Archive for the ‘tempi moderni’ Category

Un passettino avanti

Wednesday, September 8th, 2010

Due anni fa il ministro La Russa diceva: «Farei un torto alla mia coscienza se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell’esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria».

Oggi ha detto: «L’opera di pacificazione, da almeno tre anni, sta facendo passi avanti, affinché sia sepolta ogni divisione ma non sia eliminato il ricordo di quel che avvenne».

Riconosco che un passettino avanti l’ha fatto, quindi, anche a costo di apparire eccessivamente fiducioso sulle sue qualità umane e razionali, gli indico volentieri il passo successivo: quando La Russa e gli ex-fascisti in genere avranno il coraggio di dichiarare a voce alta la verità storica — e cioè che i repubblichini e i fascisti in genere furono la rovina dell’Italia, rovina da cui gli italiani seppero risollevarsi grazie alla Resistenza — allora, forse, le divisioni ideologiche potranno iniziare ad attenuarsi.

Il percorso contrario — cioè auspicare la fine delle divisioni senza aver prima riconosciuto la verità storica — non può funzionare.

Purtroppo il giorno in cui La Russa e gli ex-fascisti in genere troveranno il coraggio di riconoscere la verità sembra ancora molto lontano, se a Bologna — città insignita della medaglia d’oro per la Resistenza — i rappresentanti del Pdl continuano a non vedere la differenza fra partigiani e repubblichini.

Modelli

Thursday, August 26th, 2010

Disse Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat:

In questi giorni c’è una contrapposizione fra due modelli: uno che difende il passato e l’altro che vuole andare avanti. […] Non siamo più negli anni Sessanta non c’è una lotta fra capitale e lavoro, fra padroni e operai. Se l’Italia non riesce ad abbandonare questo modello di pensiero non raggiungeremo mai niente.

Quale sia questo nuovo modello di pensiero, ce lo spiega per benino il ministro dell’economia Giulio Tremonti:

Dobbiamo rinunciare ad una quantità di regole inutili, siamo in un mondo dove tutto è vietato tranne quello che è concesso dallo Stato, dobbiamo cambiare […] Robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro, ndr) sono un lusso che non possiamo permetterci.

Coccodrillo

Wednesday, August 18th, 2010

Francesco Cossiga è morto.

Durante il suo mandato al ministero dell’interno morirono due giovani: Francesco Lorusso a Bologna, l’11 marzo 1977, e Giorgiana Masi a Roma, il 12 maggio 1977, entrambi abbattuti da tutori dell’ordine che spararono ad altezza d’uomo durante manifestazioni di piazza. In entrambi i casi Francesco Cossiga si rammaricò dell’accaduto, ma non si dimise. Trent’anni dopo dichiarò di essere fra i pochi a conoscere il nome dell’assassino di Giorgiana Masi: lo conosceva anche allora, ma non fece nulla per incriminarlo. E non si dimise da ministro dell’interno, nel 1977.

Si dimise invece nel 1978, dopo l’uccisione di Aldo Moro da parte delle brigate rosse. Dichiarò di sentirsi responsabile di quella morte e di esserne rimasto tanto turbato che i capelli gli si imbiancarono di colpo e gli venne pure la vitiligine. Tanto turbato da rassegnare le sue irrevocabili dimissioni da ministro dell’interno, salvo ovviamente accettare la presidenza del consiglio l’anno successivo.

Per il resto dei suoi giorni ha detto e fatto tutto e il suo contrario, guardandosi bene dall’esibire le basi documentali delle sue congetture e dal dichiarare apertamente le motivazioni delle sue scelte, tattica indispensabile per celare innanzitutto a sé stesso il baratro della sua incoerenza. Servitore della nazione, ma anche sostenitore di movimenti autonomisti; cattolico, ma anche ammiratore della massoneria; uomo d’ordine, ma anche allergico alle regole; docente di diritto costituzionale, ma anche picconatore di istituzioni: Veltroni, al confronto, è un duro decisionista.

Nel 2008 suggerì al governo di affrontare le manifestazioni studentesche con i metodi che erano stati suoi trent’anni prima: infiltrazione di agenti provocatori per suscitare moti di piazza da reprimere poi a manganellate, e pazienza se ci scappava il morto. A volte diceva la verità, ma sempre come nota a margine di altri discorsi, e sempre con almeno trent’anni di ritardo.

