Posts Tagged ‘Libri’

Scusi, posso farle una domanda?

Monday, January 30th, 2006

Perec

Perché gli aspirapolvere su scivolanti si vendono così male?
Negli ambienti di modesta estrazione, che cosa si pensa dei surrogati di caffè?
Piace la purea bell’e pronta?
E perché?
Perché è leggera?
Perché è untuosa?
Perché è tanto facile da fare: un gesto e via?
Pensate davvero che le carrozzine per bambini siano care?
Non siete forse sempre pronti a fare un sacrificio per il benessere dei piccoli?
Come voterà la donna francese?
Il formaggio in tubetti ha incontrato il favore del pubblico?
Siete pro o contro i trasporti pubblici?
A che cosa si bada anzitutto quando si mangia lo iogurt: al colore?
Alla consistenza?
Al gusto?
All’aroma naturale?
Legge poco, molto o niente?
Andate al ristorante?
Le piacerebbe, signora, subaffittare la sua camera a un negro?
Che cosa pensate, francamente, della pensione ai vecchi?
Che ne pensano i giovani?
Che ne pensano i dirigenti?
A che cosa pensa la donna di trent’anni?
Che ne pensa, lei, delle vacanze?
Dove passa le sue vacanze?
Le piacciono i cibi surgelati?
Quanto pensa che costi un accendisigari come questo?
Quali sono le qualità che esige dal suo materasso?
Mi può descrivere un uomo che ama la pastasciutta?
Che cosa pensa della sua lavatrice?
Ne è soddisfatta?
Fa forse troppa schiuma?
Lava bene?
Rovina la biancheria?
Serve anche ad asciugare la biancheria?
Lei preferirebbe una lavatrice che servisse anche ad asciugare la biancheria?
La sicurezza nelle miniere è sufficientemente garantita o no, secondo lei?

[Georges Perec, Le cose, Mondadori 1966]

(Formaggio in tubetti? Bleah!)
(Il libro, sia detto parenteticamente, è splendido)
(Questo post somiglia a un’eccolalista. Forse)

Diceria su Diceria dell’untore

Wednesday, January 25th, 2006

Gesualdo Bufalino, tratto da www.galrev.comDiceria dell’untore è un libro che fin dal titolo propone un’atmosfera iperletteraria. L’untore è per noi lettori post-manzoniani una figura unicamente finzionale, romanzesca, quasi mitologica, che non può esistere al di fuori di un racconto o di un romanzo: è un concetto, un’astrazione, un simbolo. Nessun lettore s’aspetterebbe mai di trovarsi un untore in carne e ossa sull’uscio di casa o in ufficio o al bar, e se anche ne incontrasse uno non lo riconoscerebbe, perché dell’untore si può dire solo ciò che si dice di Dio nel vangelo: nessuno l’ha mai visto.

L’altro termine del titolo – diceria – rafforza ulteriormente questa impressione di letterarietà mitologica. Nelle istruzioni per l’uso poste in calce al racconto, Gesualdo Bufalino spiega che

«Diceria» vale racconto, dettato, monologo con in più un’insinuazione di scarsa credibilità, come di uno sproloquio mormorato all’orecchio.

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Il lettore è de coccio

Monday, January 16th, 2006

Il Prater di Vienna, tratto da www.andreas-praefcke.de

Ho molte cose da raccontare che non si possono scrivere bene. (…) Nelle tue lettere c’è spesso qualcosa che io avevo già pensato esattamente allo stesso modo e che tuttavia fino a quel momento non ero ancora riuscito a definire con precisione. [H.Hofmannsthal, Le parole non sono di questo mondo, Quodlibet 2004, pag. 22]

Così scriveva il guardiamarina Edgar Karg von Bebenburg a Hugo von Hofmannsthal il 13 marzo 1893, ventenne il mittente, diciannovenne il destinatario. Per tutta la durata della corrispondenza, Edgar Karg mostra una grande fiducia nelle parole e nei libri: convinto che la cultura e l’erudizione potessero rivelare il senso profondo della vita – quel senso che a lui sfuggiva – chiedeva soccorso all’amico, pregandolo di inviargli libri, di spiegargli i motivi del senso di infelicità e di incompiutezza che provava, di dargli le parole giuste per capire meglio la propria vita e il mondo.

