Quel che disse John Locke sulla bocciatura del lodo Alfano e sulle conseguenti rosicate isteriche di tutto il circo Silvio

October 8th, 2009

Qui John Locke aveva manifestato la sua opinione su quel pateracchio incostituzionale noto sotto il nome improprio di Lodo Alfano.

John Locke, Secondo trattato sul governo, 1689.

163. (…) Il popolo non ha tolto al principe nulla che gli spettasse di diritto, ma ha solo dichiarato che quel potere che esso ha lasciato nelle sue mani, o nelle mani dei suoi antenati senza fissarne i limiti perché fosse esercitato per il loro bene, non era una cosa che si intendeva fosse usata in altro modo. Poiché il fine del governo è il bene della comunità, qualunque cambiamento sia introdotto in vista di quel fine non può essere un’usurpazione nei confronti di alcuno: nessuno infatti nel governo può avere un diritto che tenda ad altro fine. Sono usurpazioni solo quelle che pregiudicano o ostacolano il bene pubblico. Chi dice altrimenti parla come se il principe avesse un interesse distinto e separato dal bene della comunità, e non fosse istituito in vista di esso, il che è la fonte e la radice dalla quale sorgono quasi tutti i mali e i disordini che affliggono i governi monarchici. E, invero, se le cose stanno così, il popolo sotto il suo governo non è una società di creature razionali entrate in comunità per il loro reciproco bene: non sono uomini che hanno posto dei governanti sopra di sé per salvaguardare e promuovere il bene comune, ma devono essere considerati come un gregge di creature inferiori sotto il dominio di un padrone, che le tiene e le sfrutta per il proprio piacere e profitto. Se gli uomini fossero così privi di ragione e così bruti da entrare in società a tali condizioni, la prerogativa potrebbe essere ciò che alcuni uomini vorrebbero che fosse: un potere arbitrario di fare cose dannose per il popolo.

[Tratto da: Jonh Locke, Due trattati sul governo, a cura di Brunella Casalini, Pisa 2006]

Surrealismo burocratico

October 6th, 2009

una domanda del questionario ESTA, tratto da: https://esta.cbp.dhs.gov/esta/esta.htmlCome tutti sanno, ma forse anche no, per entrare negli Stati Uniti d’America bisogna compilare un questionario in cui si susseguono a ritmo incalzante domande del tipo «Ha mai fatto abuso di droghe o è mai stato tossicodipendente?», «Ha mai trattenuto o detenuto un minore, sottraendolo alla custodia di un cittadino statunitense al quale il bambino era stato affidato legalmente?», «È stato in passato, o è ora, coinvolto in attività di spionaggio o sabotaggio, o in azioni terroristiche?». A ciascuna domanda la mente e il corpo del malcapitato turista producono il seguente blocco simultaneo di pensiero e azione:

A) Rispondere meccanicamente NO, pur non cogliendo appieno il significato della questione;
B) Chiedersi con isterica ilarità chi è il genio che ha partorito un simile capolavoro di surrealismo burocratico;
C) Provare la netta sensazione che qualcuno lo stia trattando da perfetto idiota e
D) Domandarsi, non senza un intimo ghigno beffardo, cosa succederebbe a rispondere SÌ a una o più domande.

Quanto alla D), la propensione USA al grottesco amministrativo, peraltro candidamente pubblicato in rete, consente di formulare una cauta ipotesi.

Nel dipartimento del tesoro statunitense c’è un ufficio, l’OFAC, che secondo la breve presentazione del suo sito «amministra e attua le sanzioni economiche e commerciali basate su obbiettivi di politica internazionale e di sicurezza degli Stati Uniti contro specifici regimi e stati stranieri, terroristi, trafficanti internazionali di droga, persone coinvolte in attività collegate alla proliferazione di armi di distruzione di massa, e altre minacce alla sicurezza nazionale, alla politica estera o all’economia degli Stati Uniti».

Ecco, chissà, forse chi per disperazione o per divertimento risponde di essere un feroce terrorista o un fanatico delle sostanze psicotrope finisce negli elenchi dei sanzionati dell’OFAC, fra società cubane di import/export, organizzazioni diversamente umanitarie e privati cittadini, ma anche, per non farsi mancare proprio niente, in compagnia della «’NDRANGHETA ORGANIZATION, Italy» citata in questa lista, chissà perché senza indirizzo e codice fiscale, dati argutamemte omessi, suppongo, da quel boss distratto ma prudente che una volta, in vista di un viaggio d’affari a Chicago o a Los Angeles, a domanda rispose «SÌ, certo che sto cercando di entrare negli Stati Uniti per partecipare ad attività immorali o criminali», e aggiunse con malcelata irritazione «Perché, non si vede? E allora che me lo chiedi a fare?»

