Sul quotidiano «Trentino» del 7 giugno scorso un articolo riportava una dichiarazione piuttosto forte di Roberto Saviano a proposito di mele e criminalità organizzata:
«Esponenti della ’Ndrangheta con la complicità di mediatori trentini si sono dati da fare per gestire la distribuzione delle vostre mele». Davanti a quasi mille persone che gremivano l’auditorium Santa Chiara lo scrittore anticamorra ha dato un esempio della pervasività delle mafie. Citando atti di un’inchiesta calabrese ha rivelato che il prodotto più tipico del Trentino stava per finire sotto il controllo del crimine organizzato.
Ieri, sullo stesso quotidiano, un altro articolo ha rivelato che Roberto Saviano, interrogato telefonicamente dai carabinieri a proposito di quella dichiarazione, se l’è rimangiata:
L’autore di «Gomorra» ha spiegato che le sue dichiarazioni «volevano avere un effetto choc di sensibilizzazione e allarme rispetto al significato prettamente documentale e giornalistico offerto l’indomani dalla stampa locale che, fra l’altro, titolava “I mafiosi sono qui tra le mele del Trentino”». Lo scrittore, insomma, non aveva elementi concreti per dire che l’invasione malavitosa era già in atto.
Lo stesso articolo ci informa che già l’8 giugno «la Procura di Reggio Calabria aveva negato che fosse in corso alcuna indagine o inchiesta», contrariamente a quanto affermato da Saviano.
Domande:
1. È lecito pensare e scrivere che in questa occasione Saviano ha preso una cantonata? (risposta mia: sì).
2. È lecito pensare e scrivere che Saviano non ha fatto una verifica accurata delle fonti quando ha citato un’inchiesta giudiziaria poi rivelatasi inesistente? (risposta mia: sì).
3. È lecito — dopo aver risposto sì alle prime due domande — concludere che con le sue dichiarazioni Roberto Saviano aveva intenzione di assalire gli onesti distributori di mele trentine “ricorrendo ai più bassi trucchi del mestiere — omissioni, falsificazioni, uso scorretto delle fonti, vere e proprie menzogne”? (risposta mia: no).
Il virgolettato dell’ultima domanda è tratto da questo articolo comparso su Carmilla il 22 giugno scorso, una dura e argomentata critica al libro Eroi di Carta di Alessandro Dal Lago, purtroppo rovinata da quella stoccata finale ad hominem e da una conclusione che puzza lontano un miglio di character assassination:
Ecco chi è l’uomo che sparò all’autore di Gomorra: un ego ipertrofico, esorbitante. Ci si potrebbe chiedere, alla maniera del vecchio Kant, cosa c’è nell’animo di un tale esorbitante individuo. O almeno, qual è l’odore che esorbita da un simile animo quando ironizza sul «Siamo tutti Saviano».
Il malcostume di sfruttare la critica a un testo per insultare l’autore è più diffuso di quanto si sia generalmente disposti ad ammettere.
Compito per le vacanze (da me a me medesimo assegnato, beninteso): rileggere molto, molto attentamente Contro Sainte-Beuve di Proust.
Critici simoniaci falsari
Thursday, January 5th, 2006L’altro giorno questo signore qui spiegava cosa chiede lui alla critica. Tempo fa ebbi l’ardire di porre una domanda simile a un racconto (sì, capisco che può sembrare inverosimile, eppure io parlo ai racconti e loro mi rispondono. Generalmente ci diamo del tu). Cos’è per te la critica? chiesi a quel racconto. Quel che segue è la sua risposta.
Il commento, ah!, il commento! Parole su parole; frasi talentuose e dotte che si sovrappongono alle nostre per disvelarne i significati più reconditi. Quale racconto potrebbe resistere al secolare lavoro di sempre nuove schiere di alacri interpreti? Esiste davvero Pinocchio? esiste Don Chisciotte? No, no, non loro! non il racconto, ahimè, arriva a conquistare le vostre coscienze, ma il commento.
Il commento! Voi recensori e interpreti, insensati ospiti di parole di seconda mano, di quello vi gloriate; quello citate nei vostri afasici salotti letterari; quello mandate a memoria per figurare fra i cultori delle belle lettere. Vili birbanti! Mercanti di falsa moneta! Simoniaci! Voi fate commercio di ciò che fu dato gratuitamente all’umanità; voi esigete dalle intelligenze un tributo iniquo, perché non all’intelligenza sono destinati i racconti, ma alle profondità irragionevoli degli esseri umani. Non a ciò che riflette come levigato e gelido specchio noi ci rivolgiamo, ma a ciò che vibra e risuona come la ruvida segreta cavità di un istrumento a corde.
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