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L’anno che verrà

Saturday, December 31st, 2005

Libri, tratto da www.birdbooksdirect.comDice che la letteratura è morta; che non ci sono più i Calvini i Pasolini e i Volponi d’una volta; che c’è il genocidio culturale, la restaurazione e la monocoltura del best seller. Dice che oramai è tutto giallo e nero e che la letteratura invece è un’altra cosa. Dice che non ci sono più le mezze stagioni, anche, e che una volta qui era tutta campagna. Dice che se i giornali continuano a pubblicare libri prima o poi smetteranno di farlo gli editori. Dice che non ci sono più i critici d’una volta e che gli italiani non leggono.

Mo me lo segno, dico.

Nel frattempo faccio un salto qui e vedo che nei primi mesi dell’anno che sta per cominciare usciranno: un romanzo di Nanni Balestrini su Giangiacomo Feltrinelli (però lo pubblica DeriveApprodi); un romanzo di Paolo Nori, Bompiani; le Opere italiane di Giordano Bruno in due volumi, Adelphi; addirittura un volume di poesie di Rodolfo Valentino, Newton Compton. Poi, va be’, c’è pure Moccia, c’è la Santacroce, ma pazienza. Poi ci sarà un nuovo Rushdie, Mondadori; un nuovo Potok, Corbaccio; nuove poesie di Patti Smith, Frassinelli; e perfino un Balzac a testa per Sellerio e Garzanti. E un nuovo saggio di Carlo Ginzburg, Feltrinelli, vogliamo perderlo? E la cinquecentesca Relazione sulla distruzione delle Indie del domenicano Bartolomé De Las Casas, Ahlambra, vogliamo lasciarlo in libreria?

Per dire.

Sembra proprio che anche nel 2006 ci sarà qualcosa da leggere, alla faccia degli uccellacci del malaugurio, e non saranno solo gialli e non saranno solo noir e non saranno solo best-seller e non saranno frutti di oscuri complotti genocidiali. Tocca chiudere l’anno in bellezza, va’: fanculo agli uccellacci del malaugurio e buone letture e buon anno a tutti gli altri.

Il bar sotto il faggio

Tuesday, December 20th, 2005

Il bar sotto il faggioIl bar sotto il faggio (acquistabile qui) è un libro divertente, ma non solo. Un bar della profonda provincia marchigiana funziona come una fabbrica di storie: il titolare, che risponde al nomen omen di Capitano, impone i nomi ai personaggi che varcano la soglia del bar, privandoli al contempo del loro nome proprio, se mai ne hanno avuto uno. Una volta entrati saranno Tosca, Seghevara, Takkinen, Il Muto, Il Bello, e cominceranno volenti o nolenti a raccontare.

Al di sopra di tutti, invisibile ma fino a un certo punto, l’autore si affanna a tenere le fila di queste storie che hanno il dannato vizio di voler andare dove vogliono, con scarso o nullo rispetto per l’autorità del narratore onnisciente. Regge fin che può, l’autore, ma ogni tanto perde la pazienza e interrompe la narrazione per notificare al lettore la sua fatica e le sue tribolazioni di estensore del testo. Per dirgli, ad esempio, che scrivere una storia è un po’ come cucinare le lasagne, ma molto meno rischioso.

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La letteratura è una cosa che si mangia

Thursday, December 15th, 2005

Letteratura e ciboDice Melpunk nei commenti al post Il lettore è scemo: la letteratura è una cosa che si mangia.