La marchesa uscì alle cinque

September 29th, 2009

John Everett Millais, The Marchioness of Huntly, 1870, tratto da: http://hoocher.com/John_Everett_Millais/John_Everett_Millais.htmIl fatto è un’astrazione, diceva Antonio Pizzuto, con ciò intendendo che la realtà non è un oggetto definito e dotato di confini, proporzioni, relazioni precise con altri oggetti, bensì un flusso continuo in cui nulla accade entro contorni esatti, ma dove, al contrario, tutto scorre e trascorre senza interruzioni o cesure. E proseguiva sostenendo che i fatti si raccontano, mentre la realtà si narra, dove narrare significa avvicinare il più possibile la scrittura all’inafferrabile flusso vitale, mentre raccontare significa compilare documenti statici e freddi. (Il tutto qui molto riassunto, ma l’originale è disponibile in A.Pizzuto, Le lezioni del maestro, Scheiwiller 1991, pagg. 37 e seguenti).

Per ottenere un fatto occorre ingabbiare un periodo lungo a piacere di quel flusso indefinito entro due date, anche coincidenti, due momenti arbitrari che segnano un inizio e una fine, e che definiscono al contempo ciò che precede e ciò che segue. La marchesa uscì alle cinque è un fatto (e quindi, pizzutianamente, un racconto). Per quanto possa sembrare paradossale, per rappresentare un fatto occorre fare violenza alla realtà, violentare la sua essenziale continuità facendola letteralmente a pezzi. La rappresentazione di un fatto è quanto di meno realistico si possa immaginare, e tuttavia il fatto è il nume tutelare di qualsivoglia realismo: atteniamoci ai fatti; fatti, non parole; la gente vuole i fatti; sono tutti slogan di chi si dichiara realista in politica.
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E l’antisemitismo fa male alla carriera

September 23rd, 2009

Farouk Hosni — quello che voleva bruciare i libri israeliani conservati nella biblioteca di Alessandria — è stato felicemente trombato:

PARIGI – Contestatissimo e accusato di antisemitismo, Faruk Hosni ha perso la corsa alla direzione dell’Unesco. Dopo cinque giorni di votazioni al cardiopalma è stato battuto sul filo di lana dalla bulgara Irina Bokova, diventata la candidata dei molti paesi che ritenevano inaccettabile l’elezione del ministro della Cultura egiziano.

(Due buone notizie in appena otto giorni. Che siano indizi di un’imminente svolta epocale? mah, boh, speriamo)

Il razzismo fa male alla salute

September 15th, 2009

Da «Il Mattino di Padova»: «Non voglio che i negri mi tocchino. Tutti a casa. Bossi ha ragione». Livio Strumendo, 56 anni, di Portogruaro, ha aggredito così un’infermiera di colore. È successo venerdì notte al Centro Ustioni, al quinto piano del policlinico.

Se fosse morto in seguito alla sua brillante iniziativa, costui sarebbe stato un candidato ideale al Darwin Award, ma purtroppo la stupidità talvolta perdona più di quanto dovrebbe. Tuttavia pare che il tizio, in segno di civile protesta contro il colore delle infermiere, si sia tolto le bende, quindi resta la speranza che possa peggiorare o quanto meno soffrire molto più di prima.

È questo l’aspetto consolante dell’episodio: mentre la dissennata xenofobia della Lega e del governo mette a rischio la vita altrui, in questo caso il razzismo fa male alla salute di chi lo pratica. C’è solo da augurarsi che succeda più spesso.

Campagna per l’edificazione spirituale del ministro Brunetta

September 14th, 2009

Disse: «un certo culturame parassitario, che ha vissuto sempre e solo di risorse pubbliche, e che è lo stesso che si vede in questi giorni alla Mostra di Venezia».

