Archive for the ‘libri e dintorni’ Category

Bibliografie monomaniacali

Sunday, February 19th, 2006

Bibliografia, tratto da www.jacobeo.netMi pare equo e solidale elevare a dignità di post gli splendidi risultati del bellissimo gioco stupido qui giocato a partire da un’idea di Federico Platania.

Ricordo inoltre che Giuseppe Ierolli ha proposto un’interessante variante incipitaria, che consiste nel riscrivere l’incipit dei libri citati utilizzando la chiave monomaniacale adottata per i titoli. Per i risultati di questa variante, rimando ai commenti del post Un bellissimo gioco stupido, riportando qui a mo’ di esempio l’incipit della Récherche rivisto dallo Ierolli medesimo:

A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: «Mi addormento». E, mezz’ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar la nonna mi svegliava;…

Ecco a voi, siore e siori, famose bibliografie riviste e corrette in chiave ossessivo-monomaniacale dai capziosi lettori di letturalenta:
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Un bellissimo gioco stupido

Friday, February 10th, 2006

Trombone, tratto da www.artsalive.caCopincollo una parte di un post di Federico Platania che si può leggere integralmente nel sito della benemerita compagnia dei Librintesta, e precisamente qui. Il post descrive un gioco definito stupido dall’autore e che, come tutti i giochi stupidi, supera in intelligenza e possibilità creative la maggior parte dei giochi intelligenti.

Un gioco stupido
(di Federico Platania)

Uno dei sintomi della mia imminente follia è un giochino mentale, estremamente stupido, che mi trovo a fare spesso di fronte alle liste, in particolar modo di fronte alle discografie e alle bibliografie. Non so perché, mi viene istintivo cominciare a sostituire, in ogni voce dell’elenco, una parola con una parola fissa.
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Editoria lenta

Wednesday, February 8th, 2006

Troppi libri, tratto da home.att.net/~pennNel suo primo numero di quest’anno, la rivista di informazione libraria Bookshop ha lanciato una simpatica inchiesta intitolata «Troppi libri, un mercato a due velocità. Il problema della “superproduzione” editoriale».

L’ipotesi di fondo è che l’uscita di oltre 50.000 novità all’anno combinata con un 67% di popolazione allergica all’acquisto di libri – come da recente indagine Demoskopea – sia un cocktail esplosivo. «L’intasamento dei canali» si legge nell’editoriale della rivista «e l’accorciamento del ciclo di vita di ciascun titolo, a livello distributivo, minaccia di far saltare principalmente il modello di business della libreria indipendente».
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Mio padre non solo era inutile, ma anche dannoso

Sunday, February 5th, 2006

Giorgio Manganelli, tratto da www.compagnosegreto.itSu sollecitazione di Miku nei commenti al post precedente, trascrivo la prima parte dell’intervista rilasciata da Lietta Manganelli a Ugo Cornia e pubblicata in G.Manganelli, Il delitto rende, ma è difficile, Comix 1997. Oltre all’accenno, purtroppo assai fugace, alla tempestosa visita del Gaddus al Manga, l’intervista rivela la causa ultima dell’improvvisa separazione di Manganelli dalla sua famiglia, nonché l’icastico giudizio giustamente scelto da Cornia come titolo dell’intervista.

Puoi raccontarci qualcosa di tuo padre?
Ti racconterò questo. Il primo ricordo cosciente che ho di mio padre, perché poi si spezza tutto fino a diciotto anni, è una pergola molto bella di un’osteria di Milano sui navigli, di quelle con le tovaglie coi quadrettini rossi e i tavoli pieni di bottiglie, e mio padre che parla con tre o quattro amici. Non si sa bene perché aveva deciso di portarmi a spasso, forse voleva fare vedere la figliola, ma non capendo assolutamente niente mi ha messo a sedere davanti a un boccale da mezzo litro di birra, e io me lo bevo anche molto felicemente, dicendo – mmh, buona, buona – e mi prendo una sbronza colossale. Mi ha portata a casa tenendomi in braccio, e io ho vomitato per una settimana.
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Scusi, posso farle una domanda?