Pur di restare nel solco del suo pendolarismo intellettuale anche post mortem, Francesco Cossiga ha fatto recapitare quattro lettere alle più alte cariche dello stato, in cui ha scritto di sentirsi onorato di aver servito lo stato, ma anche di non volerlo ai suoi funerali. Anche in questo caso, ci mancherebbe, le motivazioni non sono pervenute. Non mi stupirei se fra le disposizioni testamentarie ci fosse una lettera da aprire fra trent’anni, in cui Cossiga ci informerà che un usciere di palazzo Madama e un ex-senatore del partito d’Azione sapevano perfettamente perché non li ha voluti, i funerali di stato.

Riposi in pace, se può.

Al v(u)oto

Tuesday, August 17th, 2010

Non sono sicuro che personaggi della levatura di un Cicchitto, di un La Russa o di un Gasparri siano in buoni rapporti con la logica, e tuttavia sento il dovere morale di dir loro una cosuccia così semplice da essere ovvia.

Se la maggioranza parlamentare decisa nel segreto dell’urna dal popolo sovrano si spacca da sola, si polverizza, si frantuma, si sbriciola, si tira, insomma, da sé medesima una formidabile mazzata in capo, non è molto sensato urlacchiare a destra e a manca che l’unica soluzione all’eventuale crisi di governo è tornare al voto perché altrimenti si tradisce la volontà degli elettori. La volontà degli elettori, o pidiellini belli, l’avete già tradita voi nel momento esatto in cui, per beghe tutte vostre, avete spaccato in due un partito che agli elettori si era presentato unito. Vedervi pestare i piedini e piagnucolare Napolitano-comunista-blutto-cativo-gnègnègnè è uno spettacolo molto imbarazzante. Un po’ di contegno, suvvia.

Poi non dite che nessuno ve l’aveva detto.

La risposta (ricostruita) di Gianfranco Fini

Friday, August 6th, 2010

Tre giorni fa, in apposita missiva, chiedevo all’on. Gianfranco Fini: “lei, onorevole Fini, approva le dichiarazioni di Enzo Raisi? Anche lei, onorevole Fini, ritiene che la commemorazione della strage di Bologna del 2 agosto 1980 sia — cito — «solo un’opportunità per una minoranza di poco conto per potersi esprimere con fischi e trombette»”? Nella lettera specificavo anche che la domanda era rivolta a Fini nella sua qualità di leader del nuovo gruppo parlamentare Futuro e Libertà, di cui Enzo Raisi fa parte.

Oggi è arrivata la cortese responsiva, da parte della segreteria presidenziale, in cui mi si informa — suppongo a mo’ di risposta alla mia domanda — che in occasione della commemorazione il presidente ha inviato un messaggio alle autorità cittadine e all’associazione dei familiari delle vittime in cui ha espresso, a nome di tutta la Camera dei deputati, vicinanza ideale e solidarietà ai familiari delle vittime e a tutti i partecipanti alla commemorazione. Seguono i saluti di rito.

(nota a margine: non riporto il testo esatto della risposta, per via di un divieto perentorio riportato in calce all’email che ho ricevuto: “Qualsiasi utilizzo, diffusione o riproduzione senza autorizzazione è proibita”).

Non avendo ricevuto risposte dirette alle mie domande, sono costretto a ricostruirle per interpretazione.

Mi sembra innanzitutto ragionevole arguire che con quel rimando a un suo messaggio ufficiale di vicinanza e solidarietà ai commemoranti, l’on. Fini abbia inteso dire che secondo lui la commemorazione della strage di Bologna è una manifestazione importante e degna di rispetto, degna financo di un messaggio ufficiale da parte della terza carica dello stato. Mi sembra anche lecito ipotizzare che l’on. Fini — noto per la sua onestà intellettuale e la sua coerenza — difficilmente avrebbe inviato un messaggio di solidarietà e vicinanza ideale se in cuor suo avesse pensato che la commemorazione della strage è solo un’opportunità per una minoranza di poco conto per potersi esprimere con fischi e trombette.

