C’è sempre una prima volta

March 15th, 2007

Ebbene sì, per la prima volta nella storia di questo blog di periferia ho eliminato un commento, precisamente qui.

Mi permetto di darne pubblica notizia – abusando in un certo qual modo della pazienza dei lettori – per sottolineare che non tollero l’antisemitismo in qualsivoglia forma si presenti, da quella apertamente fascista e negazionista, a quella subdolamente mascherata da antisionismo.

Sono intollerante? Pazienza. Preferisco essere intollerante che contribuire, anche solo indirettamente e involontariamente, alla diffusione di pregiudizi e falsità contro il popolo ebraico.

Se qualcuno è interessato a prendere visione del testo eliminato, può chiedermelo per email, ma avviso preventivamente i richiedenti che stile e contenuti hanno un discreto effetto emetico.

Esperimento

March 14th, 2007

1. Individuare i 720 lemmi più utilizzati in libri, quotidiani e periodici in lingua italiana.
2. Concentrare in una radura lontana da centri abitati 720 individui residenti in Italia.
3. Microfonare i suddetti individui e collegare i microfoni ad adeguati strumenti di registrazione vocale.
4. Assegnare a ciascun individuo uno dei lemmi di cui al punto 1.
5. Impartire simultaneamente a tutti i 720 l’ordine di pronunciare a voce alta la parola loro assegnata.
6. Ripetere l’esecuzione fino a ottenere una registrazione di qualità ragionevole.
7. Fare ascoltare la registrazione a un campione rappresentativo della popolazione italiana, q.b. a produrre un elaborato che contenga almeno i seguenti elementi:

a. Descrizione della percezione uditiva, ovvero se il brano è parso suono, rumore, voce, musica o altro.
b. Descrizione delle impressioni o emozioni suscitate dall’ascolto, quali ad esempio terrore, sgomento, felicità, sorpresa, ecc.
c. Esposizione dei significati e dei concetti individuati dall’ascoltatore.
d. Un commento libero.

8. Raccogliere gli elaborati prodotti al punto 7 in un volume intitolato Il silenzio come limite estremo della parola.

[dtfn] XIV – Il tradimento letterario

March 13th, 2007

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Iole, ovvero il desiderio di volare. Quanto ha ragione il vecchio Emilio: se solo fosse qui, Iole. Perché vedi, carissimo, gli aeroplani sono macchine meravigliose che possono anche uccidere gli uomini, e così sono le parole: splendidi marchingegni che possono uccidere i racconti. Conoscevo un tale, una volta, un poemetto epico in endecasillabi sciolti. Simpatico, non dico di no, anche se talvolta la sua conversazione diventava un po’ contorta, il suo pensiero un po’ arduo e intricato, difficile da comprendere. Questo succedeva per la sua ostinata ricerca di parole millimetricamente adatte alle sue necessità espressive, e a volte quelle che trovava erano così ricercate che le capiva solo lui. Un giorno voleva descrivere una scena di caccia, e ha iniziato a sciorinare il suo bel discorso raffinatissimo e perfettamente ritmato. A un certo punto però si è fermato e non andava più avanti. Che c’è? gli ho chiesto. La giusta locuzione non accorre, ha risposto, e se ne è andato via senza nemmeno salutare, bofonchiando mezze sillabe e scacciandole subito dopo: Verbo meschino! Non m’abbandonare! gridava a ogni fallimento. L’ho rivisto per caso sei mesi più tardi, ho mollato lì quello che stavo leggendo e gli ho chiesto se avesse trovato la parola.
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8 Marzo

March 8th, 2007

Genio. Sostantivo femminile singolare.

Amore Viola

March 7th, 2007

Monica Viola, Tana per la bambina con i capelli a ombrelloneÈ un colore ben strano, il viola, disinvolta mistura di rosso e di blu, ugualmente partecipe dell’igneo e dell’acqueo, confine permeabile fra i colori caldi e i freddi. Un colore che non sa decidere da che parte stare, perché nessuna parte ha tutto il suo amore e nessuna ha tutto il suo odio. Ha una vocazione irreparabilmente liminare, il viola, nonché una propensione naturale a farsi passaggio, ponte, attraversamento. Non è un caso che lo si trovi in cielo specialmente quando la notte diventa giorno o il giorno notte.

