essersi impegnato in sede europea ad attuare una correzione dei conti per il 2011 pari allo 0,5% del PIL.

Il 26 maggio 2010, nel corso della conferenza stampa di presentazione della manovra finanziaria 2011-2012, Tremonti ha affermato che l’Italia già nel dicembre 2009 si era impegnata in sede europea ad attuare una manovra correttiva pari allo 0,8% del PIL nel 2011, più un altro 0,8% nel 2012.

Quindi, si badi bene:
a) prima delle elezioni Tremonti bofonchia che l’Europa gli ha chiesto uno 0,5% del PIL solo per il 2011.
b) dopo le elezioni Tremonti dice bel bello che l’Europa gli chiese lo 0,8% del PIL nel 2011 più lo 0,8% nel 2012.

Con un PIL di circa 1500 miliardi di euro, una differenza dello 0,3% è pari a quattro miliardi e mezzo di euro. Questo per il 2011. Si aggiunga poi lo 0,8% del 2012 che il buon Tremonti aveva completamente taciuto prima delle elezioni: 12 miliardini sani sani.

Risultato: prima delle elezioni Tremonti ha mentito agli italiani per un importo pari a sedici miliardi e mezzo di euro, soldi che gli italiani, come sempre, caveranno dalle proprie tasche. Sedici miliardi e mezzo di euro, ovvero il 68,75% della manovra di ventiquattro miliardi per il biennio.

Domanda: vale la pena dare fiducia a un governo che spara balle al 68,75%?

Come si fa a non comprarlo?

May 25th, 2010

Dice che c’è la crisi, che bisogna risparmiare, che non è tempo di darsi alla pazza gioia. Uno ci prova, tira la cinghia, fa esercizi di astinenza, arriva perfino a congratularsi con sé medesimo per l’insospettata forza di volontà con cui rinuncia allo scialo e ai bagordi, poi arriva l’editore perfido che ti pubblica un libro così:

Tratto da www.quodlibet.it

Album fotografico di Giorgio Manganelli, Racconto biografico di Lietta Manganelli, a cura di Ermanno Cavazzoni, Quodlibet 2010, 14 euro.

Come si fa a non comprarlo? Sappi, o perfido editore, che hai sulla coscienza il fallimento di un’ascesi penitenziale ormai prossima alla perfetta indifferenza ai piaceri del mondo.

Dato che il libro non ce l’ho ancora (ma l’avrò, oh se l’avrò, devo averlo!) rubo la citazione dal sito di Paolo Nori:

Tratto da http://ricciardalenzi.files.wordpress.com/2008/08/giorgio-manganelli.jpg

69. Foto diabolica di mio padre. A Bologna non ha preso l’insegnamento al Dams perché a Bologna si mangia male, diceva, è un posto di patate lesse e di riso in bianco. Era stato chiamato al Dams con i buoni auspici di Luciano Anceschi, a cui scrive, poverino: «grazie, ma non ce la faccio, non ce la faccio proprio, non posso, non chiedermi questo, si mangia troppo male». E gli scrive poi anche in un’altra lettera «e tu voglioso gourmet, ti stai ancora strafogando di patate lesse e di riso in bianco?». Come per dire: mangiati tu ’sta roba. [pag. 72-73]

Nichi Vendola e Antonio Socci come rappresentazione di Cip e Ciop

May 21st, 2010

Stasera ho visto un pezzetto di Anno Zero. Tra gli ospiti in studio c’erano Antonio Socci (dio ce ne liberi) e Nichi Vendola (possano i numi liberarlo da ogni tentazione vaticanista). Il tema della serata era lo scandalo degli abusi sessuali nella chiesa cattolica.