Dopo quanto arguito e ipotizzato, posso ricostruire con buona approssimazione la risposta che l’on. Gianfranco Fini mi avrebbe dato, qualora non avesse preferito, chissà perché, ciurlare nel manico: gentile signor Tassinari, non approvo le dichiarazioni di Enzo Raisi e non ritengo che la commemorazione della strage sia solo un’opportunità per una minoranza di poco conto per potersi esprimere con fischi e trombette.

Che fatica, però! A conclusione della simpatica vicenda, mi chiedo se apparirà mai sulla faccia della terra un politico capace di rispondere alle domande in modo diretto e pertinente.

Improvvisa illuminazione

Thursday, August 5th, 2010

Io mica lo sapevo che Marcello Pera è stato radicale. Sapere che Marcello Pera è stato radicale offre nuove possibilità cognitive, mostra angolini di senso che prima di ieri il debole lanternino del cercatore d’uomini che è in me non aveva illuminato. Non posso ancora vedere con chiarezza tutte le conseguenze della scoperta, ma sento che la mia definizione di genere umano sta per cambiare.

Due domande

Tuesday, August 3rd, 2010

Ieri sera ho inviato una lettera al presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini, utilizzando l’apposito servizio “Scrivi al Presidente” disponibile qui. La lettera è questa:

Onorevole Presidente Gianfranco Fini,
Oggi, trentesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna, ho letto in un articolo online del quotidiano bolognese «il Resto del Carlino» che «Secondo Enzo Raisi, deputato finiano, “la scelta del Governo di non inviare rappresentanti ufficiali è stata fatta con lo spirito di evitare polemiche”. “Visto quello che continua a succedere ogni anno, hanno capito che era solo un’opportunità per una minoranza di poco conto per potersi esprimere con fischi e trombette”». L’articolo è qui: http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/2010/07/31/364371-niente_ministri_sottosegretari.shtml.

Secondo recenti notizie di stampa, il deputato Enzo Raisi è fra i trentadue deputati che hanno aderito a “Futuro e Libertà”, il nuovo gruppo parlamentare da lei guidato. Proprio per il ruolo di leadership che lei svolge all’interno del gruppo parlamentare di cui fa parte il deputato Enzo Raisi, le rivolgo queste domande: lei, onorevole Fini, approva le dichiarazioni di Enzo Raisi? Anche lei, onorevole Fini, ritiene che la commemorazione della strage di Bologna del 2 agosto 1980 sia — cito — «solo un’opportunità per una minoranza di poco conto per potersi esprimere con fischi e trombette»?

Grazie per l’attenzione.

Luca Tassinari
Cittadino italiano e bolognese

Trent’anni

Monday, August 2nd, 2010

Tratto da duevite.splinder.com/archive/2008-08?from=12

Il bramito del cervo rosso in amore e le scuole di scrittura

Wednesday, July 28th, 2010

Cervo rosso, tratto da www.flickr.com/photos/jellybeanzgallery/3953194119/Qualche giorno fa, commentando un post su vibrisse, ho ricordato un episodio buffo che risale a una trentina di anni fa. Durante l’abituale sessione di fancazzismo pomeridiano (bei tempi), captai l’inizio di un documentario televisivo, uno di quei documentari che si fanno ancora oggi, più o meno con lo stesso format di allora, sulla vita degli animali selvaggi in ambienti selvaggi, una sorta di fiction naturalista più vicina ai romanzi di Jack London che ai trattati di etologia, ma presentata al pubblico come serissima divulgazione scientifica.

Il documentario si apriva con un suono che l’orecchio collocava esattamente a metà strada fra la voce di Barry White e le sirene degli allarmi antiaerei, e che il cervello riconduceva con fatica a un’origine animalesca solo grazie al suggerimento visivo offerto dall’inquadratura in campo lungo di una foresta nordica innevata e brumosa. Dopo alcune ripetizioni del verso, la voce fuori campo del commentatore diceva: “Avrete certamente riconosciuto il bramito del cervo rosso in amore”. La telecamera del ricordo si sposta su un me stesso torto dalle risate.
(more…)

Wasting time

Tuesday, July 20th, 2010

Linnio Accorroni sulla lentezza in generale e sulla lettura lenta in particolare.
Paolo Nori sul perdere tempo.
E Otis Redding come ovvia colonna sonora.

