(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)
Storia di un signore emiliano che volò a cent’anni
I
Emilio era un signore di novantanove anni che abitava a Guastalla. Tutte le sere si addormentava ringraziando Dio di averlo tenuto al mondo per un giorno ancora, e il mattino dopo gli chiedeva se per caso quello che cominciava era l’ultimo. Dio non mi risponde mai, diceva Emilio, e lo considerava un buon auspicio.
Era un vecchio fortunato, perché abitava in casa con la figlia più piccola, una graziosa signora di sessantaquattro anni e vedova da quasi venti, maestra elementare in pensione, tre volte madre e nove volte nonna. Diamante si chiamava, la figlia, e taccio i nomi del resto della discendenza per non annoiarti, giacché quando si teneva il grande raduno di famiglia, a Natale, Diamante metteva a tavola quaranta persone disposte su quattro generazioni, da Emilio ai suoi due bisnipoti, Massimo e Francesco, entrambi di cinque anni. Siamo più gente noi di tutta Guastalla, diceva sempre Emilio quando se li vedeva tutti attorno la sera della vigilia, e quasi piangeva dalla contentezza.
Da quando erano arrivati i due piccoli, se li faceva portare vicino alla poltrona dopo il cenone, per raccontare la storia di Franz e Otto e Max e gli aereoplani di Brescia, che era poi una storia che raccontava quasi tutti i giorni da quando aveva sei anni, quindi la ricordava molto bene, anche adesso che la memoria, diceva, non è più quella di una volta. L’unica variante l’aveva introdotta il Natale prima, quando gli sembrò che finalmente i bambini capissero bene le parole, e allora aveva cambiato l’inizio, rivolgendosi direttamente a loro.
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