Antonio Socci, com’era ampiamente prevedibile, si è lanciato fin dal primo intervento in uno degli sport preferiti dai cattolici che fanno di tutto per segnalarsi come più papisti del papa: ha detto che, sì, è scandaloso che ci siano dei preti che fanno quelle cosacce, ma bisogna pur tener presente che ci sono migliaia di preti onesti e financo martiri per la fede, gente che non solo non abusa dei fanciulli, ma che dona la propria vita a maggior gloria dell’Eterno, eccetera. E bisogna pur considerare, ha continuato il Socci, che nel mondo c’è chi dei bambini fa mercato, chi li riduce in schiavitù, chi ne abusa in ogni modo senza vestire la tonaca. Insomma, la solita solfa autoassolutoria che si può riassumere in poche parole: è vero che i nostri sbagliano, però anche gli altri sbagliano. Roba che il defunto Bettino Craxi — quello che diceva che, sì, lui rubava e però rubavano pure gli altri — messo di fianco agli ipocriti tipo Socci fa la figura di un paladino dell’onestà e della giustizia.

Ma se da un Socci certe cose te le aspetti e le puoi liquidare con un serafico sì sì, certo certo, quando trovi gli stessi identici argomenti in bocca a un Nichi Vendola ti viene da pensare. Perché anche Vendola ha esordito dicendo che, per carità, quelle storie di preti pedofili sono sconcertanti, e tuttavia bisogna tenere presente che la pedofilia non è mica solo un problema della chiesa cattolica, ché di pedofili è pieno l’universo e non sono mica tutti cattolici, i pedofili. Sembrava di sentire il Socci, solo con la esse un po’ più pizzicata. Messi assieme, i due potevano sembrare una rappresentazione di Cip e Ciop, ma con una carica dialettica decisamente più smorzata.

Posso dire una cosa semplice, da uomo semplice, a tutti coloro che si ostinano a invocare altri mali a giustificazione e diminuizione delle gravissime colpe della chiesa cattolica, e in particolare della gerarchia vaticana, sulla questione degli abusi sessuali sui minori? Sì, posso dirla: avete rotto il cazzo.

E si badi bene che lo dico con voce piana e tranquilla, senza enfasi, senza un’ombra di acrimonia, senza alcun intento recriminatorio. Semplicemente, pianamente, serenamente: avete rotto il cazzo.

L’idea di usare i mali altrui come schermo per i propri è l’atteggiamento più ipocrita e vile si possa immaginare. Non esiste al mondo un solo malvagio, un solo schiavista di fanciulli, un solo mercante di organi infantili, un solo pappone di prostitute bambine che possa con la sua esistenza e le sue azioni diminuire di un grammo il peso delle colpe che pesano sui preti che hanno abusato dei piccoli loro affidati, né il peso delle colpe dei vescovi, cardinali, prefetti della congregazione per la fede e papi che non hanno agito tempestivamente contro quei preti criminali.

Qualora non fosse chiaro, facciamo la sintesi: quei preti, quei vescovi, quei cardinali, quei prefetti, quei papi non hanno scuse: sono ignobili delinquenti verso la società civile e vergogna vivente per il genere umano, e non esiste colpa altrui che possa diminuire le loro.

Quando avrete il coraggio di dichiarare senza mezzi termini questa semplicissima verità — cari Vendola, Socci e compagni — forse potrò fermarmi ad ascoltare cos’altro avete da dire sull’argomento. Fino ad allora continuerò placidamente a liquidarvi con quattro parole semplici semplici: avete rotto il cazzo.

Altre sedi diverse

May 19th, 2010

PostaOggi, uscito dal lavoro, mi sono avviato verso la macchina e lungo il breve tragitto ho notato che quasi tutte le auto parcheggiate avevano un volantino infilato sotto i tergicristalli. Ho sfilato quello piazzato sulla mia macchina e ho visto che era una pubblicità di mutui e prestiti di un gruppo bancario abbastanza noto, stampata a colori su carta patinata e con buona cura della grafica. Stavo per buttarla in un cassonetto poco distante, quando mi è caduto l’occhio su una frase scritta in fondo al foglietto. Questa (maiuscolo nell’originale):

IL RITROVAMENTO DI QUESTO VOLANTINO IN ALTRE SEDI DIVERSE DA QUELLE DELLE CASSETTE POSTALI È DA RITENERSI PURAMENTE CASUALE

Allora ho pensato: caro il mio studio pubblicitario o ufficio marketing o altra entità che hai partorito questa perla, permettimi due parole. Premesso che a) quel altre prima di sedi è ridondante, dato che sedi è seguito da un diverse del tutto analogo, e b) la sede di una cassetta postale può essere, per esempio, il muro in cui essa è murata o a cui è fissata, non certo la cassetta medesima, che sarebbe pertanto enumerabile fra le sedi diverse da te citate, vorrei farti una domanda in tutta calma e serenità:

MI SPIEGHI COME CAZZO SI FA A RITENERE CASUALE IL RITROVAMENTO DI UNO STUPIDO VOLANTINO SOTTO IL TERGICRISTALLO DI UN’AUTOMOBILE?