Noterelle sulla stupidità

Tuesday, July 20th, 2010

La stupidità non è un handicap, tratto da www.grouchyoldcripple.com/archives/crip4.gifSono il primo a sostenere che — dati i tempi, le emergenze planetarie, la crisi e tutto quanto — ci sarebbero modi assai più proficui di spendere tempo e neuroni, ma ritengo altresì che non di sole questioni epocali si nutra il pensiero umano, ma anche — e più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere — di quisquilie e bazzecole.

L’inizio del terzo millennio
Come molti forse ricorderanno, l’avvento dell’anno 2000 innescò una diatriba infinita fra due opposte fazioni: chi sosteneva che l’inizio del ventunesimo secolo era da porsi al primo gennaio del 2001 e chi invece datava l’epocale giro di calendario al primo gennaio del 2000. A farmi tornare la memoria di quella gigantesca prova dialettica ci ha pensato il libro Il potere della stupidità di Giancarlo Livraghi che ho reperito in Google Books grazie a una segnalazione del Doktor Faustus di un mesetto fa.

Livraghi porta la diatriba calendaristica come esempio di stupidità, in palese contraddizione — e spiegherò presto perché — con quanto egli stesso sostiene a pagina 12:

Non è sensato definire l’intelligenza come solo razionale — ed è altrettanto sbagliato considerare stupido tutto ciò che non sembra razionalmente spiegabile.

A pagina 14 il medesimo Livraghi così presenta quella che lui stesso poco oltre definisce “la scemenza del millennio”:

Poche cose erano così facilmente prevedibili come il fatto che il ventesimo secolo (e perciò il secondo millennio) sarebbe finito a 0 ore, 0 minuti e 0 secondi del primo gennaio 2001. (…) Persone tutt’altro che sciocche o ignoranti erano convinte che secolo e millenio finissero alla mezzanotte del 31 dicembre 1999. Faticavano ad adattarsi all’evidenza dell’aritmetica.

Da un punto di vista puramente razionale è evidente che per fare due millenni servono duemila anni compiuti e, tenendo presente che la numerazione degli anni nel nostro calendario inizia da 1 e non da 0, è facile concludere che il secondo millennio terminò in effetti alla mezzanotte del 31 dicembre 2000. E però, per fare onore alla sua giusta affermazione di pagina 12, prima di parlare di “scemenza del millennio” l’autore avrebbe dovuto esaminare con più cautela gli aspetti non razionali della questione.

Le ragioni irrazionali (mi si perdoni l’ossimoro) che portano a datare il passaggio del millennio al 2000 sono evidenti almeno quanto le ragioni razionali (mi si perdoni la tautologia) portate a sostegno dell’altra ipotesi. È evidente, cioè, che il passaggio della numerazione degli anni dalla radice 19 alla radice 20 ha un impatto diciamo emozionale (quindi irrazionale) su chiunque, per non parlare del fatto altrettanto evidente che quei tre zeri in fila della cifra 2000 evocano con discreta potenza l’idea stessa del millennio.

Sostenere che l’anno 2000 ha segnato l’avvento di un nuovo millennio è evidentemente stupido da un punto di vista logico e razionale, mentre è altrettanto evidentemente non stupido da un punto di vista emotivo e irrazionale. Questo in perfetto accordo con il Livraghi di pagina 12. È chiaro che sostenere l’ipotesi 2000 con argomenti di tipo aritmentico — come per esempio l’esistenza di un fantomatico anno zero — sarebbe effettivamente stupido, ma non più di quanto lo sarebbe sostenere l’ipotesi 2001 con argomenti di tipo emotivo o evocativo (tant’è vero che il primo gennaio 2000 è stato preceduto da festeggiamenti, gadget, fosche profezie di fine dei tempi e opinionisti logorroici in tutto il pianeta, mentre il primo gennaio 2001 non se l’è filato praticamente nessuno).