Monday, January 30th, 2006

Perec

Perché gli aspirapolvere su scivolanti si vendono così male?
Negli ambienti di modesta estrazione, che cosa si pensa dei surrogati di caffè?
Piace la purea bell’e pronta?
E perché?
Perché è leggera?
Perché è untuosa?
Perché è tanto facile da fare: un gesto e via?
Pensate davvero che le carrozzine per bambini siano care?
Non siete forse sempre pronti a fare un sacrificio per il benessere dei piccoli?
Come voterà la donna francese?
Il formaggio in tubetti ha incontrato il favore del pubblico?
Siete pro o contro i trasporti pubblici?
A che cosa si bada anzitutto quando si mangia lo iogurt: al colore?
Alla consistenza?
Al gusto?
All’aroma naturale?
Legge poco, molto o niente?
Andate al ristorante?
Le piacerebbe, signora, subaffittare la sua camera a un negro?
Che cosa pensate, francamente, della pensione ai vecchi?
Che ne pensano i giovani?
Che ne pensano i dirigenti?
A che cosa pensa la donna di trent’anni?
Che ne pensa, lei, delle vacanze?
Dove passa le sue vacanze?
Le piacciono i cibi surgelati?
Quanto pensa che costi un accendisigari come questo?
Quali sono le qualità che esige dal suo materasso?
Mi può descrivere un uomo che ama la pastasciutta?
Che cosa pensa della sua lavatrice?
Ne è soddisfatta?
Fa forse troppa schiuma?
Lava bene?
Rovina la biancheria?
Serve anche ad asciugare la biancheria?
Lei preferirebbe una lavatrice che servisse anche ad asciugare la biancheria?
La sicurezza nelle miniere è sufficientemente garantita o no, secondo lei?

[Georges Perec, Le cose, Mondadori 1966]

(Formaggio in tubetti? Bleah!)
(Il libro, sia detto parenteticamente, è splendido)
(Questo post somiglia a un’eccolalista. Forse)

Diceria su Diceria dell’untore

Wednesday, January 25th, 2006

Gesualdo Bufalino, tratto da www.galrev.comDiceria dell’untore è un libro che fin dal titolo propone un’atmosfera iperletteraria. L’untore è per noi lettori post-manzoniani una figura unicamente finzionale, romanzesca, quasi mitologica, che non può esistere al di fuori di un racconto o di un romanzo: è un concetto, un’astrazione, un simbolo. Nessun lettore s’aspetterebbe mai di trovarsi un untore in carne e ossa sull’uscio di casa o in ufficio o al bar, e se anche ne incontrasse uno non lo riconoscerebbe, perché dell’untore si può dire solo ciò che si dice di Dio nel vangelo: nessuno l’ha mai visto.

L’altro termine del titolo – diceria – rafforza ulteriormente questa impressione di letterarietà mitologica. Nelle istruzioni per l’uso poste in calce al racconto, Gesualdo Bufalino spiega che

«Diceria» vale racconto, dettato, monologo con in più un’insinuazione di scarsa credibilità, come di uno sproloquio mormorato all’orecchio.

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L’anno che verrà

Saturday, December 31st, 2005

Libri, tratto da www.birdbooksdirect.comDice che la letteratura è morta; che non ci sono più i Calvini i Pasolini e i Volponi d’una volta; che c’è il genocidio culturale, la restaurazione e la monocoltura del best seller. Dice che oramai è tutto giallo e nero e che la letteratura invece è un’altra cosa. Dice che non ci sono più le mezze stagioni, anche, e che una volta qui era tutta campagna. Dice che se i giornali continuano a pubblicare libri prima o poi smetteranno di farlo gli editori. Dice che non ci sono più i critici d’una volta e che gli italiani non leggono.

Mo me lo segno, dico.