Credi forse che si chiami volantino perché vola di auto in auto e si posa casualmente sotto i tergicristalli?

Dopo averle cantate per bene all’ignoto produttore di volantini, mi sono sentito più rilassato e pronto a consegnare il capolavoro alle cure della nettezza urbana, quando incautamente ho girato il foglio, potendo così leggere quest’altra frase (maiuscolo nell’originale):

RISPETTA L’AMBIENTE, NON GETTARMI: SONO RICICLABILE!

Perché, razza d’un cercopiteco decerebrato, ho gridato al volantino inteso come simbolo del suo autore, secondo te come si fa a riciclare una cosa senza prima averla gettata?

Poi finalmente l’ho buttato, il volantino, non prima di essermi ben impresso in mente il nome e il logo del gruppo bancario ivi pubblicizzato, perché se mai qualcuno di quel gruppo bancario dovesse cercare di vendermi qualcosa, lo renderei riciclabile a forza di calci puramente casuali in altre sedi diverse, a tutto vantaggio dell’ambiente.

Forte aumento dell’omosessualità

May 17th, 2010

«L’Inghilterra rappresenta, in un certo senso, un caso a parte. La rapidità con la quale ha perso (il che significa che i maschi hanno perso) all’esterno la supremazia imperiale con le colonie, la leadership in Europa, il prestigio della sterline e dei commerci, mentre all’interno i «bianchi» stanno divenendo rapidamente minoranza, sopraffatti dalle numerose etnie di colore, ha spinto i maschi a una radicalizzazione del vissuto maschile che, forse, si esprime anche con il forte aumento dell’omosessualità». [Ida Magli su «il Giornale», 11 maggio 2010]

Dunque, vediamo se ho capito bene: secondo Ida Magli, la perdita dell’impero coloniale, il calo della sterlina e l’incremento di popolazione non bianca, hanno causato in Inghilterra un aumento dell’omosessualità.

Potrei chiedere a Ida Magli di svelare a noi profani l’intricata e complessa visione dei rapporti causa-effetto che sicuramente presiede l’enunciazione di questa sua ennesima idiozia, ma non ho tempo da perdere. Preferisco simulare la sua logica per costruire alcune proposizioni paragonabili alla sua quanto a utilità per il progresso della conoscenza:

— La rapidità con cui l’Euro perde terreno nei confronti di altre valute, mentre i bianchi stanno diminuendo, sopraffatti dai cultori dell’abbronzatura artificiale, ha portato a un forte aumento dei rapporti prematrimoniali.

— La rapidità di fluttuazione del prezzo dei carburanti, mentre i CD stanno scomparendo, sopraffatti dal download di file multimediali da Internet, ha portato a un forte calo del fatturato dei pornoshop.

— La rapidità con cui l’Inter ha aumentato il numero di scudetti vinti, mentre i rimedi della nonna stanno scomparendo, sopraffatti dai medicinali da banco, ha portato a un aumento pazzesco del prezzo dei latticini.

Dichiarazione spontanea

May 10th, 2010

Non vorrei sembrare scortese e sprezzante, ma ci tengo a informare l’universo mondo che di tutto quello che dice, pensa o fa Emilio Fede non me ne potrebbe fregare di meno.

Rogito, ergo bum

May 5th, 2010

Tratto da www.openpolis.it/politician/picture?content_id=714

(A margine, ricordo che il 25 febbraio scorso Claudio Scajola dichiarava: «Ogni iniziativa giudiziaria che vuole riportare la legalità è ben accolta ma non c’è dubbio che ogni iniziativa giudiziaria ha dei contraccolpi». Contraccolpi, diceva… quasi avesse un presentimento).