Stupidità o stupidaggini?
La stupidità non è dunque un criterio descrittivo affidabile della specie umana e degli individui che la compongono, a meno di non ridurre arbitrariamente l’essere umano alla sola razionalità. Livraghi stesso, peraltro, sostiene altrove nel suo libro che non esistono persone stupide, ma solo comportamenti stupidi. Sono d’accordo, e quindi sostengo che la stupidità è una categoria essenzialmente pratica, cioè buona per valutare l’utilità e la vantaggiosità di determinate azioni: non esiste la stupidità, esistono le stupidaggini. Potremmo al limite definire la stupidità di una persona come percentuale di stupidaggini sul totale delle sue azioni.

Applicando la seconda legge di Cipolla — «la probabilità che una persona sia stupida è indipendente da ogni altra caratteristica di quella persona» — dovrebbe essere chiaro che la furbizia o l’intelligenza non escludono la stupidità. Una persona molto intelligente può fare tante stupidaggini quante ne fa una poco intelligente. Infine, seguendo in linea di principio la terza legge di Cipolla, possiamo definire la stupidaggine come un’azione che danneggia una o più persone senza dare alcun vantaggio a chi la compie.

Misurare vantaggi e danni di un’azione, però, è una questione molto complessa, perché è intuitivo che ciò che danneggia una o più persone può avvantaggiarne altre. A titolo di esercizio, proviamo a stabilire se l’azione del difensore descritta qui sotto è una stupidaggine:

A dieci secondi dalla fine della partita, un difensore della squadra in vantaggio per 1 a 0 entra a gamba tesa su un attaccante avversario lanciato a rete, a portiere battuto. L’arbitro assegna il rigore alla squadra dell’attaccante ed espelle il difensore. Il calcio di rigore termina sul fondo e l’arbitro fischia la fine della partita.

Se riferiamo danni e vantaggi alle sole due persone coinvolte — il difensore e l’attaccante — otteniamo che:
1. L’azione del difensore danneggia l’attaccante, privandolo della possibilità di segnare.
2. Il difensore non trae un vantaggio personale dalla sua azione. Anzi, ne ricava il danno dell’espulsione.

Fermandoci qui potremmo ragionevolmente concludere che il difensore ha fatto una stupidaggine. Cosa succede, però, se allarghiamo la valutazione di danni e vantaggi alle due squadre?
1. La squadra dell’attaccante è danneggiata per non aver potuto segnare il gol del pareggio.
2. La squadra del difensore è danneggiata dall’espulsione del medesimo, ma avvantaggiata dal fatto di aver vinto la partita.

Siamo ancora sicuri che il difensore abbia fatto una stupidaggine? Probabilmente no, e se estendessimo l’esercizio a questioni più complesse di una partita di calcio, come per esempio gli equilibri di forza mondiali o anche solo la scelta del mestiere da fare da grandi, la capacità di individuare a colpo sicuro le stupidaggini calerebbe vistosamente.

Conclusioni provvisorie
In realtà ci sono altri problemi che complicano la corretta individuazione delle stupidaggini. Non tutti i danni o i vantaggi derivanti da un’azione, per esempio, sono contemporanei all’azione stessa, e prevederli tutti accuratamente è molto difficile. Ne deriva che ciò che oggi sembra una figata, tra qualche anno potrebbe essere considerata una stupidaggine (questo, tra parentesi, è uno dei motivi per cui gli esseri umani spesso agiscono considerando i vantaggi che riescono a intravvedere nell’immediato, ma trascurando i danni di medio e lungo periodo).

Si potrebbe estendere la ricerca della stupidità al campo delle idee e delle opinioni (o anche delle domande, le famose domande sceme), ma magari lo faccio un’altra volta. Per ora mi basta ribadire che la stupidità non è una categoria utile per descrivere una qualità della nostra specie, mentre può essere un discreto indicatore quantitativo della propensione di una persona a danneggiare il prossimo o la collettività.

Fin dall’inizio del suo saggio Giancarlo Livraghi si dichiara sorpreso dalla scarsità di studi sistematici sulla stupidità umana. Azzardo una congettura: gli esseri umani, che sono assai meno stupidi di come siamo tentati di dipingerli, hanno intuito fin dagli albori della storia del pensiero che uno studio sistematico della stupidità potrebbe essere a tutti gli effetti una stupidaggine.