Monica Viola ha scritto Tana per la bambina con i capelli a ombrellone, uno dei libri più viola che io abbia mai letto, e anche un libro che non posso recensire, essendo la recensione un’impresa che richiede un certo qual distacco sentimentale dal suo oggetto e una buona dose di imparzialità. Nei confronti di questo libro, invece, io sono parziale, parzialissimo, partigiano perfino, nonché sentimentalmente coinvolto.

C’è una parola più viola delle altre in Tana, così emblematica da fare paragrafo a sé. Una parola che il lettore potrà facilmente trovare nel libro dopo averlo scaricato al link qui sopra (se preferisce la carta, può anche ordinarlo a Stampalibri). Non serve che io dica qui di che parola si tratta: il lettore è abile e navigato, e la troverà da solo. Quella parola contiene tutto il disagio esistenziale della protagonista, un disagio in cui non faccio fatica a riconoscermi, dato che fui bambino e adolescente negli stessi anni:

Voler essere nel gruppo e allo stesso tempo non dare adesione totale, non volermi sentire dentro il recinto. Il cane randagio cerca padrone ma poi il giardino gli va stretto e morde il guinzaglio che sognava di avere al collo.

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Ta-daa!

February 28th, 2007

Seconda accoppiata di uscite per vibrisselibri, il progetto editoriale “anfibio” nato da una proposta di Giulio Mozzi del giugno 2006 e presentato al pubblico nel successivo novembre. Dopo la pubblicazione del saggio di Demetrio Paolin Una tragedia negata e del romanzo di Andrea Comotti L’organigramma – due sguardi da due diversi punti vista sugli anni di piombo – ecco Nenio di Eugenio De Medio, e Tana per la bambina coi capelli a ombrellone, di Monica Viola. Entrambi rientrano nella collana di narrativa Sans papier.

Il resto qui

E soprattutto qui.

[dtfn] XIII – Novella seconda (Seconda parte) [2]

February 27th, 2007

(Il manoscritto ritrovato di letturalenta. Frontespizio e indice)

Saku Paasilahti: De te, fabula narratur (1999), tratto da http://rikart.lib.hel.fi/Storia di un signore emiliano che volò a cent’anni

VI
Il giorno dopo li abbiamo rivisti a Montichiari, alla gara degli aeroplani. C’era una confusione terribile, ancora più terribile di quella che avevamo trovato nelle stazioni dei treni. Sì, perché anche alla stazione di Brescia c’era baccano. Franz l’ha descritto in suo libro, sapete? Franz era uno scrittore, infatti, e anche quel giorno a Montichiari se ne andava in giro per l’aerodromo tenendo in mano un quadernetto rilegato, e si fermava spesso a scriverci su qualcosa. Non so dire quanta gente ci fosse, ma eravamo tantissimi, come allo stadio quando ci sono le partite di pallone. I signori stavano sotto una tribuna coperta, a mostrarsi i bei vestiti e i bei modi, e tutti gli altri seduti sull’erba, dove capitava, fino ai bordi delle piste. Gli aeroplani erano piccolissimi, quasi costruiti attorno al pilota, e i motori mandavano ruggiti spaventosi. Erano così piccoli che già pochi minuti dopo il decollo si riducevano a puntini quasi invisibili in cielo. Eppure noi restavamo a naso in su per ore, pur di seguire quei puntini. Ah, bambini cari, quanto mi piacerebbe volare come volavano allora, soli, a due passi dal paradiso. Ma ormai sono troppo vecchio. Avrei potuto volare da giovane, ma in guerra, specialmente l’ultima, gli aerei facevano cose tremende, e mi è passata la voglia.
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L’arte di non leggere

February 23rd, 2007

Pierre Bayard, Come parlare dei libri che non abbiamo letto, tratto da www.leseditionsdeminuit.comMi accorgo solo adesso che in un mio vecchio post datato 19 dicembre 2005 ho inavvertitamente recensito un libro che è uscito in Francia a gennaio del 2007. Il post parlava dell’arte di non leggere, partendo da un celebre (credo) aforisma di Giorgio Manganelli, che qui ripropongo:

Un lettore di professione è in primo luogo chi sa quali libri non leggere; è colui che sa dire, come scrisse una volta mirabilmente Scheiwiller, “non l’ho letto e non mi piace”.