Primo maggio

May 1st, 2010

Personalmente preferirei una festa dell’ozio, ma pazienza. Auguri a tutti per la festa dei lavoratori, finché ci sono, i lavoratori.

Per celebrare degnamente la ricorrenza, prelevo due pensieri dalla rete, uno via Gianfranco Mammi:

Io penso che in questo mondo si lavori troppo, e che mali incalcolabili siano derivati dalla convinzione che il lavoro sia cosa santa e virtuosa. [Bertrand Russell, Elogio dell’ozio (Mondadori, 1987), pag. 9]

L’altro, in immagine, da senzaqualita:

quarto potere & quinto stato, tratto da senzaqualita.splinder.com

Tira di più il porno o Gesù?

April 27th, 2010

tratto da tratto da it.wikipedia.org/wiki/File:Umberto_Eco_01.jpgLeggo su Giornalettismo che Umberto Eco in un’intervista al quotidiano spagnolo «El Pais» si scandalizza perché in Internet il porno tira più di Gesù e di Padre Pio. Testuali parole:

El último artículo que he escrito dice: “Busquemos en Internet a Padre Pío”; reflejaba los 1.400.000 sitios en que aparecía este nombre. Busquemos a Jesús: 3.500.000. Busquemos porno: 130.000.000. Porno gana por 100 veces a Jesucristo.

Traduzione a capocchia:

L’ultimo articolo che ho scritto dice; “Cerchiamo in Internet Padre Pio”; [la ricerca] mostrava 1.400.000 siti in cui compariva questo nome. Cerchiamo Gesù: 3.500.000. Cerchiamo porno: 130.000.000. Porno vince su Gesù per cento a uno.

Il tutto all’interno di un discorso piatterello e cerchiobottista sui multiformi aspetti della grande rete, che secondo Eco — cito a caso — “in molti casi ha cambiato la nostra vita, la nostra capacità di documentarci, comunicare, ecc. E in alcuni casi si presta a diffondere notizie false” e altre amenità consimili.

Ora, io non pretendo che, ogni volta che l’Immenso parla, dalla sua bocca colino fiumi d’oro o svolazzino fumi d’incenso, e però, suvvia, che ne escano brandelli di chiacchera da bar mi sembra francamente eccessivo.

La prima e più ovvia osservazione che si può muovere a Eco è che per fare ricerche sensate in Internet occorre tener conto di come funziona lo strumento, per evitare di confrontare mele con pere. Nel caso di specie, se Eco avesse cercato Jesus anziché Gesù, con Google avrebbe trovato 194 milioni di siti, contro i 197 milioni che avrebbe scovato cercando porn anziché porno. L’ovvia differenza è che, mentre i termini porn (tendente all’uso universale) e porno (quasi idem) si trovano molto spesso affiancati negli appositi siti — e quindi cercando l’uno è molto probabile trovare anche l’altro — questo non succede per i termini Gesù e Jesus, essendo il primo esclusivamente italiano, l’altro quanto meno inglese e spagnolo, le due lingue europee più diffuse al mondo (mondo al quale, sia detto sommessamente e tra parentesi, appartiene anche Internet).

Conclusione: in Internet (più precisamente in Google) il porno batte Gesù per 197 a 194, un risultato ben lontano dal 100 a 1 millantato da Eco.

Seconda osservazione, di poco meno ovvia della prima: siamo sicuri che l’abbondanza di pornografia in rete è male, mentre quella di Gesù è bene? Lascio al lettore (e ovviamente a Eco) l’onere di rifletterci un po’ su.

Terza e ultima osservazione. Dice Eco: “non si sa mai se quello che si legge in Internet è vero o falso. Questo non succede con i giornali o con i libri. (…) Con Internet non si sa mai chi parla”.

Questo è un caso lampante di sindrome della fonte, che consiste nell’investire la fonte di un’affermazione del potere di predeterminarne la veridicità, con buona pace del senso critico. Una delle verità più incrollabili da tempi non sospetti è che tutte le fonti di notizie e di saperi sono parimenti inaffidabili fino a quando l’intelletto umano non si prende la briga di criticarle, ovvero di sottoporle ad attenta e spietata analisi. Lo si sa almeno dai tempi in cui Lorenzo Valla dimostrò che la Donazione di Costantino — fonte autorevolissima — era una bufala totale.