Nel frattempo faccio un salto qui e vedo che nei primi mesi dell’anno che sta per cominciare usciranno: un romanzo di Nanni Balestrini su Giangiacomo Feltrinelli (però lo pubblica DeriveApprodi); un romanzo di Paolo Nori, Bompiani; le Opere italiane di Giordano Bruno in due volumi, Adelphi; addirittura un volume di poesie di Rodolfo Valentino, Newton Compton. Poi, va be’, c’è pure Moccia, c’è la Santacroce, ma pazienza. Poi ci sarà un nuovo Rushdie, Mondadori; un nuovo Potok, Corbaccio; nuove poesie di Patti Smith, Frassinelli; e perfino un Balzac a testa per Sellerio e Garzanti. E un nuovo saggio di Carlo Ginzburg, Feltrinelli, vogliamo perderlo? E la cinquecentesca Relazione sulla distruzione delle Indie del domenicano Bartolomé De Las Casas, Ahlambra, vogliamo lasciarlo in libreria?

Per dire.

Sembra proprio che anche nel 2006 ci sarà qualcosa da leggere, alla faccia degli uccellacci del malaugurio, e non saranno solo gialli e non saranno solo noir e non saranno solo best-seller e non saranno frutti di oscuri complotti genocidiali. Tocca chiudere l’anno in bellezza, va’: fanculo agli uccellacci del malaugurio e buone letture e buon anno a tutti gli altri.

Il bar sotto il faggio

Tuesday, December 20th, 2005

Il bar sotto il faggioIl bar sotto il faggio (acquistabile qui) è un libro divertente, ma non solo. Un bar della profonda provincia marchigiana funziona come una fabbrica di storie: il titolare, che risponde al nomen omen di Capitano, impone i nomi ai personaggi che varcano la soglia del bar, privandoli al contempo del loro nome proprio, se mai ne hanno avuto uno. Una volta entrati saranno Tosca, Seghevara, Takkinen, Il Muto, Il Bello, e cominceranno volenti o nolenti a raccontare.

Al di sopra di tutti, invisibile ma fino a un certo punto, l’autore si affanna a tenere le fila di queste storie che hanno il dannato vizio di voler andare dove vogliono, con scarso o nullo rispetto per l’autorità del narratore onnisciente. Regge fin che può, l’autore, ma ogni tanto perde la pazienza e interrompe la narrazione per notificare al lettore la sua fatica e le sue tribolazioni di estensore del testo. Per dirgli, ad esempio, che scrivere una storia è un po’ come cucinare le lasagne, ma molto meno rischioso.

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Il cane che abbaiava alle onde

Monday, December 5th, 2005

H.Hamilton, Il cane che abbaiava alle onde, Fazi 2004, traduzione di Isabella ZaniIn letteratura odio il sentimentalismo, l’espressione mielosa, il melodramma. Sono tutti modi scadenti per semplificare il complicatissimo groviglio del dolore umano. La verità è che di fronte al dolore le parole mancano completamente, non si sa cosa dire. Certo, ci sono frasi di circostanza collaudatissime: non ci pensare, vedrai che passerà, ci sono passato anch’io, ma sono solo modi per mascherare l’evidenza che in quel preciso momento non si sa proprio cosa dire.

Lo sa bene Hugo Hamilton, pare, dato che ha scritto un libro in cui la lingua del dolore è il silenzio. Oggi sono venuto a sapere quasi per caso che una persona cara non sta tanto bene. Avrei voluto dirle un sacco di cose, tipo non ci pensare, vedrai che passerà, ci sono passato anch’io, ma alla fine non le ho detto niente. E allora, in cambio di quello che non ho detto, le dedico questa lettura.

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Underworld

Wednesday, November 30th, 2005

Immagine tratta da http://perival.com/delillo/Ultimamente qui si parla di legami, connessioni, trame sotterranee e caso vuole (ma sarà davvero un caso?) che siano gli stessi argomenti di Underworld, il capolavoro di Don DeLillo; e caso vuole che in questi giorni io stia leggendo altri libri di DeLillo; e caso vuole che stasera, stanotte, io caschi dal sonno – cosa, questa, che imporrebbe una digressione su Chiamalo sonno di Henry Roth, ma pazienza. Underworld è uno di quei dieci o dodici libri che ho letto, come dicevo un post addietro, e sotto riporto le mie note di lettura di circa un anno fa. Qui a destra invece, nella categoria Luoghi, c’è un link al più grande lettore di DeLillo di tutti i tempi, che merita una visita lunga, accurata e opportunamente lenta.