Strano tipo, il Brunetta, sempre a caccia di parassiti e di fannulloni. Brunetta è un adoratore del dio dell’efficienza, un sacerdote preposto a ungere col sacro olio di Stachanov gli ingranaggi del sistema. Nemico giurato del riposo, della distrazione, dell’ozio e della flânerie, egli sogna una società tutta votata alla produzione incessante di merci e servizi sotto lo sguardo benigno del Mercato (l’altra divinità a cui Brunetta offre sacrifici).

È inevitabile che in questa visione del mondo la cultura, ovvero la produzione e la circolazione delle idee e delle conoscenze, giochi il ruolo del parassita, del nemico interno che sottrae risorse al sistema distraendolo dalla sua missione di produttività, e dunque bando alle ciance: lo stato chiuda i rubinetti dei finanziamenti e il “culturame parassitario” vada a lavorare e a piazzare la sua merce come tutti. Sopravviverà chi vende, gli altri si fottano.

Lavoro e Mercato, ovvero il mondo come centro commerciale. Lavorare, produrre, vendere, comprare, mangiare, dormire, lavorare. Contro questa prospettiva di vita mortificante (e noiosa) che il bieco Brunetta vorrebbe rifilarci, lancio una modesta proposta rivoluzionaria: le giornate del fancazzismo.

Convocate con campagne in rete e nei social network, senza una pianificazione prestabilita, ma sempre in giorni feriali, le giornate del fancazzismo avrebbero un programma molto semplice: fare tutto quel che si vuole, tranne lavorare a pagamento, comprare e vendere. Si potranno leggere libri presi in prestito, guardare film scaricati dal mulo, dormire tutto il giorno, passeggiare a naso in su, comporre poemetti epici, praticare qualsiasi attività che non implichi scambio di denaro.

Al termine della giornata i partecipanti redigeranno un resoconto e lo invieranno per posta ordinaria al ministro Brunetta, a titolo di gratuito contributo alla sua edificazione spirituale. Non è detto che funzioni — anzi, dato il soggetto, le speranze di successo sono minime — ma sarebbe immorale non provarci.

Invettiva contro un incauto accenditor di lampadine

September 10th, 2009

panama gialloIncauto accenditor di lampadine: «Comincia a fare scuro. Accendo la luce».

Inveito interlocutore: «Tanto per cominciare, quando tu premi l’interruttore senti un clic. Quel clic, caro te, non è soltanto un rumoretto che interrompe lo stato di quiete perenne che domina il vuoto della tua testa immune al virus del pensiero. Quel clic sospende l’interruzione del circuito elettrico che governa l’accensione e lo spegnimento della lampadina: circuito aperto, lampadina spenta; circuito chiuso, lampadina accesa. Ponendo fine allo stato di interruzione del circuito, quel clic consente alla corrente elettrica di percorrere il tratto di filo che congiunge l’interruttore alla lampadina, la quale, miracolo!, da spenta che era diventa accesa.

Ma perché questo avvenga, testina, è necessario che la corrente raggiunga prima l’interruttore medesimo, e questo succede grazie a un altro tratto di filo che partendo dalla rete di distribuzione locale arriva in casa tua passando attraverso un foro praticato nel muro da qualcuno che, senza impegnarsi più di tanto, ragionava mille volte meglio di te. E quel filo non è mica appeso al nulla, nevvero. No!
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8 settembre 1943

September 8th, 2009

[dall’articolo Avere coraggio, di Leone Ginzburg, pubblicato su «L’Italia libera» il 15 settembre 1943. Leone Ginzburg morì il 5 febbraio 1944 per le torture subite dai nazisti nel carcere romano di Regina Coeli]

E così i tedeschi hanno potuto aggiungere il nome di Roma al lungo elenco di capitali europee dove hanno fatto il loro ingresso durante questa guerra. (…) Molte parole amare sono salite alle labbra, di quelle che il nostro popolo rivolge a se stesso senza parsimonia, quando ha qualche ragione di malcontento. Non diciamo che queste parole amare siano ingiustificate; ma è bene non fermarcisi troppo. «Non bisogna scoraggiarsi», dicevamo su questo nostro giornale, incitando alla resistenza; e lo ripetiamo oggi, a ragion veduta. Roma è senza dubbio l’ultima capitale europea dove i tedeschi siano entrati da padroni. La loro sorte è segnata. E la presa di Roma non è un successo militare, ma una piccola vincita che non riesce a restaurare le finanze di un giocatore dissestato.