In assenza di senso critico non c’è fonte che tenga, quindi chiudo raccomandando a tutti i lettori di Umberto Eco — possano i numi conservarlo integro e glorioso nei secoli — di navigare in lungo e in largo su Internet, siti porno compresi, purché lo facciano sempre con gli occhi bene aperti e le orecchie ben protette dai canti delle sirene e dai sermoni dei sapienti.

Bella ciao

April 21st, 2010

Il sindaco leghista di Mogliano, provincia di Treviso, non vuole che la banda suoni Bella Ciao durante le celebrazioni del 25 aprile? E io non solo gliela copincollo da Wikipedia, ma da Youtube prendo pure una versione cantata dal coro dell’Armata Rossa, tiè.

Testo tratto da wikipedia.

Il seguente testo è quello più diffuso, con tra parentesi alcune varianti:

Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l’invasor.

O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.

E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.

E seppellire (Mi porterai) lassù in (sulla) montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire (Mi porterai) lassù in (sulla) montagna
sotto l’ombra di un bel fior.

E (Tutte) le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E (Tutte) le genti che passeranno
Mi diranno «Che bel fior!»

«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
«È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!»

Eyjafjallajökull

April 19th, 2010

tratto da en.wikipedia.org/wiki/EyjafjallajökullQuando i copisti medievali si imbattevano in una parola dalla grafia incomprensibile, la sostituivano con la nota convenzionale graecum est, non legitur — è greco, non si riesce a leggere. I nostri cronisti fanno la stessa cosa con l’Eyjafjallajökull, il vulcano islandese che con la sua eruzione ha stroncato il traffico aereo europeo negli ultimi giorni: è islandese, non si riesce a pronunciare.

Tant’è che qui da noi l’Eyjafjallajökull è entrato nelle cronache radiotelevisive come il vulcano islandese, che è un po’ come dire coso, lì, come si chiama.

Eppure basta una ricerchina di pochi secondi per individuare le parti che compongono l’esotico nome: “Eyja significa isola, fyalla o fyjoll significa montagna e jökull ghiacciaio”, dice Urdur Gunnarsdottir, funzionaria del ministero degli esteri islandese, aggiungendo che il nome completo indica il ghiacciaio, mentre il gruppo montuoso in cui si trova il vulcano si chiama Eyjafjalla, che si pronuncia grossomodo eiafiotl, che potrebbe non essere una pronuncia impeccabile, ma è senz’altro un passo avanti rispetto alla reticenza onomastica dei cronisti.

Che poi, mi chiedo, perché tanta reticenza? Forse è paura di sbagliare, di fare figuracce? Timore non infondato, certo: nell’articolo sopra citato si parla appunto di un’ondata di ilarità che ha colpito gli islandesi quando hanno iniziato a sentire come gli inviati delle emittenti anglofone storpiavano la pronuncia del perfido Eyjafjallajökull.

Paura di esporsi allo scherno islandese? Ma lascia che si spancino, dico io, che sarà mai? È gente che ultimamente ha i suoi bei problemi con la crisi economica, la disoccupazione e tutto il resto. Lascia che si divertano un po’ anche loro, no? Chiamalo eiafiallaiocull, il vulcano, e goditi il suono delle risate islandesi, e ridi assieme a loro, dài, che un po’ di allegria non ha mai ammazzato nessuno.

Invece niente, pare che il timore di fare brutte figure sia più forte del buon senso. Comunque, o pavidi cronisti audio e video, sappiate che, stando alle cronistorie vulcaniche islandesi, l’attività dell’Eyjafjallajökull è quasi sempre seguita da quella di un altro vulcano che si chiama Katla, che salvo imprevisti fonetici dell’idioma isolano dovrebbe pronunciarsi catla. Chissà se quella volta lì, quando si sveglierà il Katla, avremo l’onore di sentir pronunciare il suo nome alla radio e in televisione.