Stampa e querele

Wednesday, July 7th, 2010

Fatti

Leggo sul blog del mio amico Bartolomeo Di Monaco che il giornale online «il legno storto» rischia di chiudere per via di tre distinte azioni legali avviate nei suoi confronti a partire da altrettanti articoli apparsi sulla testata:

1. Un articolo del 28 gennaio 2010 firmato dallo stesso Bartolomeo Di Monaco ha portato all’apertura di un fascicolo per presunte minacce contro Luigi Palamara, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.
2. Un articolo del 21 giugno 2009 firmato da Vittorio Zingales ha provocato la citazione per danni da diffamazione da parte del magistrato Pier Camillo Davigo, con una richiesta di risarcimento di 100.000 euro.
3. Un articolo del 27 ottobre 2009 firmato da Sergio Bagnoli è alla base di una querela per diffamazione da parte del sindaco di Montalto di Castro Salvatore Carai.

Nel titolo del post Bart si chiede dove sia la sinistra che difende la libertà di stampa e nel testo specifica: “se si tenta di far chiudere un giornale di sinistra allora si parla di bavaglio, se invece si tenta di far chiudere un giornale che non è di sinistra, allora tutto è ok”. Bart invita poi i suoi lettori a diffondere una lettera che la redazione del Legno Storto ha pubblicato sulla questione.

Be’, ho pensato, io voto a sinistra da trent’anni e la libertà di stampa mi piace assai. Aggiungi che Bart lo conosco da quasi dieci anni, vuoi che non gli risponda? Certo che gli rispondo, e purtroppo non sarò breve.

Precisazioni

La prima precisazione è che «il legno storto» non è un blog amatoriale, bensì, leggo qui, una “Testata Giornalistica registrata presso il Tribunale di Milano, al n° 831 del 31 ottobre 2005”, quindi soggetta alla legislazione sulla pubblicazione di notizie e opinioni a mezzo stampa, esattamente come Repubblica o il Corriere della Sera.

In secondo luogo, non è vero che Luigi Palamara ha querelato «il legno storto». Subito dopo averlo detto, infatti, la lettera della redazione precisa: «Per l’esattezza la Procura di Roma ci ha comunicato (…) che ha aperto un fascicolo per le minacce che noi avremmo formulato con questo articolo, nei confronti del dr. Palamara». Da quel che capisco si tratta perciò di un’azione d’ufficio della Procura di Roma, non di querela.

Terza precisazione: mi è abbastanza chiaro che Davigo agisce in sede civile, con annessa richiesta di risarcimento, mentre non ho capito in che sede agisce Salvatore Carai. Nella lettera della redazione non si accenna a richieste di risarcimento, quindi non si può escludere che la querela di Carai sia in sede penale, particolare non irrilevante per esprimere un opinione in merito.

Mie opinioni sugli articoli

Sull’articolo di Bart non mi esprimo direttamente per palese conflitto di interessi, ma faccio mia la tesi di questo post del blog Champ’s Version, ovvero che nell’articolo non ci sono minacce contro Palamara e che probabilmente la causa è stata avviata per un banale fraintendimento.

Se dovessi trovare un aggettivo per qualificare il secondo articolo, quello firmato da Vittorio Zingales, sarei indeciso fra delirante e sbalestrato (aggiornamento dell’8 luglio: Giulio Mozzi in questo post su vibrisse lo definisce “piuttosto ributtante”). La tesi di fondo è che l’azione giudiziaria di Mani Pulite, fra il 1992 e il 1994, sia stata in realtà un tentativo di golpe orchestrato dagli immancabili poteri forti «italiani ed angloamericani». Pier Camillo Davigo è citato una volta sola in questo modo: «E’chiaro che un Borrelli, un Di Pietro, un Davigo, un D’Ambrosio, ecc, non possono avere nessuno spessore culturale per organizzare il golpe e nemmeno il regista Violante che ha il compito di girare le piazze italiane e le procure per indicare di volta in volta il nemico da abbattere». In breve, Davigo e altri sono indicati come esecutori materiali di un tentativo di golpe, senza uno straccio di riferimento fattuale o prova documentale. Questa mi sembra una calunnia bella e buona e la qualità complessiva dell’articolo è infima.