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Un debito inestinguibile

Monday, November 21st, 2005

Miguel de Unamuno ritratto da José Gutiérrez SolanaMiguel de Unamuno è uno degli scrittori verso i quali sono in debito, un debito che naturalmente non potrò mai saldare. Mi succede a volte, peregrinando di libro in libro, di scovarne uno scritto apposta per me, e io so con ragionevole certezza che Miguel de Unamuno ha scritto il suo Commento alla vita di Don Chisciotte apposta per me. Considerando che Miguel de Unamuno l’ha scritto nel 1905, ben prima che io nascessi, ho sempre creduto che egli non sapesse di averlo scritto apposta per me, ma oggi non ne sono più così sicuro.

Oggi succede che – a causa della mia natura di lettore ondivago e tendenzialmente dispersivo – dalla pila dei libri da leggere è uscito questo: Miguel de Unamuno, Come si fa un romanzo, Ibis 1994, prima edizione italiana di un saggio pubblicato a Parigi nel 1925. Sono sicuro di averlo comprato solo per il nome dell’autore in copertina, forse spinto dal desiderio inconscio di ripagare almeno una piccola parte del debito. Sono quasi altrettanto certo di non aver mai pensato seriamente di leggerlo. Sia come sia, ho cominciato a leggerlo e, giunto a pagina cinquantuno, sono incappato in una frase che mi ha fatto sobbalzare. Questa:

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I cosi non sono le cose

Thursday, November 17th, 2005

Libera nos a malo«C’è molto rame in casa, secchi, testi, stampi, leccarde, paioli». Questa frase apparentemente innocua si trova a metà del tredicesimo capitolo di Libera nos a malo, il capolavoro di Luigi Meneghello. A prima vista non è che una dimessa elencazione di vetusti arnesi da cucina affratellati da una comune natura cuprica, eppure mi è rimasta in mente per ore. Anche adesso che ho doppiato la pagina che la ospita, essa si ripresenta a intervalli regolari e si sovrappone alle parole che vado leggendo, dolce come una litania melodiosa e arcana, ossessiva come il ritornello di una canzonetta: secchi, testi, stampi, leccarde, paioli. Che sarà mai? Donde verrà questa malìa che a queste parole m’incatena? Devo disvelare il segreto di codesto incantamento, spezzarlo per poter completare libero da sortilegi la degustazione delle pagine rimanenti.

Il libro, innanzitutto, overossia il contesto in cui quella frase opera. Libera nos a malo è un racconto dominato da un acuto senso di displacement, di extraterritorialità, di migranza, di alloglossia perfino. È un memoir scritto in italiano da un italiano imbevuto di lingua inglese che dentro di sé, negli strati più profondi e radicali dell’essere suo, parla il dialetto di Malo, provincia di Vicenza. La lingua e il paese nativo, non l’io narrante, sono i protagonisti indiscussi di un sofferto rimpatrio, un tentativo disperatissimo e matto di ricostruire pezzo per pezzo le cose dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso il recupero delle parole usate per renderle presenti. Il dialetto di Malo è dunque il linguaggio naturale della vita vissuta, dell’esperienza, mentre l’italiano è quello artificiale della cultura, delle idee ricevute, dello studio.

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Fútbol bailado

Tuesday, November 8th, 2005

Alberto Garlini, Fútbol bailado, Sironi 2004Come dicevo, l’anno prossimo sarà l’anno di Antonio Pizzuto e in questo mio stambugio di ghiribizzi libreschi l’ho ricordato con qualche mese d’anticipo. Anche l’anno scorso ci fu un tale che decise di anticipare di un anno il ricordo di Pasolini, sebbene non nel segreto del blog, ma sulla pubblica piazza editoriale. Il risultato fu un bel libro che, come tutti i libri che vale la pena leggere, è stato rapidamente dimenticato, travolto dalla pressione esercitata sugli editori dagli orrendi lettori veloci, insaziabilmente affamati di nuove uscite. Nell’àmbito dei ludi pasoliniani, dunque, mi sembra doveroso dedicare un giorno-blog a un libro che da solo vale l’opera completa di mille denbraun. Segue lettura (lenta, va senza dire).