Forse anche Manganelli stava recensendo a sua insaputa, e con oltre trent’anni di anticipo, Comment parler des livres que l’on n’a pas lus? di Pierre Bayard, uscito a gennaio nella collana Paradoxe delle francesi Editions de Minuit, un libro che in Francia si avvia a diventare un best-seller e che spero sia tradotto e pubblicato quanto prima anche da noi (rimando a Vertigine per una breve recensione).

Il libro di Bayard è opera serissima e fondata su accurati riscontri fattuali e storici. L’autore – docente di letteratura all’università Paris VIII – argomenta partitamente la sua tesi, suffragandola con prove tratte dalla sua esperienza personale di non lettore e frequentatore di non lettori, un tipo umano che a detta di Bayard sembra aver trovato nell’ambiente accademico il suo habitat naturale.
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Coglioni

February 22nd, 2007

«Ho troppa stima per l’intelligenza degli italiani per credere che ci possono essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse» (Silvio Berlusconi, 4 aprile 2006).

Va be’, tanti no, ma un paio…

Franco Turigliatto & Fernando Rossi

Memento mori

February 21st, 2007

Breve [0] bibliografia tanatologica da consumarsi esclusivamente nei mercoledì delle ceneri a venire, un titolo per anno. Sono molto gradite segnalazioni, integrazioni, aggiunte. Anche postume.

William Burroughs, Strade morte
Louis-Ferdinand Céline, Morte a credito
Gabriele D’Annunzio, Il trionfo della morte
Fëdor Dostoevskij, Memorie da una casa di morti
Friedrich Dürrenmatt, La morte di Socrate
Dario Fo, Morte accidentale di un anarchico
Carlo Emilio Gadda, I viaggi e la morte
Nikolaj Gogol’, Le anime morte
Friedrich Hölderlin, La morte di Empedocle
Victor Hugo, L’ultimo giorno di un condannato a morte
James Joyce, I morti
Raffaele La Capria, Ferito a morte
Thomas Mann, La morte a Venezia
Gabriel Garcia Marquez, Cronaca di una morte annunciata
Guy de Maupassant, Forte come la morte
Arthur Miller, Morte di un commesso viaggiatore
Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Giuseppe Pontiggia, La morte in banca
Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica
Jacques Prévert, Le foglie morte
Rainer Maria Rilke, Il canto d’amore e morte dell’alfiere Christoph Rilke
Josè Saramago, L’anno della morte di Ricardo Reis
Friedrich Schiller, La morte di Wallenstein
Leonardo Sciascia, Morte dell’inquisitore
William Shakespeare, La vita e la morte di re Giovanni
Isaac B. Singer, La morte di Matusalemme
George Steiner, La morte della tragedia
Lev Tolstoj, La morte di Ivan Il’ic

E inoltre:

gabryella
somerset maugham, acque morte
jorge amado, mar morto / la doppia morte di quincas l’acquaiolo
von hofmannsthal, la morte di tiziano / il folle e la morte / ognuno, il dramma della morte del ricco

erostratos (aka The Living Library)
georges simenon, la morte di belle
bruno traven, la nave morta
giovanni faldella, una serenata ai morti
edgar allan poe, la maschera della morte rossa
italo svevo, la morte
samuel beckett, teste-morte
ernest hemingway, morte nel pomeriggio
théophile gautier, la morta innamorata
william faulkner, mentre morivo
federico de roberto, la morte dell’amore
samuel beckett, malone muore
leonardo sciascia, il cavaliere e la morte
antónio lobo antunes, la morte di carlos gardel
jorge ibargüengoitia, le morte
yukio mishima, morte di mezza estate
arthur schnitzler, morire
august strindberg, l’isola dei morti
luigi compagnone, l’onorata morte
georges simenon, il viaggiatore del giorno dei morti
jean-paul sartre, morti senza tomba
juan carlos onetti, per una tomba senza nome
georg büchner; la morte di danton
jan kott, eros e thanatos
massimo bontempelli, vita e morte di adria e dei suoi figli
ernesto sábato, sopra eroi e tombe
hermann broch, la morte di virgilio
albert camus, la morte felice
james purdy, come in una tomba
maria zambrano, la tomba di antigone
ramón del valle-inclán, polittico dell’avarizia, la lussuria e la morte
vladislav chodasevič, necropoli
danilo kiš, una tomba per boris davidovič
salvatore toma, canzoniere della morte
norman mailer, il nudo e il morto
paul valéry, il cimitero marino
ray bradbury, il cimitero dei folli
louis-ferdinand céline, la scuola dei cadaveri
evelyn waugh, il caro estinto
agatha christie, poirot e la salma
luigi pirandello, il fu mattia pascal
tommaso landolfi, la biere du pecheur [4]

