Non so perché, ma quando ho letto questo mi è venuto in mente quest’altro (formato pdf, 101 KB), un grazioso sermone di Giorgio Manganelli. Ne propongo qui un ampio stralcio, consigliandone naturalmente la lettura integrale mediante acquisto o prestito bibliotecario del libro sotto indicato o, in caso di indigenza o soverchia pigrizia, mediante clic del mouse sul secondo link del presente post.
Alcune ragioni per non firmare gli appelli.
[G.Manganelli, Lunario dell’orfano sannita, Einaudi 1973]
(…) Considerato come genere letterario, l’appello copre una angusta area di quello che fu il gran regno dell’oratoria. Cicerone lo collocherebbe tra i discorsi «ad animos permovendos», che vogliono dimestichezza con gli ascoltanti, devozione alle loro passioni, ai loro pregiudizi, ai capricci ed agli imperativi locali; ove occorra, vogliono lacrumas, sconvolgente chiome, supplosio pedis, lacerate tuniche a disvelar ferite; anche sventolio di orfani. Non proponendosi di ‘docere’, vale a dire fornire informazioni, ma solo ‘movere’, non ha doveri di veridicità, ma anzi di opportuna manipolazione. Mutolo persuasore, il testo dell’appello deve far supporre gesti impetuosi, tragici pallori, voce rotta o nobilmente asseverativa. Osserveremo che, nella geografia della decaduta oratoria, la repubblica degli appelli è contermine ad altra regione, un poco più monotona e sommaria, ma singolarmente consanguinea: intendo riferirmi al granducato degli epitaffi.