Come tutti ricorderanno (seeee!) Melpunk rispondeva alla precisa domanda Che cos’è la letteratura? giudicata da Genette domanda scema. Orbene, circa ottant’anni fa Miguel De Unamuno (ancora lui, ebbene sì) diede più o meno la stessa risposta:

[C’è un] passo dell’Apocalisse, del libro della Rivelazione, in cui lo Spirito ordina all’apostolo di mangiarsi un libro [Ap 10, 9]. Quando un libro è cosa viva bisogna mangiarselo, e chi se lo mangia, se a sua volta è vivente, se è davvero vivo, rivive di quel cibo. (M. De Unamuno, Come si fa un romanzo, Ibis 1994, pag. 48)

Sentenza che – con buona pace di Genette – rivela da un lato la corrispondenza d’intelletto fra Melpunk e Unamuno, e dall’altro il carattere niente po’ po’ di meno che apocalittico della risposta del primo.

Sappi dunque, o lettore che distrattamente saltelli da un blog all’altro, che nei post che tu scorri a mach 4 possono celarsi rivelazioni di verità antique et mirabili. Convèrtiti dunque, e rallenta.

Il lettore è scemo

Monday, December 12th, 2005

Dürer: frontespizio per La nave dei folli. Immagine tratta da www.users.cloud9.net/~bradmcc/Che cos’è la letteratura? Domanda scema, dice Genette:

Se temessi meno il ridicolo avrei potuto gratificare questo saggio di un titolo ch’è stato già grossolanamente usato: «Che cos’è la letteratura?» – Il testo illustre che ha posto tale domanda a sua titolazione in verità non vi ha risposto; il che tutto sommato è molto saggio: a domanda sciocca, nessuna risposta; ragione per cui la vera saggezza consisterebbe nel non porre neppure l’interrogativo. (Gérard Genette, Finzione e dizione, Pratiche editrice 1994, pag. 11).

E chi sono io per dar torto a Gérard Genette? Genette è un tale che una volta, nell’inverno del 1969, si trovò bloccato in casa da una tempesta di neve. Per ammazzare il tempo si mise a ragionare un po’ sul discorso narrativo e – com’è come non è, ragiona che ti ragiona – sfornò Figure III, uno dei testi fondamentali della narratologia contemporanea. Dar torto a Genette proprio non si può, quindi si accolga come postulato incontestabile che chiedersi cos’è la letteratura è esercizio vacuo, inutile e sintomatico di una non vaga inclinazione alla demenza.

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Libri che si vendono

Thursday, December 8th, 2005

Immagine tratta da www.viking.be/Photos/Paris/Bouquiniste-Paris.jpgIeri sera, mentre girovagavo per blog, mi è capitato di sentire questo signore dire queste cose qui sul tema Quando un libro si venderà?, lanciato il giorno prima da quest’altro signore. Rilanciato, in verità, dato che ne aveva già parlato qui.

Letto tutto? Bene. Ora, non più tardi di un mese e mezzo fa, capitava che il qui presente (niente link) umile lentore depositasse su questo medesimo blog – oggi onorato dalla tua graditissima ancorché veloce visita – un articolatissimo e ponderoso saggio pomposamente intitolato nientepopodimenoché Analizzare i giudizi dei lettori per identificare il profilo standard del testo narrativo idoneo al mercato.

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Underworld

Wednesday, November 30th, 2005

Immagine tratta da http://perival.com/delillo/Ultimamente qui si parla di legami, connessioni, trame sotterranee e caso vuole (ma sarà davvero un caso?) che siano gli stessi argomenti di Underworld, il capolavoro di Don DeLillo; e caso vuole che in questi giorni io stia leggendo altri libri di DeLillo; e caso vuole che stasera, stanotte, io caschi dal sonno – cosa, questa, che imporrebbe una digressione su Chiamalo sonno di Henry Roth, ma pazienza. Underworld è uno di quei dieci o dodici libri che ho letto, come dicevo un post addietro, e sotto riporto le mie note di lettura di circa un anno fa. Qui a destra invece, nella categoria Luoghi, c’è un link al più grande lettore di DeLillo di tutti i tempi, che merita una visita lunga, accurata e opportunamente lenta.

