Come tutti sanno, ma forse anche no, per entrare negli Stati Uniti d’America bisogna compilare un questionario in cui si susseguono a ritmo incalzante domande del tipo «Ha mai fatto abuso di droghe o è mai stato tossicodipendente?», «Ha mai trattenuto o detenuto un minore, sottraendolo alla custodia di un cittadino statunitense al quale il bambino era stato affidato legalmente?», «È stato in passato, o è ora, coinvolto in attività di spionaggio o sabotaggio, o in azioni terroristiche?». A ciascuna domanda la mente e il corpo del malcapitato turista producono il seguente blocco simultaneo di pensiero e azione:
A) Rispondere meccanicamente NO, pur non cogliendo appieno il significato della questione;
B) Chiedersi con isterica ilarità chi è il genio che ha partorito un simile capolavoro di surrealismo burocratico;
C) Provare la netta sensazione che qualcuno lo stia trattando da perfetto idiota e
D) Domandarsi, non senza un intimo ghigno beffardo, cosa succederebbe a rispondere SÌ a una o più domande.
Quanto alla D), la propensione USA al grottesco amministrativo, peraltro candidamente pubblicato in rete, consente di formulare una cauta ipotesi.
Nel dipartimento del tesoro statunitense c’è un ufficio, l’OFAC, che secondo la breve presentazione del suo sito «amministra e attua le sanzioni economiche e commerciali basate su obbiettivi di politica internazionale e di sicurezza degli Stati Uniti contro specifici regimi e stati stranieri, terroristi, trafficanti internazionali di droga, persone coinvolte in attività collegate alla proliferazione di armi di distruzione di massa, e altre minacce alla sicurezza nazionale, alla politica estera o all’economia degli Stati Uniti».
Ecco, chissà, forse chi per disperazione o per divertimento risponde di essere un feroce terrorista o un fanatico delle sostanze psicotrope finisce negli elenchi dei sanzionati dell’OFAC, fra società cubane di import/export, organizzazioni diversamente umanitarie e privati cittadini, ma anche, per non farsi mancare proprio niente, in compagnia della «’NDRANGHETA ORGANIZATION, Italy» citata in questa lista, chissà perché senza indirizzo e codice fiscale, dati argutamemte omessi, suppongo, da quel boss distratto ma prudente che una volta, in vista di un viaggio d’affari a Chicago o a Los Angeles, a domanda rispose «SÌ, certo che sto cercando di entrare negli Stati Uniti per partecipare ad attività immorali o criminali», e aggiunse con malcelata irritazione «Perché, non si vede? E allora che me lo chiedi a fare?»