Gliel’avrà detto suo cugino

April 13th, 2010

Molti sociologi, molti psichiatri hanno dimostrato che non c’è relazione tra celibato e pedofilia – ha dichiarato il segretario di Stato – e invece molti altri hanno dimostrato, me lo hanno detto recentemente, che c’è una relazione tra omosessualità e pedofilia. [Card. Tarcisio Bertone]

“Me l’hanno detto recentemente”. Ho passato minuti interminabili a fissare quell’inciso. Non volevo crederci.

“Me l’hanno detto recentemente”. Al di là della consueta predilezione delle gerarchie vaticane per i peggiori pregiudizi sull’omosessualità, colpisce in questo caso il ricorso alla regina delle stronzate dialettiche, all’icona del pettegolezzo, alla quintessenza del chiacchiericcio: mi hanno detto… ho saputo… gira voce… Manca solo pissi pissi bao bao.

“Me l’hanno detto recentemente”. Gliel’avrà detto suo cugino, immagino.

L’etteratura è morta

April 13th, 2010

tratto da www.edarts.net/access/100cal.jpgL’etteratura è morta, dicono. C’è chi dice che è morta da almeno trent’anni, altri da trentacinque. I più pessimisti datano la morte dell’etteratura ai primi anni del ventesimo secolo. Pare infatti che a differenza di uomini, animali, piante e altri agglomerati di sostanze organiche senzienti e non, non esista ancora un metodo condiviso per stabilire l’esistenza in vita dell’etteratura, con il risultato che ognuno si può prendere la libertà di farla morire un po’ quando gli pare.

Tant’è che — sembra assurdo, lo so, ma è così — c’è perfino gente che sostiene che l’etteratura in realtà è viva e non se la passa neanche tanto male.

Le cause di queste difficoltà di accertamento e datazione del decesso non sono completamente note, né facilmente deducibili dal fenomeno in sé, e tuttavia non è irragionevole ipotizzare che fra esse ci sia la mancanza di un accordo fra gli operatori del settore circa l’assetto ontologico dell’etteratura. Fra le molte scuole di pensiero citeremo qui solo le principali.

La scuola empirica insegna che l’etteratura è l’insieme di ciò che è contenuto negl’ibri. Alle numerose richieste di un parere scientifico su cosa siano gl’ibri, i massimi esponenti della scuola empirica han sempre fatto orecchie da mercante.

La scuola soggettivista fa coincidere l’etteratura con l’atto dell’èggere. Secondo questa scuola l’ettore è il vero artefice del fenomeno etterario. Ai frequentatori più assidui dell’annosa questione non sfugge il subdolo sottinteso etimologico di questa posizione.

La scuola accademica afferma che l’etteratura è il museo delle opere storicamente accolte nel canone etterario da un’élite di ettori specialisti. Se richiesti di specificare i requisiti necessari per entrare a far parte di quella élite, i membri della scuola accademica generalmente fischiettano.

La scuola ideologica, infine, sostiene che l’etteratura è la rappresentazione simbolica dei miti e delle fobie di un popolo. Va da sé che se chiedete a un ideologico di definire popolo, egli vi rimanderà alla sociologia, all’antropologia, alla glottologia o a qualsivoglia altra materia in cui si sarà preventivamente dichiarato incompetente.

Essendo impossibile dare una risposta condivisa alla domanda cos’è l’etteratura?, gli esperti solitamente si accordano su proposizioni apodittiche del tipo l’etteratura c’è, spostando di fatto il discorso da un contesto razionale a uno fideistico e rimandando sine die una definizione articolata dell’ente. L’esistenza dell’etteratura, insomma, sembra essere una questione di fede, non di ragione e, date queste premesse, stabilire se l’etteratura è viva o morta è di fatto una disputa teologica.

Nessuna sorpresa, quindi, se l’ettore laico e diabolicamente materialista, quando qualche esponente di una o più delle succitate scuole gli viene a raccontare che l’etteratura è morta, risponda con l’inciviltà che lo contraddistingue e un bel chissenefrega non vogliamo mettercelo? e continui di poi a èggere, beffardo e imperterrito, incurante della costernazione del necroforo di turno.