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Pagare per esistere

Monday, November 28th, 2005

Pagare per leggereGli editori lamentano le poche copie vendute; i librai soffrono l’assottigliamento dei margini economici; gli autori rinnovano in mille modi l’antico aforisma: carmina non dant panem; i traduttori denunciano la scarsa visibilità del loro lavoro; i critici criticano la scarsa attenzione alla critica. Nella gran macchina della produzione letteraria tutti si considerano sottostimati, sottovalutati, sottopagati. No, dico, va bene che l’erba del vicino è sempre più verde, che l’uomo è pessimista per natura, che il mondo è crudele, ma allora io – il lettore – cosa dovrei dire?

Insomma, dico, dovrei sempre stare zitto e buono ad ascoltare le lamentele altrui? Eh no, cavolo, per una volta mi lamento io. Voglio gustare anch’io, e fino in fondo, l’universale panica esperienza del piagnisteo letterario.

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Un debito inestinguibile

Monday, November 21st, 2005

Miguel de Unamuno ritratto da José Gutiérrez SolanaMiguel de Unamuno è uno degli scrittori verso i quali sono in debito, un debito che naturalmente non potrò mai saldare. Mi succede a volte, peregrinando di libro in libro, di scovarne uno scritto apposta per me, e io so con ragionevole certezza che Miguel de Unamuno ha scritto il suo Commento alla vita di Don Chisciotte apposta per me. Considerando che Miguel de Unamuno l’ha scritto nel 1905, ben prima che io nascessi, ho sempre creduto che egli non sapesse di averlo scritto apposta per me, ma oggi non ne sono più così sicuro.

Oggi succede che – a causa della mia natura di lettore ondivago e tendenzialmente dispersivo – dalla pila dei libri da leggere è uscito questo: Miguel de Unamuno, Come si fa un romanzo, Ibis 1994, prima edizione italiana di un saggio pubblicato a Parigi nel 1925. Sono sicuro di averlo comprato solo per il nome dell’autore in copertina, forse spinto dal desiderio inconscio di ripagare almeno una piccola parte del debito. Sono quasi altrettanto certo di non aver mai pensato seriamente di leggerlo. Sia come sia, ho cominciato a leggerlo e, giunto a pagina cinquantuno, sono incappato in una frase che mi ha fatto sobbalzare. Questa:

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I cosi non sono le cose

Thursday, November 17th, 2005

Libera nos a malo«C’è molto rame in casa, secchi, testi, stampi, leccarde, paioli». Questa frase apparentemente innocua si trova a metà del tredicesimo capitolo di Libera nos a malo, il capolavoro di Luigi Meneghello. A prima vista non è che una dimessa elencazione di vetusti arnesi da cucina affratellati da una comune natura cuprica, eppure mi è rimasta in mente per ore. Anche adesso che ho doppiato la pagina che la ospita, essa si ripresenta a intervalli regolari e si sovrappone alle parole che vado leggendo, dolce come una litania melodiosa e arcana, ossessiva come il ritornello di una canzonetta: secchi, testi, stampi, leccarde, paioli. Che sarà mai? Donde verrà questa malìa che a queste parole m’incatena? Devo disvelare il segreto di codesto incantamento, spezzarlo per poter completare libero da sortilegi la degustazione delle pagine rimanenti.