Dell’articolo di Sergio Bagnoli prendo in considerazione solo questo brano:

Salvatore Carai, sardo barbaricino di Orune, Sindaco di Montalto di Castro in forza al Partito Democratico, ala bersaniana, zio di uno dei violentatori che ha dichiarato: «Quei ragazzi ingiustamente accusati sono dei bravi ragazzi. Dalle nostre parti le uniche bestie sono gli immigrati romeni. Loro sì che lo stupro l’hanno nel sangue». Coerentemente al suo pensiero ha fatto impegnare dalla giunta municipale la ragguardevole somma di 40.000 Euro, 5.000 Euro per ognuno degli otto stupratori, a favore del loro reinserimento in società e per consentire alle loro famiglie di arruolare fior di avvocati che tirassero fuori i pargoli da questa triste vicenda.

Una veloce ricerca in rete consente di scoprire che:
1. le delibere di finanziamento agli imputati furono revocate dalla giunta comunale il 20 luglio 2007, cioè oltre due anni prima che Bagnoli scrivesse il suo articolo.
2. Bagnoli riporta come certa la parentela fra Carai e uno degli imputati, mentre un articolo coevo sul Secolo XIX parla di «indiscrezioni che non sono state smentite». Chi ha ragione?
3. La pessima frase sui romeni attribuita a Salvatore Carai era stata smentita da un comunicato dell’interessato, e a giudicare dal primo commento al suo stesso articolo ripreso da AgoraVox, Sergio Bagnoli era a conoscenza della smentita già il 28 ottobre 2009. Non è escluso che Bagnoli abbia riportato la smentita di Carai anche nei commenti al suo articolo su Legno Storto, ma per vedere quei commenti dovrei registrarmi sul sito e non ne ho voglia.

Ricapitolando, in poche righe l’articolo di Bagnoli riporta una mezza verità, probabilmente scambia indiscrezioni per verità accertate e virgoletta dichiarazioni smentite il giorno stesso dal diretto interessato. Quanto basta, a mio avviso, per considerarlo un articolo approssimativo e imprudente che presta facilmente il fianco a legittime incazzature da parte delle persone coinvolte. Aggiungo che se la redazione del Legno Storto fosse stata a conoscenza di queste inesattezze, avrebbe dovuto invitare l’autore dell’articolo a correggerlo o procedere di sua iniziativa a pubblicare una rettifica.

Mie opinioni sulle azioni legali

Il fascicolo aperto dalla Procura di Roma mi sembra un classico caso di azione penale obbligatoria in base a una notizia di reato, quindi c’è poco da commentare: ha agito come doveva agire. Punto.

La richiesta di risarcimento di Davigo in sede civile mi sembra inopportuna. Non infondata o sbagliata, tutt’altro, ma inopportuna. L’articolo, come ho detto, è effettivamente calunnioso, ma da parte di un personaggio che riveste una carica pubblica (Davigo è magistrato in Cassazione) avrei preferito un’azione in sede penale a tutela della collettività, anziché un’azione civile a tutela del solo Davigo.

Sulla querela di Carai non so che dire. Se è, come sembra, un’azione in sede penale, non saprei dargli torto. Se fosse una citazione per danni, varrebbe il discorso che ho fatto per Davigo.

E quindi?

Ciò detto, precisato e opinato, concludo dicendo che verso la redazione del Legno Storto posso provare al massimo un moto di umana compassione, perché gioire per le grane altrui non è nel mio carattere, e formulo senz’altro l’augurio che gli sviluppi della vicenda non portino alla chiusura della testata. E tuttavia non posso esprimere solidarietà, né nascondere che a mio avviso, parafrasando Mao (ché tanto a sinistra siamo tutti comunisti), l’informazione non è un pranzo di gala. Visto che di testata giornalistica si tratta, e non di luogo privato per esprimere private opinioni, accanto alla libertà di espressione e alla libertà di stampa è indispensabile collocare il dovere di pubblicare notizie verificate, di rettificare prontamente eventuali errori e di vagliare con attenzione la qualità degli articoli pubblicati. Tutte cose che a mio parere, in almeno due casi sui tre in questione, il Legno Storto non ha fatto.