Gualberto Alvino [1]
Antonio Pizzuto: Thanatia

Lucio Angelini
Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi [2] [2bis]

Maria Strofa [3]
maria strofa, morte a diliberto

Mauro Gasparini
Friedrich Dürrenmatt: La morte della Pizia

Ulrico
Henrik Ibsen, Quando noi morti ci destiamo
Charles A. D’Ambrosio, Il museo dei pesci morti,
Hans M. Enzensberger, Dialoghi tra immortali, morti e viventi
Tomas Straussler (Tom Stoppard), Rosencrantz e Guildenstern sono morti
Lev Nikolaevic Tolstoj, Tre morti
Henry James, L’altare dei morti

Màisele
Horacio Quiroga, Racconti di amore, di pazzia e di morte

Melpunk
Mishima Yukio, Morte di mezza estate e altri racconti

CalMa
l’oscura immensità della morte, M.Carlotto
Le intermittenze della morte, J. Saramago
Con la morte nel cuore, G. Biondillo
Sull’amore sulla morte, P. Suskind
Morte malinconica del bambino ostrica, T. Burton
La morte e la fanciulla (non ricordo di chi, ma quanto meno F.Shubert)

Sonnenbarke
rivela che La morte e la fanciulla è di Ariel Dorfman e aggiunge:
Allen Ginsberg, Kaddish

[0] Breve un par de palle! :-)
[1] Chiedo venia per il link autoreferenziale, ma Gualberto Alvino purtroppo non ha un blog.
[2] Va be’, era già nell’elenco iniziale, ma uno dei più bei titoli della letteratura mondiale di tutti i tempi merita il bis.
[2 bis] Maria Strofa ricorda la parodia di Gino Patroni: Infarto in trattoria. Verrà la morte e avrà i tuoi gnocchi.
[3] Il link è diretto al post in cui Maria Strofa spiega il titolo da lei proposto :-). Si veda anche qui.
[4]: erostratos giustifica l’inserimento del titolo nel presente obituario letterario con questa citazione dell’autore: “Nel tempo di un mio tristo viaggio a Parigi, aggirandomi io per le strade svagato e affranto sì da applicarmi a leggere di rovescio taluna breve delle innumerevoli scritte che mi cadevano sott’occhio, due parole la città mi gridava con mille lingue disciolte, ossia da quasi tutte le insegne e tende dei suoi caffè. L’una, vero e proprio epiteto invettivo, era: RAB! (che è facile vedere donde fosse cavata; italianamente: ’schiavo’). L’altra, questa medesima BIERE DU PECHEUR. Che, il più sovente tracciata in lettere maiuscole e senza accenti, io potevo bene tradurre mentalmente con ‘bara del peccatore’, anziché, come si doveva, con ‘birra del pescatore’.” (Fatti personali e dedica, in: T. Landolfi, LA BIERE DU PECHEUR, 1953)

Quanto deve essere regolato dallo Stato laico

February 20th, 2007

Qualche giorno fa il cardinale Camillo Ruini – quasi ex-segretario della CEI – ventilò un intervento diretto e ufficiale della chiesa cattolica sull’avversato disegno di legge sui diritti dei conviventi, i famosi DICO (qui le parole esatte del cardinale). Questa posizione ruinosa fu applaudita calorosamente dall’ala destra del mondo cattolico e da quegli strani soggetti “laici” che tengono un piede in Arcore e l’altro in Vaticano, tipo Giuliano Ferrara o Marcello Pera.

La mia posizione sull’argomento è questa:

«è indispensabile distinguere tra ciò che per i credenti è obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico, e quanto deve essere regolato dallo Stato laico per tutti i cittadini».

Questa frase fa parte di un appello lanciato da alcuni intellettuali cattolici, fra i quali Giuseppe Alberigo, storico del Concilio Vaticano II e professore emerito di Storia della chiesa all’università di Bologna. Alberigo è un cattolico formato alla scuola di Giuseppe Dossetti, non un cattivissimo anticlericale, eppure anche una posizione moderata come la sua è stata bollata dall’Osservatore Romano come “inopportuna” (si veda per esempio qui).

