In una serie televisiva compare un numero di telefono scritto su un bigliettino. La serie televisiva si intitola Rosy Abate e ha come argomento la mafia – un genere che fa tanta audience, par di capire. Il numero di telefono ha un problema: è vero, cioè è il numero di cellulare di un trentottenne che vive a Domodossola. Il malcapitato riceve decine di telefonate per niente fittizie a quel numero.
Sembra una bufala, vero?
Sì, oppure la trovata di un genio, per così dire, del marketing. Però gli esperti di bufale affermano di aver fatto controlli e la classificano come notizia vera. Mi fido, e tutto sommato, ai fini di questo post, che la notizia sia vera o falsa è quasi irrilevante. Se non fosse vera, sarebbe almeno verosimile. C’è infatti almeno un caso celeberrimo in cui è successo qualcosa di simile: La guerra dei mondi di Orson Welles, uno sceneggiato radiofonico che nel 1938 scatenò una concretissima psicosi collettiva, frutto della confusione fra realtà e finzione.
Ad ogni modo, l’ignaro titolare del numero di telefono comparso in televisione ha ricevuto fino a notte inoltrata decine di telefonate di persone poco sensibili al carattere finzionale della serie TV. Questo è il racconto della moglie:
Abbiamo fatto fatica a capire cosa capitasse – racconta – Non abbiamo nemmeno visto quella fiction. Eravamo a cena al McDonald quando abbiamo iniziato a ricevere le telefonate. Ci hanno chiesto se fossimo parenti di Rosy Abate, qualcuno ci dà dei mafiosi e c’è chi ci ha perfino minacciato. Alcuni chiedevano se fossimo della produzione e li potessimo raccomandare. In molti chiamavano con numeri privati e poi, una volta risposto, mettevano giù la chiamata. Uno mi ha addirittura suggerito di rivolgermi alla produzione di Mediaset. Ma a farmi davvero paura è stato un uomo, a notte fonda, che mi ha detto: “Rosy Abate, non mi fai paura. Io ti ammazzo”.
Almeno qualche decina di persone ha scambiato la finzione per realtà, e si è attaccata al telefono convinta di contattare davvero Rosy Abate, o qualche suo parente, dimenticando che Rosy Abate è il personaggio di una fiction televisiva. È come se qualche lettore delle avventure di Sherlock Holmes nel 1887 avesse preso carta e penna per indirizzare al 221B di Baker Street, Londra, una lettera al detective. In quel caso, però, la lettera sarebbe tornata indietro, perché all’epoca il numero 221B di Baker Street non esisteva. Purtroppo per il signore di Domodossola gli sceneggiatori della serie TV sono stati meno accorti di sir Arthur Conan Doyle, ma non è questo il punto.
La notizia è che nel 2017 (non nel 1887 o nel 1938), dopo un secolo di comunicazione di massa a suon di radio, televisione e internet, è ancora possibile che qualcuno scambi per realtà una narrazione fittizia. All’ordinaria sospensione dell’incredulità si sostituisce il trionfo della credulità. E per una volta non si tratta delle ormai celebri fake news. Una notizia falsa per funzionare deve presentarsi come vera, mentre qui si tratta di un prodotto televisivo che già nel nome, fiction, si dichiara espressamente falso, inventato, fittizio. Un cartello segnaletico chiaro e inequivocabile, che però a quanto pare non è sufficiente.
Forse questa storia ha una morale, forse è l’indizio di pericolose derive culturali o psicologiche, ma preferisco fermarmi alla semplice contemplazione. Me ne sto fermo a bocca aperta a pensare: “ma davvero succedono cose così”? La cosa ha un effetto straniante, mi procura una piacevole sensazione di stupore fanciullesco, ed è l’ennesima conferma che la specie umana è una macchina narrativa straordinaria, non solo per le storie che sa inventare e scrivere, ma soprattutto per quello che fa tutti i giorni.