Il libro, innanzitutto, overossia il contesto in cui quella frase opera. Libera nos a malo è un racconto dominato da un acuto senso di displacement, di extraterritorialità, di migranza, di alloglossia perfino. È un memoir scritto in italiano da un italiano imbevuto di lingua inglese che dentro di sé, negli strati più profondi e radicali dell’essere suo, parla il dialetto di Malo, provincia di Vicenza. La lingua e il paese nativo, non l’io narrante, sono i protagonisti indiscussi di un sofferto rimpatrio, un tentativo disperatissimo e matto di ricostruire pezzo per pezzo le cose dell’infanzia e dell’adolescenza attraverso il recupero delle parole usate per renderle presenti. Il dialetto di Malo è dunque il linguaggio naturale della vita vissuta, dell’esperienza, mentre l’italiano è quello artificiale della cultura, delle idee ricevute, dello studio.

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Libresche seduzioni

Thursday, November 10th, 2005

Tu mi chiedi, o lesto divoratore di pixel, quale sia la ragione che spinge il lettore a sprecare sui libri un tempo che egli potrebbe dedicare ad attività produttive e socialmente utili. Non ho una risposta pronta, ma in prima battuta mi sembra ragionevole supporre che la causa delle insane passioni lettorie risieda nell’oggetto materiale della lettura. Il libro è alquanto semplice, almeno a una prima occhiata: nient’altro che un parallelepipedo, forse il solido meno affascinante di tutti, usato per costruire oggetti esteticamente poco esigenti come scatole da scarpe, mobili dell’Ikea o stabilimenti industriali. Un parallelepipedo fortemente schiacciato, oltretutto, con due facce sproporzionatamente più ampie delle altre quattro: una frittella geometrica.

Come può dunque un articolo così comune, dozzinale, banale perfino, attirare l’attenzione del lettore, ammaliarlo, sedurlo, confonderlo fino a fargli sborsare quattrini per averlo? Cercherò di rispondere per via sperimentale: tolto dalla mia modesta biblioteca di lettore lento un volume a caso, fingerò di osservarlo per la prima volta, come se l’avessi appena avvistato in libreria, sperando che da un’osservazione minuziosa possano scaturire intuizioni proficue sui meccanismi che mi portarono ad acquistarlo a suo tempo.

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Fútbol bailado

Tuesday, November 8th, 2005

Alberto Garlini, Fútbol bailado, Sironi 2004Come dicevo, l’anno prossimo sarà l’anno di Antonio Pizzuto e in questo mio stambugio di ghiribizzi libreschi l’ho ricordato con qualche mese d’anticipo. Anche l’anno scorso ci fu un tale che decise di anticipare di un anno il ricordo di Pasolini, sebbene non nel segreto del blog, ma sulla pubblica piazza editoriale. Il risultato fu un bel libro che, come tutti i libri che vale la pena leggere, è stato rapidamente dimenticato, travolto dalla pressione esercitata sugli editori dagli orrendi lettori veloci, insaziabilmente affamati di nuove uscite. Nell’àmbito dei ludi pasoliniani, dunque, mi sembra doveroso dedicare un giorno-blog a un libro che da solo vale l’opera completa di mille denbraun. Segue lettura (lenta, va senza dire).

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Graecum est, non legitur

Sunday, November 6th, 2005

Antonio Pizzuto. Tratto da Lezioni del maestro, Scheiwiller 1991Quest’anno è stato l’anno di Pasolini e di Calvino. L’anno prossimo sarà l’anno di Antonio Pizzuto. Non ci credi, o blog-zapper ansimante per il troppo correre? Fai bene a non crederci. Infatti, pur essendo innegabile, calendario alla mano, che nel 2006 cadrà il trentennale della morte di Antonio Pizzuto, è altrettanto innegabile che la sua quota di mercato è troppo piccola per suscitare qualsivoglia genere di interesse: non l’interesse degli editori forti, perché Pizzuto è autore dalle tirature lillipuziane; non l’interesse degli accademici forti, perché Pizzuto – autore sconosciuto ai più – non dà molta visibilità a chi se ne occupa; non l’interesse dei lettori forti, perché Pizzuto richiede tempi di lettura troppo alti, col rischio di rovinare l’ingurgitazione media giornaliera di libri.

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