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Accepire le ripetizioni come delle appassionate anafore

Friday, November 4th, 2005

Scritti corsariLa lettura lenta può vantare augusti antenati. Gli antichi rètori, per esempio, mandavano a memoria lunghe e complesse orazioni fin nei minimi particolari, inclusi i gesti del corpo e l’intonazione della voce, leggendo e rileggendo i testi fino a inciderli nella mente, predecessori inconsapevoli dei libri viventi che Ray Bradbury immaginò in Fahrenheit 451. Ma non occorre andare così lontano. Quella che qui ti offro, o internauta che ti muovi con passo da centometrista, è un’accorata esortazione alla lettura lenta di quel poeta che in questi giorni è in odore di laica santificazione.

«La ricostruzione di questo libro è affidata al lettore. È lui che deve rimettere insieme i frammenti di un’opera dispersa e incompleta. È lui che deve ricongiungere passi lontani che però si integrano. È lui che deve organizzare i momenti contraddittori ricercandone la sostanziale unitarietà. È lui che deve eliminare le eventuali incoerenze (ossia ricerche o ipotesi abbandonate). È lui che deve sostituire le ripetizioni con le eventuali varianti (o altrimenti accepire le ripetizioni come delle appassionate anafore).
Ci sono davanti a lui due "serie" di scritti, le cui date, incolonnate più o meno corrispondono: una "serie" di scritti primi, e una più umile "serie" di scritti integrativi, corroboranti, documentari. L’occhio deve evidentemente correre dall’una all’altra "serie". Mai mi è capitato nei miei libri, più che in questo di scritti giornalistici, di pretendere dal lettore un così necessario fervore filologico. Il fervore meno diffuso del momento.» (Pier Paolo Pasolini, nota introduttiva a Scritti corsari, 1975).

Il poeta usa qui un tono alquanto perentorio: per ben cinque volte ripete che il lettore deve compiere azioni necessarie, per poi giungere a pretendere da lui niente meno che fervore filologico. E quel fervore non implica forse il sesto dovere, quello che riassume tutta l’etica lettoria che il poeta pretende? E come chiamare questo dovere, se non il dovere di leggere con prudente lentezza?

La morte dell’autore

Wednesday, November 2nd, 2005

EpigrafePer la parte cattolica della nostra società il 2 novembre è il giorno della commemorazione dei fedeli defunti, memoria che segue a ruota la festa di ognissanti, restando in certo qual modo contagiata dalla gaiezza che tutti – cristiani o meno – associano ai giorni di festa. Dal punto di vista della religione cristiana, poi, la morte non rappresenta soltanto la fine della vita terrena, ma soprattutto l’inizio della vita eterna. A maggior ragione, pertanto, la commemorazione dei defunti, pur non essendo strictu sensu una festa, non è nemmeno giorno di mestizia e di doglianza.

Qual giorno migliore di questo, dunque, per celebrare tutti assieme, noi lettori più o meno lenti, la gloria sempiterna degli autori passati, e in particolar modo di quelli trapassati?

Anche in letteratura, infatti, la morte dell’autore non segna soltanto un termine, una fine definitiva, ma anche l’inizio di una stagione nuova per i testi che il defunto letterato ha consegnato alla posterità.

Per noi italiani, poi, il 2 novembre è anche l’anniversario (quest’anno il trentennale) della dipartita di un grande autore che non nomino, onde non mescolare questo mio scanzonato divagare con gli innumerevoli attestati di stima e di seria commemorazione che in questi giorni inondano la regione letteraria della blogosfera nazionale.

Alla luce di codeste fauste coincidenze, proclamo senz’altro il 2 novembre festa mondiale degli autori defunti, e lascio a te, lettore blogghico insanamente frettoloso, il piacere di unirti alla gioiosa ricorrenza leggendo con doverosa lentezza quanto segue.

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