Inopportuna, e anche miope, è piuttosto la fregola interventista di Camillo Ruini. La chiesa cattolica ha tutto il diritto di esprimere le sue opinioni su qualsiasi argomento, inclusi quelli in discussione nei parlamenti di tutto il mondo, ma non ha alcun diritto di dare indicazioni di voto ai parlamentari cattolici. I quali parlamentari hanno invece tutto il diritto di legiferare su qualsiasi materia anche contro le posizioni ufficiali della chiesa cattolica, in base a un principio che il cardinale Ruini dovrebbe mandare a memoria:

«è indispensabile distinguere tra ciò che per i credenti è obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico, e quanto deve essere regolato dallo Stato laico per tutti i cittadini».

Il quale principio – e qui chiedo a Ruini un grosso sforzo di concentrazione – non è soltanto quello che impedisce di emanare una legge che obblighi i cittadini italiani a sposarsi in chiesa, ma anche quello che impedisce di emanare una legge che vieti loro di farlo. Ecco perché, pur non amando molto appelli e petizioni in generale, ho firmato questo.

Dell’essere lenti e incompetenti

February 19th, 2007

Oggi è la giornata della lentezza, o meglio, oggi l’apposita associazione L’Arte di vivere con lentezza – della quale ignoro praticamente tutto – propone di consacrare la giornata a esercizi di rallentamento. Proposta che accetto volentieri, ma non senza qualche perplessità.

Leggo infatti sul sito della sullodata associazione che dedicare tempo alla lentezza significa essere più efficienti quando è necessario. Non sono d’accordo. Dedicare tempo alla lentezza è una frase difficilmente difendibile da un’accusa di assurdità. Alla lentezza non va dedicato alcunché, men che meno il tempo, bene notoriamente indisponibile a noi comuni mortali. La lentezza non vuole dediche o sacrifici e non può essere intesa come strumento spendibile in vista di fini non del tutto nobili come essere più efficienti quando è necessario.

Al contrario, la lentezza è essa stessa un fine, e un fine assoluto, uno stato ideale a cui è possibile aspirare ma che è impossibile raggiungere da vivi. Inutile girare attorno alla faccenda: noi tutti saremo perfettamente lenti solo a partire dal momento del nostro decesso. La lentezza non ha fini secondari, non promette vantaggi né qui né in altre vite terrene o ultraterrene. La lentezza è premio a sé stessa. Chi rallenta lo fa per rallentare, non per guadagnare efficienza in vista di future accelerazioni.

Detto questo, ben venga una giornata dedicata al sommo bene del viver lento. LETTORE! RALLENTA! Non correre, leggi lentamente.

Ti propongo per oggi e per gli anni a venire il seguente esercizio: scegli una pagina o anche solo una frase di un libro che ami e leggi solo quella per tutta la giornata. Leggi e rileggi senza temere la noia, affisa la tua mente sulle singole parole, sui segni di interpunzione, sulla forma grafica delle lettere. Leggi da sinistra a destra, poi da destra a sinistra, dall’alto in basso e dal basso in alto. Medita ciò che leggi, prendi appunti, commenta te medesimo nell’atto di leggere: sii per un giorno intero nient’altro che pagina, frase, lemma, grafismo. E se a fine giornata ciò che hai scelto di leggere avrà ancora qualcosa da dirti, onora quella pagina con un appunto, una glossa, una breve nota a margine.

Per parte mia, oggi non leggerò altro che questo:

Lo scrittore ha a che fare con una qualche forma di caos. Potrebbe farne a meno, ma non sempre gli è concesso di scegliere. E allora lo scrittore deve lavorare senza capire a fondo quello che ha scritto. […] Vogliamo dire che è un incompetente, giacché lavora a cosa che ‘non capisce’? Ahimè, sì. Tentiamo una definizione: lo scrittore è colui che è sommamente, eroicamente incompetente di letteratura. Come l’innamorato è colui che fra tutti gli uomini e le donne ha ottenuto la grazia della totale incompetenza a proposito dell’essere amato. [Giorgio Manganelli, «Elogio dello scrivere oscuro», in Il rumore sottile della prosa, Adelphi 1994].

litcamp 2007

February 16th, 2007

LitCamp 2007Un giorno Arsenio Bravuomo andò a sentire Giulio Mozzi che al circolo dei lettori di Torino parlava di vibrisselibri.