(…) Il regime di transizione inaugurato il 25 luglio esce disfatto da questa esperienza. Il tentativo di conservare l’impalcatura fascista mutando solamente alcuni uomini e alcune formule si è rivelato a tutti per quel che era: un esempio di scandalosa e miope complicità morale, una prova insigne d’incapacità politica. La monarchia e il governo che hanno deliberatamente lasciato che la difesa della rinascente libertà italiana rimanesse affidata alla quinta colonna, cioè a comandanti e funzionari che tutti sapevano fascisti, sono apparsi agli italiani di ogni partito nella loro vera luce di manutengoli del fascismo e del nazismo. Oggi ci dànno finalmente ragione i moderati e i possibilisti di ieri, che predicavano la libertà a detrimento della giustizia. E forse qualcuno di loro avrà capito che tutto il passato ha da essere snidato e distrutto nelle nostre istituzioni politiche e sociali, e non soltanto l’aggettivo «fascista» sulle targhe e i frontoni dei palazzi, per far sì che l’Italia si ricongiunga di nuovo alla civiltà europea. Non sappiamo se al seguito del generale Eisenhower vedremo rientrare a Roma la dinastia spergiura e i marescialli che invece di combattere hanno seguitato a farsi la forca: certo, gli italiani che nutrono sensi di dignità e di onore non ammetteranno più che l’una o gli altri dispongano ancora dei destini della nazione o parlino in suo nome.

La presa di Roma condurrà dunque a una chiarificazione del problema istituzionale, che sarebbe stato difficile ottenere altrimenti. Ma le conseguenze dell’atto di forza tedesco contro le nostre città saranno non meno importanti su un piano generale. Si è creata, in questi primi giorni di occupazione tedesca, una profonda solidarietà tra italiani, dalla quale solo i delinquenti delle squadre d’azione e i traditori della quinta colonna si sono esclusi. (…) Dopo aver tanto parlato, durante il regime Badoglio, del modo come si dovevano trattare i fascisti e delle relative indispensabili discriminazioni, abbiamo finalmente dinanzi a noi un criterio di giudizio di sicura validità: coloro che sono con noi e contro i tedeschi in questo momento, vanno trattati da uomini, coloro che sono per i tedeschi e contro di noi, vanno invece spietatamente respinti da qualsiasi consorzio civile come adoratori delle violenze e profittatori della schiavitù.

***
Questo per ricordare che l’armistizio dell’8 settembre 1943 tracciò definitivamente la linea di demarcazione fra chi combatteva per una causa giusta e chi lo faceva per la dittatura nazifascista. E anche per ricordare all’onorevole Alessandra Mussolini — una tizia che vorrebbe cambiare nome a Piazzale Loreto — che prima di invocare la pacificazione e la concordia nazionale è necessario riconoscere senza mezzi termini che il fascismo non ha meriti né eroi degni di essere ricordati.

Un vaccino efficace

August 31st, 2009

Oggi sono in vena di profezie, quindi profetizzo a colpo sicuro che nei prossimi mesi si intensificherà di molto la pratica dello sport preferito degli italiani: il complottismo.

Sarà tutto un fiorire di “esperti” che spiegheranno (ahimè, credendoci) che l’influenza A H1N1 in realtà non esiste, che i vaccini fanno male e che è tutta una congiura ordita dalle case farmaceutiche, ovviamente in combutta con le potenti lobby giudaiche omosessuali e massoniche coordinate dalla CIA e dal Mossad con la partecipazione straordinaria dei rettiliani.

Ma non c’è motivo di preoccuparsi: la lettura lenta e continuativa di questo ottimo articolo sul blog L’orologiaio miope è indubbiamente un vaccino efficace contro la supprofetizzata pandemia di stupidità.

Ministri

August 21st, 2009

Non ho alcuna simpatia per il regime iraniano, sentimento, questo, che aumenta il senso di frustrazione nel constatare che la nostra classe dirigente prende punti anche da quella dell’Iran. Dice infatti Ali Larijani, presidente del parlamento, criticando i ministri scelti dal presidente Ahmadinejad:

Le personalità nominate dal presidente della Repubblica per gli incarichi governativi debbono possedere perizia ed esperienza sufficienti, altrimenti sarebbero sprecate troppe delle energie del Paese. Un dicastero non è posto dove fare apprendistato.

E mentre rileggo queste semplici verità, penso che in Italia il ministro dei beni culturali è Sandro Bondi, e che è ministro pure Roberto Calderoli…

Una buona lettura

August 20th, 2009

Agostino, un bel racconto di Luigi Weber (bello anche se evoca Moravia :-))

Uno due sei nove!