Mele

Wednesday, June 30th, 2010

Renetta, tratto da winecountry.it/assets/besideWine/frutta/renetta.jpgSul quotidiano «Trentino» del 7 giugno scorso un articolo riportava una dichiarazione piuttosto forte di Roberto Saviano a proposito di mele e criminalità organizzata:

«Esponenti della ’Ndrangheta con la complicità di mediatori trentini si sono dati da fare per gestire la distribuzione delle vostre mele». Davanti a quasi mille persone che gremivano l’auditorium Santa Chiara lo scrittore anticamorra ha dato un esempio della pervasività delle mafie. Citando atti di un’inchiesta calabrese ha rivelato che il prodotto più tipico del Trentino stava per finire sotto il controllo del crimine organizzato.

Ieri, sullo stesso quotidiano, un altro articolo ha rivelato che Roberto Saviano, interrogato telefonicamente dai carabinieri a proposito di quella dichiarazione, se l’è rimangiata:

L’autore di «Gomorra» ha spiegato che le sue dichiarazioni «volevano avere un effetto choc di sensibilizzazione e allarme rispetto al significato prettamente documentale e giornalistico offerto l’indomani dalla stampa locale che, fra l’altro, titolava “I mafiosi sono qui tra le mele del Trentino”». Lo scrittore, insomma, non aveva elementi concreti per dire che l’invasione malavitosa era già in atto.

Lo stesso articolo ci informa che già l’8 giugno «la Procura di Reggio Calabria aveva negato che fosse in corso alcuna indagine o inchiesta», contrariamente a quanto affermato da Saviano.

Domande:
1. È lecito pensare e scrivere che in questa occasione Saviano ha preso una cantonata? (risposta mia: sì).
2. È lecito pensare e scrivere che Saviano non ha fatto una verifica accurata delle fonti quando ha citato un’inchiesta giudiziaria poi rivelatasi inesistente? (risposta mia: sì).
3. È lecito — dopo aver risposto sì alle prime due domande — concludere che con le sue dichiarazioni Roberto Saviano aveva intenzione di assalire gli onesti distributori di mele trentine “ricorrendo ai più bassi trucchi del mestiere — omissioni, falsificazioni, uso scorretto delle fonti, vere e proprie menzogne”? (risposta mia: no).

Il virgolettato dell’ultima domanda è tratto da questo articolo comparso su Carmilla il 22 giugno scorso, una dura e argomentata critica al libro Eroi di Carta di Alessandro Dal Lago, purtroppo rovinata da quella stoccata finale ad hominem e da una conclusione che puzza lontano un miglio di character assassination:

Ecco chi è l’uomo che sparò all’autore di Gomorra: un ego ipertrofico, esorbitante. Ci si potrebbe chiedere, alla maniera del vecchio Kant, cosa c’è nell’animo di un tale esorbitante individuo. O almeno, qual è l’odore che esorbita da un simile animo quando ironizza sul «Siamo tutti Saviano».

Il malcostume di sfruttare la critica a un testo per insultare l’autore è più diffuso di quanto si sia generalmente disposti ad ammettere.

Compito per le vacanze (da me a me medesimo assegnato, beninteso): rileggere molto, molto attentamente Contro Sainte-Beuve di Proust.

Rete

Friday, June 25th, 2010

(a dispetto del titolo, i mondiali di calcio non c’entrano).

Su Il primo amore c’è un bell’articolo di Giorgio Fontana sui modi e le conseguenze di una fruizione ossessiva della rete. Consiglio di leggerlo per intero. Seguono, per i più arditi, alcune noterelle mie.
(more…)

Avvenimento epocale

Friday, June 11th, 2010

Non vorrei mai che i riflettori puntati sul Senato per il voto di fiducia sulla “legge bavaglio” abbiano messo in ombra un altro avvenimento epocale di ieri: un segretario del PD ha detto una cosa di sinistra! (*)

Il segretario Pd, Bersani, boccia la manovra “è sbagliata, voglio sapere se la paga più Berlusconi o un bidello”. Poi la definisce iniqua e “senza credibilità” e chiede se “Berlusconi, o chi ha una ricchezza paragonabile, pagherà qualcosa dopo questa manovra: cosa paga il bidello lo so, cosa paga Berlusconi non lo vedo. Questa manovra mette le mani nelle tasche dei soliti”.

(*) Sì, va be’, lo so anch’io che dire bidello non è esattamente come dire lavoratori o classe operaia, però non stiamo a spaccare il capello in quattro, via.