Al medesimo incontro letterario allignava il bardo Effe, al quale il Bravuomo comunicò un’idea che da tempo gli frullava nella mente, con queste esatte parole, link compreso (io non c’ero ma – come diceva sempre Pasolini – lo so):

e se facessimo un barcamp di chiacchiere qui a Torino, su letteratura e poesia, di carta e di bit, su distribuzione digitale e non, su copyright e creative commons, su scrittura vecchio stampo e scrittura mostruosa, e quant’altro?

E che ci vuole? rispose sardonico il blogger sabaudo, pur ignorando affatto cosa un barcamp fosse.

Detto, fatto. L’attrezzatura barcàmpica è già a disposizione di chi vorrà partecipare. Io parteciperò – almeno in ispirito – portando al dibbattito il mio preziosissimo contributo, che provo a riassumere qui:

Parlare di letteratura è un forte indizio di demenza e una sicura perdita di tempo: due ottime ragioni per parlarne il più possibile.

Gualberto Alvino legge Pizzuto

February 14th, 2007

Ennesima chicca pizzutiana donata dal maestro Gualberto Alvino: egli medesimo legge un brano tratto da Pagelle, opera del Pizzuto estremo, quello che financo i meglio addestrati filologi faticarono a seguire. Buon ascolto.

XXVI
Vento

Invisibile posse favoleggiato indotto, concluso, altrove sempre, estrosa conchiglia suggeritore che mai séguiti: un frangersi onda al largo addosso massiccio lacustre fusto emersone con l’arborea sua chioma; pur offensivo in arena sperte elicopidi mostre di una recitante, o fomite per tegnenze rotulee mutui passo passo contro le prore aerotome dianzi incignate. Fola su fola effetti sconvolti estolti poi ritolti, come le spirituali clausole sotto ricorrenti angosce dell’altrui bene, intanto valangheggiando incendiarie arbitrio mistero: un divieto insolito, reticenze, ambigui esiti, da disciplinato precludersi verità prepostera, o ad attentarvi palindroma. Germinali magici tappeti; sottesso, spiri guida a sàlide mucche, queste di atterramenti fortunosi per strenuo pilota, centine sconce, avvoltoio su un esiguo prato. Messaggero da torridi viperai, tundre gelide, a enfie vele robusto; ora mulinante scavando imo vortice ergersene in attorte colonne diaspre il mare. Tale consapevoli, arresi a villaggio, apparsivi di tra selve in cristallo, daini e cerbiatti, ecco nel ciclone pie serpere pantere cobra. Dissipati furori, pronubo il ritorno da zefiro entro corolle e per arnie, in mille papille sugli stagni dove saettosi girini di pattuglia, condomine le gambusie voraci o muovere, dileticante, sericea canizie all’assopito, cenere lì lì orlo sigaro, contrastare formica avversa. Nel tutto di continuo pervasone, mantenerlo in perennità desto sua vicenda a rincorrersi onde inesauribile alimento l’anelare: informe il soggetto, protea sua formativa e per cielo e terra, e speranze e sbaragli consustanziali.

Variazioni sul gatto [4]

February 7th, 2007

Catwoman, tratto da www.inkworkscards.comLegenda: E=erostratos; L=letturalenta.. Tutte le variazioni sul gatto

18 gennaio (E a L)
no, ma che manda… trattasi di brogliacci atomizzati e indivulgabili, la cui gran parte è costituita da glosse, appunti e note di servizio; enfi di postit; irti di frecce policrome a pennarello come altrettanti sansebastiani.
beh, ma altrimenti dove starebbe il conflitto? son mica di quelli che ci hanno tutta una comédie humaine dentro il cassetto! io nel cassetto, come si suol dire, tengo solo le mutande. :-)

ma poi è ironico che scrivere rimi con vivere, dài. platone non me ne vorrà se dico allora che narrare è un po’ crepare. :)
non è che l’io poetico sia diverso dall’io sociale: è addirittura un non-io. cioè, è sempre l’io, ma nel suo darsi unicamente come vuoto e perdita di sé. blanchot ci ha costruito una carriera su ‘sta cosa, e aveva ragione.
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