August 15th, 2009

Noi sbarbini bolognesi ascoltavamo gli Skiantos, trent’anni fa…

Congedo

August 7th, 2009

(dedicato a f.c.)

Vedi, amore mio, quanto sono occupato? Guarda quante carte ci sono su questo tavolo, quanti plichi sugli scaffali, quanti ninnoli tutto intorno, e matite scorciate, biglietti da visita sconosciuti, boccette di inchiostri polverizzati. E gli armadi? Se tu vedessi! Quanti abiti larghi, quante calze sfondate, quanti polsini lisi e colletti consunti! Ora capisci perché se mi chiami non rispondo? Capisci perché allontano la tua mano quando cerca i miei capelli?

Devi lasciarmi in pace, vita mia, perché ho troppe cose da buttare, troppe macerie da rimuovere e non ho tempo per farmi consolare. Ho un’ultima cosa da fare, e la voglio fare bene: lasciare tutto pulito, vuoto, in ordine, perché, vedi, ora che devo andarmene non potrei mai perdonarmi di aver lasciato un segno anche minimo del mio esserci stato. Sai quante lacrime scorrerebbero, se il destinatario di questa lettera mai spedita la leggesse? Sai quanto dolore assalirebbe chi mi ha amato, se si rigirasse tra le mani questo pupazzetto di gomma pensando a quanto gli ero affezionato?

E i libri? Hai idea di quanta tristezza potrebbero scatenare questi fastelli di carta inchiostrata? Via, via anche loro, fuori di qui! Mi hanno accompagnato per troppo tempo, sono troppo segnati dall’impronta delle mie mani e dei miei occhi, sono pericolosi per chi da domani dovrà iniziare a dimenticarmi.

Se potessi, tesoro mio adorato, racchiuderei le tue guance fra le mani, come facevo quando eri piccolo, e attirerei il tuo viso al mio fino a farci toccare le fronti e i nasi, e ti guarderei dritto negli occhi, che da così vicino diventano uno solo, e tu guarderesti dritto nel mio, e in quel momento pronuncerei la formula magica per cancellare da te ogni mia traccia. Lo farei, se potessi, per risparmiarti i tormenti del ricordo e della nostalgia.

È arrivato, figlio mio, è arrivato il giorno in cui bisogna che io mi faccia piccolo fino a sparire, perché tu possa diventare grande. Vorrei dirti le cose che si dicono in questi momenti, quelle frasi di circostanza fatte apposta per addolcire i distacchi, ma non sono abbastanza egoista per farlo. Lascia a me il dolore e la tristezza e prenditi la vita. Ama senza aspettare di essere amato e senza rimpiangere di esserlo stato.

Lo scrittore simbolista

July 21st, 2009

panama gialloIn quel tempo giunse sull’isola uno scrittore simbolista, e se un lettore distratto mi domandasse il nome dell’isola o quello dello scrittore, lo rimanderei senz’altro a tutto quanto le parole isola e scrittore possono significare in ogni senso, specialmente quando si trovano accostate nel medesimo testo, separate soltanto dalla cortina sottile dell’aggettivo uno, sorgente ancestrale d’ogni possibile simbologia, poiché mi sembra naturale, per non dire ovvio, che questo apologo sia intriso di simboliche evocazioni, data la natura del protagonista.

S’aggirava lo scrittore per l’isola, e pareva inquieto, e nel suo vagabondare disdegnava i sentieri che si spingevano all’interno, prediligendo piuttosto il periplo della costa. Viveva colà un vecchio pescatore ormai inabile a prendere il mare e avvezzo a spendere le sue giornate su un pontile ancor più in disarmo di lui, riparando reti così strappate da aver perso ormai da anni la speranza di essere calate in acqua. Non avendo in realtà molto da fare, se non attendere con pazienza il tramonto, costui osservava incuriosito quello straniero che ogni mattina — un buffo panama giallo in testa e un taccuino nero in mano — usciva poco dopo l’alba dalla casetta che aveva presa in affitto e si incamminava con passo svelto e nervoso lungo la costa a est del pontile, per poi ricomparire a ovest verso sera e rinchiudersi infine nella sua dimora fino al mattino successivo.
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Un uomo onesto, un uomo probo

July 5th, 2009